Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6499 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2022, (ud. 18/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3378-2020 proposto da:

M.S., C.L., A.L., MO.IV.,

A.L., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO

SPINOSA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI, 66,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4295/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/11/2019 R.G.N. 1973/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/01/2022 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza n. 4295 del 2019 la Corte di appello di Roma ha rigettato il reclamo di M.S., A.L., A.L., Mo.Iv. e C.L. avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione all’ordinanza di reiezione del ricorso dei lavoratori inteso all’accertamento della illegittimità del licenziamento loro intimato da Almaviva Contact s.p.a. all’esito di procedura di licenziamento collettivo.

2. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso i cinque lavoratori sulla base di cinque motivi. La Società ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. I motivi di ricorso:

3.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5, comma 1 in relazione all’insufficienza della comunicazione delle puntuali modalità di attuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ed alla violazione degli stessi con omessa pronuncia con riguardo alle lavoratrici madri trasferite nell’arco di 120 giorni.

3.2. Con il secondo motivo, poi, si denuncia la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5 e si deduce che i criteri di scelta diversi da quelli legali non possono essere comunicati nella dichiarazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo. Si sostiene che così facendo si finirebbe per far coincidere la procedura di informazione e consultazione con quella di selezione del personale da licenziare che attengono a momenti diversi anche funzionalmente. In sostanza si deduce che nella comunicazione ex art. 4, comma 9 l’imprenditore non può limitarsi ad un mero richiamo dei criteri seguiti ma deve indicare le regole di ponderazione degli stessi così da consentire i controlli della correttezza delle scelte da parte del lavoratore e poi del giudice. Ragionando diversamente, secondo i ricorrenti, ne deriverebbe che l’indagine sarebbe ex post sul programma dichiarato con una individuazione sin dalla dichiarazione dei lavoratori da licenziare. Insistono perciò nel ritenere che l’ambito entro il quale deve essere operata la scelta, in via generale, è l’intero complesso aziendale salvo l’accordo ovvero una razionale riduzione del contesto illustrata nella comunicazione.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe pronunciato su tutta la domanda ed avrebbe falsamente applicato la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. In sostanza il giudice di appello non avrebbe correttamente individuato le censure poste nelle pagine 15-17 del reclamo nelle quali non c’era alcun riferimento alla situazione di Palermo e sostiene che la motivazione sarebbe perplessa e confusa e non avrebbe esaminato la questione, pur dedotta, degli ammortizzatori sociali ed avrebbe falsamente interpretato l’incidenza dei trasferimenti per evitare i licenziamenti.

3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce che in violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 si sarebbe ritenuto che “i licenziati non licenziati dovevano figurare licenziati in tutte le comunicazioni dei criteri di scelta anche se il licenziamento era stato revocato e i licenziati non erano più licenziati ma in servizio.” (pag. 21 del ricorso in cassazione).

3.5. L’ultimo motivo di ricorso ha ad oggetto la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 e deduce che i criteri di scelta sarebbero illogici e contraddittori e che il licenziamento era stato disposto verso la classe di lavoratori con maggiore anzianità di servizio e costo aziendale.

4. Va preliminarmente rilevato che questa Corte si è già espressa sulla legittimità della procedura collettiva ex lege n. 223 del 1991, attivata da Almaviva Contact s.p.a. con comunicazione in data 5 ottobre 2016 (cfr tra le tante e con riguardo alle numerose questioni poste anche dal presente contenzioso Cass. n. 12044 del 2021, 14677 del 2021, 15124 del 20121, 15123 del 2021, 14673 del 2021, 12040 del 2021, 12041 del 2021, 12042 del 2021 ed anche in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile Cass. 12/11/2021 n. 34023). Ai principi esposti in tali pronunce questa Corte intende dare continuità non essendo state prospettate ragioni che inducano a rivedere l’orientamento espresso.

4.1. In linea generale va ricordato che nei precedenti richiamati, cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., si è premesso, con argomentazione integralmente condivisa da questo Collegio, che per principio consolidato la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, espressione dell’esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 29936 del 2008) e che la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. n. 22366 del 2019, n. 5700 del 2004) con un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, controllo devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 26/11/2018 n. 30550).

4.2. In applicazione di tali principi sono state respinte le censure che investivano sotto vari profili la legittimità della complessiva operazione attuata da Almaviva Contact. s.p.a.. Questa, dopo una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016, riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di Palermo, Roma e Napoli e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31 maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento della crisi nei siti di Roma e Napoli. Nella comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni 1 e 2 di Roma e di tutti gli 845 dell’unità produttiva di Napoli, con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti;

5. Tanto premesso, in relazione ai singoli profili di censura proposti con i motivi del presente ricorso per cassazione, da trattare unitariamente per evidente reciproca connessione, si osserva che:

5.1. le doglianze intese a contestare la valutazione di completezza della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, sono infondate. La Corte di appello ha verificato l’esaustività e la completezza della comunicazione di apertura della procedura di mobilità ed ha accertato che la stessa soddisfaceva gli obblighi informativi di legge anche, in particolare, con riferimento alla questione dei trasferimenti ed alla vacanza di posti disponibili presso altre sedi della società (pagg.6 e ss. della sentenza), sulla scorta di argomentazione congrua e articolata, a sostegno di un’interpretazione plausibile e riservata esclusivamente al giudice di merito, (Cass. n. 19044 del 2010, n. 4178 del 2007), che non è censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati, né, tanto meno, con la specificazione delle ragioni e dei modi in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. n. 15350 del 2017, n. 13717 del 2006). In sostanza ciò che si contesta è il risultato interpretativo che non è sindacabile da parte del giudice di legittimità (Cass. n. 10891 del 2016, n. 2465 del 2015).

5.2. Quanto alla dedotta individuazione, già in sede di comunicazione di apertura, dei dipendenti destinatari del licenziamento, per il tramite della comunicazione di apertura, va rilevato che tale situazione è ravvisabile nell’ipotesi, che qui non ricorre, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. n. 24116 del 2004, n. 10716 del 1997).

5.3. Neppure la Corte territoriale è incorsa nella violazione dell’obbligo di motivazione posto che le ragioni che sorreggono la valutazione di completezza informativa della comunicazione di apertura della procedura di mobilità sono del tutto percepibili nei loro presupposti fattuali e giuridici. Il giudice del reclamo, infatti, ha rapportato espressamente i contenuti di tale comunicazione alle finalità informative cui per legge essa è preordinata dando contezza, con argomentazioni congrue e logiche anche in relazione alla eventuale prefigurazione di possibili trasferimenti ed alle azioni di efficientamento adottate per la sede di Palermo (cfr. pagg. 16 e 17 della sentenza). Si tratta di valutazioni che sono sottratte pertanto al controllo di legittimità ed appartengono in via esclusiva all’attività demandata al giudice del merito e questi ha espressamente considerato esaminato e ritenuto adeguati i riferimenti alle vicende relative alla sede di Palermo.

5.4. Con specifico riguardo alla limitazione della platea degli esuberi a singole unità produttive (nel caso di specie le due divisioni romane), anziché in riferimento all’intero complesso aziendale, occorre premettere che la Corte di appello ha ritenuto legittima tale delimitazione in considerazione dell’ambito del progetto di ristrutturazione aziendale e delle ragioni tecnico produttive esposte nella comunicazione iniziale, ed evidenziato che la L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 prima di imporre l’osservanza dei criteri di scelta, richiama le esigenze tecnico- produttive ed organizzative quale criterio per valutare il nesso di causalità tra la decisione dell’imprenditore di ridurre il personale e quella di licenziare i lavoratori entro un determinato ambito aziendale; in tale verifica giocava un ruolo anche la distanza geografica tra le unità produttive soppresse o ridimensionate e le altre unità, ritenuta espressione di un indice di infungibilità delle posizioni lavorative, tale da legittimare e rendere ragionevole la delimitazione della platea dei licenziandi alle sole unità nei quali si era verificata la situazione di crisi denunziata nella comunicazione la citata L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3. La comunicazione di apertura della procedura aveva, infatti, analiticamente indicato le ragioni che non consentivano di estendere l’ambito della comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso unità produttive non toccate dal progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale, limitato alle unità produttive di Roma e Napoli. Tali ragioni rendevano senz’altro giustificata la scelta operata tenuto conto che il potenziale coinvolgimento di tutti i dipendenti con mansioni omogenee avrebbe richiesto ulteriori esborsi collegati agli oneri economici necessari per la formazione, indispensabile e rallentato i tempi di produttività.

5.6. Si tratta di valutazione, frutto di attività riservata al giudice di merito, che si sottrae a tutte le censure articolate dai ricorrenti in quanto conforme ai parametri normativi di riferimento elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri, tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente) delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (L. n. 223 del 1991, art. 5) e la delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta (Cass. n. 32387 del 2019, n. 22178 del 2018, n. 4678 del 2015). In particolare, è stata ritenuta la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati in caso di progetto di ristrutturazione aziendale riferito in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. n. 32387 del 2019 cit., n. 19105 del 2017, n. 203 del 2015 e n. 17177 del 2013).

5.7. Orbene, nel caso in esame la Corte di merito, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato che la delimitazione alle unità produttive di Roma e di Napoli della platea dei lavoratori da licenziare era coerente con le ragioni esposte nella comunicazione di apertura ed in particolare con le esigenze tecnico produttive che ne costituivano il sostrato della ed era frutto di una scelta improntata a criteri di ragionevolezza e congruità fondata su fattori obiettivi riconducibili in sintesi agli insostenibili costi e tempi richiesti dal coinvolgimento nella procedura collettiva di tutto il personale di Almaviva Contact.

5.8. Ne segue che la censura, incentrata sull’assunto che la scelta della società di delimitazione della platea dei licenziandi era stata determinata dai maggiori costi del personale della sede di Roma, è inammissibile atteso che la Corte di merito, con accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti del vizio motivazionale, neppure formalmente prospettato dagli odierni ricorrenti, ha osservato ed ampiamente argomentato che la reclamante non avevano offerto prova della circostanza, negata dalla società reclamata, relativa a tali maggiori costi.

6. Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso deve essere conclusivamente rigettato e le spese liquidate in dispositivo seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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