Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6497 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 19/01/2017, dep.14/03/2017),  n. 6497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11282/2015 proposto da:

M. CATERING DI F.M. & C. SAS IN LIQUIDAZIONE, in

persona del legale rappresentante Sig. M.F.,

M.F. quale socio accomandatario della predetta società, domiciliati

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati LIDIA MARONGIU, MARCELLO FRAU,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 63,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MARIA FARGIONE, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di

SASSARI, depositata il 22/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito l’Avvocato LUCA SILVAGNI per delega;

udito l’Avvocato VINCENZO FARGIONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 22/1/2015, la Corte d’appello di Cagliari, in accoglimento dell’appello proposto da D.A., e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la M. Catering di F.M. & C. s.a.s. in liquidazione, e M.F., in solido tra loro, al pagamento, in favore del D., di somme a titolo di risarcimento danni per la violazione, da parte della società convenuta (in qualità di conduttrice), dell’obbligo di riconsegnare la cosa locata nello stato originario, avendo la conduttrice destinato l’immobile concessole in godimento dal D. a un uso improprio, provocando gravi danni alla relativa pavimentazione.

2. Avverso la sentenza d’appello, hanno proposto ricorso per cassazione la M. Catering di F.M. & C. s.a.s. in liquidazione e M.F., sulla base di quattro motivi d’impugnazione.

3. Resiste con controricorso D.A., che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.

4. Con successiva istanza ritualmente depositata, il D. ha invocato la liquidazione delle spese del procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello, proposta ai sensi dell’art. 373 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la corte territoriale erroneamente fondato la propria decisione sul ricorso di una circostanza di fatto (quale l’uso di pesanti macchinari da trasporto asseritamente responsabili dei danni alla pavimentazione dell’immobile del locatore) tardivamente allegata dal locatore per la prima volta con l’atto d’appello.

2. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come la corte territoriale abbia configurato l’inadempimento della società conduttrice, non già (o non tanto) in ragione dell’uso di pesanti macchinari da trasporto asseritamente responsabili dei danni alla pavimentazione dell’immobile del locatore (circostanza di fatto allegata in modo asseritamente inammissibile in sede d’appello), bensì in relazione agli effetti dannosi dell’uso della cosa alla stessa concessa in godimento così come manifestatisi in forme obiettive al termine del rapporto, evidenziando come nessuna fonte contrattuale (in qualunque modo interpretata fino a prova contraria) avrebbe mai potuto giustificare un uso della cosa locata suscettibile di determinare un simile risultato dannoso; e tanto, a prescindere dall’eventuale uso o meno di mezzi pesanti per il trasporto o il deposito delle derrate.

Sul punto, la corte territoriale ha infatti testualmente evidenziato come – non solo nessuna descrizione delle modalità di utilizzo del bene fosse prevista o implicitamente dedotta in contratto, tale da lasciar presumere una concorde destinazione del locale a movimentazione di carichi rilevanti anche con pesanti montacarichi, ma che – in nessun caso (salva la prova contraria, nella specie non rinvenuta) avrebbe potuto ragionevolmente ammettersi una condotta del locatore (anche esperto) incline ad accettare la concessione in uso del proprio bene nella consapevolezza del suo prevedibile deterioramento in misura straordinaria, atteso che nulla avrebbe potuto giustificare il cedimento del massetto o lo sgretolamento delle piastrelle, come invece puntualmente avvenuto nel caso di specie.

Deve ritenersi dunque del tutto irrilevante l’odierna censura dei ricorrenti (relativa alla pretesa omessa considerazione, ad opera della corte d’appello, della tardiva allegazione della circostanza di fatto relativa all’uso di pesanti macchinari da trasporto da parte della conduttrice), atteso l’evidente difetto di decisività della doglianza, in nessun caso destinata a incidere sul dato obiettivo del riscontrato grave e ingiustificato danneggiamento della cosa locata incontestatamente avvenuto in corso di rapporto.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362 e segg., artt. 1578 e 1590 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale omesso di approfondire l’esame degli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio al fine di determinare se lo sprofondamento del massetto del pavimento dell’immobile locato non fosse piuttosto dipeso (anzichè dell’uso asseritamente abnorme, da parte della conduttrice, dell’immobile locato) dall’inidoneità di quest’ultimo all’uso commerciale convenuto tra le parti, vieppiù sulla base di una superficiale interpretazione della relativa volontà contrattuale.

4. Il motivo è inammissibile.

Con il motivo in esame, i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, della volontà negoziale manifestata dalle parti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti.

Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

Peraltro, sotto il profilo dell’eventuale violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., varrà rimarcare come la doglianza avanzata dai ricorrenti, in contrasto con l’epigrafe del motivo d’impugnazione, appare in realtà espressione di un’invocata rilettura interpretativa dei dati negoziali convenuti tra le parti, come tale inammissibile in sede di legittimità, avendo gli stessi ricorrenti trascurato di indicare in termini specifici le modalità attraverso le quali la corte territoriale si sarebbe sottratta alla corretta applicazione delle norme del codice civile dettate in tema di interpretazione degli atti negoziali.

Varrà peraltro tener conto della circostanza – suscettibile di confermare per altro verso l’inammissibilità della censura – consistente nella mancata allegazione, o trascrizione, da parte del ricorrente, del testo del contratto concluso tra le parti, per la parte che qui rileverebbe, ivi compresa la denominazione della società conduttrice, che, ove eventualmente indicata nel testo contrattuale, pur avrebbe potuto rivestire, in astratto, un qualche possibile significato nell’interpretazione obiettiva del tipo di attività in ipotesi destinata ad essere esercitata all’interno dell’immobile locato.

5. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), avendo la corte territoriale omesso di considerare il principio della c.d. compensatio lucri cum damno derivante dall’ingiusto arricchimento della controparte attraverso la sostituzione del preesistente pavimento in gress e massetto con altra pavimentazione realizzata con nuovo materiale di tipo industriale e adatto all’uso commerciale.

6. Il motivo, nella misura in cui introduce una questione giuridica involgente nuovi accertamenti di fatto, preclusi in questa sede, è inammissibile.

Osserva in linea generale il collegio come, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che proponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Sez. 2, Sentenza n. 8206 del 22/04/2016, Rv. 639513 – 01).

Nella specie, peraltro, attraverso la censura in esame i ricorrenti finiscono per equivocare il senso della rivendicata compensazione tra il “lucro” e il “danno” derivante dal medesimo fatto illecito della conduttrice, con l’eventuale eccessività delle somme liquidate, in chiave risarcitoria, ai fini della sostituzione della pavimentazione del bene immobile del locatore danneggiata dalla società conduttrice.

Ciò posto, non avendo i ricorrenti sottoposto ad alcuna censura la liquidazione operata dal giudice del merito, l’odierna doglianza deve ritenersi del tutto inammissibile, siccome del tutto priva di congrui riferimenti al tenore dell’argomentazione sul punto illustrata nel provvedimento impugnato.

7. Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 88 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disposto la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese di entrambi i gradi del giudizio, nonostante l’eccessività delle richieste risarcitorie avanzate da controparte controparte (solo parzialmente accolte dal giudice di primo grado), rispetto alla quantificazione dei danni operata nell’accertamento tecnico preventivo eseguito in epoca precedente l’instaurazione del giudizio.

8. Il motivo è infondato.

Nel pronunciare sul punto concernente la regolazione delle spese del giudizio, la corte territoriale si è correttamente allineata al consolidato principio, affermato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, dovendo essere riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte, poi soccombente, abbia conseguito un esito a lei favorevole.

Ciò posto, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 406 del 11/01/2008, Rv. 601214) delle altre cause legittimanti.

9. Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

10. Devono essere altresì liquidate (nella misura indicata in dispositivo) le spese processuali sostenute dal D. in relazione al procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, spettando, infatti alla Corte di cassazione, adita in sede di ricorso contro la sentenza d’appello del giudice di merito, pronunciarsi, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., con la sentenza di rigetto, sul diritto al rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte vittoriosa, per resistere all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, proposta in virtù dell’art. 373 c.p.c. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19544 del 30/09/2015, Rv. 637000 – 01).

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.300,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge, nonchè alle spese del procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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