Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6496 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2022, (ud. 17/11/2021, dep. 28/02/2022), n.6496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4178-2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, N.

27, presso lo Studio Legale Trifirò Partners, rappresentato e

difeso dagli avvocati OSCAR PISTOLESI, SALVATORE TRIFIRO’;

– ricorrente –

contro

DELOITTE FINANCIAL ADVISORY S.R.L. (già DELOITTE FINANCIAL ADVISORY

SERVICES S.P.A.) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, n. 19 (STUDIO

TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO & SOCI) presso lo studio degli

avvocati RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, FRANCO TOFFOLETTO, FEDERICA

PATERNO’, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

nonché da ricorso successivo senza n.r.g.:

DELOITTE FINANCIAL ADVISORY S.R.L. (già DELOITTE FINANCIAL ADVISORY

SERVICE S.P.A.) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, n. 19 (STUDIO

TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO & SOCI) presso lo studio degli

avvocati RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, FRANCO TOFFOLETTO, FEDERICA

PATERNO’, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente successivo –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, N.

27, presso lo Studio Legale Trifirò Partners, rappresentato e

difeso dagli avvocati OSCAR PISTOLESI, SALVATORE TRIFIRO’;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 1359/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/07/2017 R.G.N. 1594/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Milano con la sentenza n. 1359/2017 aveva parzialmente riformato la decisione con cui il tribunale aveva in parte accolto le domande di V.G. nei confronti di Deloitte F.A.S. (DFAS). Il V. aveva adito il tribunale per chiedere la condanna della Deloitte al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione del rapporto intercorso tra aprile 2004 ed il 28 dicembre 2005, al risarcimento del danno da illegittimo recesso nonché al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso. Il Tribunale aveva accolto la sola domanda relativa al risarcimento del danno e aveva rigettato le altre anche ritenendo che le domande relative al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno da dequalificazione, fossero coperte da precedente giudicato, in quanto già decise da sentenza del tribunale di Milano (n. 3860/08), confermata da sentenza della corte di appello n. 941/2010.

La Corte territoriale, con la sentenza attualmente impugnata, aveva respinto la censura relativa alla ritenuta esistenza di un giudicato, ritenendo che la precedente decisione del tribunale n. 3860/2008 avesse già ad oggetto le differenze retributive, non soltanto quelle derivanti dall’invocato rapporto di lavoro subordinato, ma anche quelle derivanti dalla qualificazione del rapporto quale autonomo.

Il giudice d’appello riteneva altresì infondata la domanda relativa al maggior importo per il risarcimento liquidato (sette mensilità) per l’anticipato recesso, in quanto il rigetto delle precedenti domande sulle maggiorazioni stipendiali escludevano ogni incidenza sull’importo liquidato (motivo assorbito perché conseguente al mancato riconoscimento delle differenze richieste).

Veniva invece accolta dalla Corte, con riforma sul punto della decisione di primo grado, la richiesta di liquidazione dell’indennità di preavviso, in quanto la lettura data dal tribunale alla clausola 11.3 del contratto stipulato tra le parti era frutto di errata interpretazione, in quanto, se letta (la disposizione) congiuntamente alla clausola 11.1, era posto in rilievo come le parti avessero stabilito una durata della prima fase del contratto per 5 anni, senza facoltà di recesso, un automatico rinnovo alla prima scadenza con trasformazione in contratto a tempo indeterminato e la possibilità di recesso con preavviso (e relativa indennità) di 10 mesi. Poiché la Deloitte aveva inteso recedere anticipatamente prima della scadenza dei cinque anni, e prima della trasformazione automatica del contratto, per tali ragioni era da riconoscere al V. un risarcimento pari a 10 mensilità.

La corte rigettava l’appello incidentale Deloitte FAS relativo alla intervenuta prescrizione delle somme richieste a titolo di risarcimento del danno.

Avverso tale decisione V.G. proponeva undici motivi di censura cui resisteva con controricorso Deloitte Financial Advisory srl.

Con successivo ricorso la Deloitte Financial Advisory srl impugnava la medesima decisione proponendo quattro motivi di censura cui resisteva con controricorso V.G..

Entrambe le parti depositavano successive memorie.

Le cause erano riunite e decise all’odierna udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).

Nella specie deve, pertanto, essere considerato principale il ricorso di V. ed incidentale quello di DFAS perché il ricorso di V. è temporalmente antecedente, nella notificazione, a quello della società.

Ricorso principale:

1) – Con iniziale rilievo si osserva che ciascun motivo contiene al suo interno più profili di censura, con ciò contravvenendo al principio di specificità e chiarezza degli atti processuali. Questa Corte ha chiarito che “nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 18021/2016). Tali principi possono inficiare la ammissibilità di quelle singole censure o profili di esse non perfettamente individuabili nella esposizione del motivo. La enunciazione di violazioni se non accompagnata dalla esplicitazione delle ragioni specifiche a sostegno, impedisce un corretto esame e certamente non persegue il principio di chiarezza degli atti. Nel caso di specie, pertanto, si esaminano le censure il cui contenuto è coerente e conseguente al vizio denunciato e di cui sono esplicitate, in modo chiaro, le ragioni.

2) – Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324 c.p.c.; dell’art. art. 12 disp. gen.; degli artt. 429,430 e 431 c.p.c.; degli artt. 99 e 112 c.p.c.; omessa/gravemente carente motivazione, in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Parte ricorrente, in sostanza, denuncia la errata lettura della corte territoriale del disposto della sentenza n. 941/10, con riguardo al contenuto della stessa ed alla statuizione, passata in giudicato, sulle domande in origine poste, sia relative al rapporto di lavoro ritenuto subordinato che, in ipotesi alternativa, al rapporto di lavoro autonomo. In particolare ha sottolineato l’erroneità della decisione con riguardo alla ritenuta prevalenza del dispositivo sulla motivazione.

3) – Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324c.p.c., dell’art. art. 12 disp gen., degli artt. 429,430 e 431 c.p.c., degli artt. 99 e 112 c.p.c.; omessa o carente motivazione, in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); il motivo censura la errata applicazione del principio di prevalenza del dispositivo sulla motivazione, in quanto la corte, nell’interpretare la precedente sentenza n. 941/10, non avrebbe tenuto conto della motivazione della stessa ai fini della interpretazione del giudicato.

4)- Con il terzo motivo è denunciato il vizio di ultrapetizione, in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonché art. 161 c.p.c., per l’errata applicazione d’ufficio dell’eventuale divergenza tra dispositivo e motivazione della sentenza n. 941/10, in assenza di istanza di parte.

I primi tre motivi, sotto vari profili, riguardano la statuizione della corte territoriale circa l’eventuale contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza n. 941/2010. Parte ricorrente principale rileva che nella predetta sentenza (n. 941/2010) la corte aveva qualificato le domande relative al rapporto di lavoro autonomo, come domande nuove, così dichiarandole, in motivazione, inammissibili; nella parte dispositiva, si era limitata a confermare la decisione del primo giudice, così contrastando (e ignorando) quanto detto in motivazione circa la inammissibilità delle domande nuove. Nelle tre censure attualmente in esame è sottolineata la erronea decisione della sentenza impugnata che, nel rigettare l’eccezione di insussistenza del giudicato, ha statuito circa la prevalenza del dispositivo sulla motivazione validando comunque la esistenza del giudicato sulle domande da ultimo azionate.

Giova richiamare il percorso argomentativo della sentenza in esame.

La corte milanese, nel confermare la statuizione del tribunale, ha espressamente valutato (pg 14) le domande svolte nelle precedenti sedi processuali ribadendone la perfetta sovrapposizione con quelle innanzi a lei azionate. Inoltre, nello svolgere tale esame valutativo, ha ritenuto come la precedente sentenza n. 941/10, nell’accertare e statuire sulle domande nuove, avesse fatto riferimento alla sola domanda sul preavviso. Solo quest’ultima era stata giudicata domanda nuova.

A tali valutazioni la corte milanese ha aggiunto, ma come ulteriore ratio decidendi rafforzativa del proprio convincimento, che se pur ipotizzabile una discrasia tra motivazione e dispositivo, era quest’ultimo a doversi ritenere prevalente.

La sentenza in esame ha dunque avallato la propria decisione di conferma della sentenza del primo giudice, argomentando con tre differenti ragioni:

ha esaminato le domande poste nelle diverse sedi processuali e ne ha statuito la identità, ha chiarito che la precedente sentenza n. 941/10 ha definito nuova solo la domanda sul preavviso e, da ultimo, in ipotesi di discrasia tra motivazione e dispositivo, ha affermato la prevalenza di quest’ultimo.

Si è di fronte ad un quadro di valutazioni, plurime ed articolate, espressive di un tipico giudizio di merito non sindacabile in questa sede di legittimità. Questa Corte ha chiarito che “la violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 c.c., è denunciabile in Cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica” (Cass. n. 14297/2017; Cass. n. 17482/2007).

I motivi devono essere pertanto dichiarati inammissibili.

5) – Il quarto motivo denuncia la violazione di legge con riferimento all’art. 2909 c.c., all’art. 324 c.p.c., all’art. 1361 e ss., nella interpretazione della scrittura inter partes 27.6.2001 e nell’appendice 2 del Regolamento Partners; art. 36 Cost., e art. 2909 c.c.,; Omessa e contraddittoria motivazione in violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., dell’art. 12 disp. gen. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); violazione delle norme sulla giurisdizione e sulla competenza; (artt. 360, comma 1, nn. 1 e 2); omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Con tale motivo il ricorrente assume come la sentenza in esame abbia esorbitato dai suoi poteri nel valutare erroneamente il dictum della sentenza n. 941/10 con riguardo alle domande nuove in quella sede esaminate.

Il motivo è inammissibile, intanto per la mescolanza delle violazioni indicate ma non tutte spiegate, ma comunque assorbito dalle valutazioni dei primi tre motivi di censura e dalla dichiarazione di inammissibilità degli stessi con riferimento alle valutazioni di merito svolte dalla sentenza in esame sulla esistenza del giudicato.

6) – Il quinto motivo riguarda, sotto il profilo della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi, l’erronea statuizione della corte d’appello circa la base di calcolo per l’indennità risarcitoria riconosciuta al ricorrente calcolata. Assume il ricorrente che, in ragione della valutazione del giudicato, erano state precluse le ulteriori somme da considerare ai fini della indennità in questione. Anche tale motivo è assorbito dalla inammissibilità dei primi tre motivi.

7) – Con il sesto motivo e denunciata la violazione di legge nonché l’omesso esame di fatto decisivo con riferimento al compenso di Euro 25.822,00 erogato dal 1/3/2005 al 28/12/2005 al ricorrente. Assume quest’ultimo che tali compensi non erano da qualificare come definitivi e invariabili ma quali acconti corrisposti in attesa del conguaglio successivo; ciò in ragione di quanto stabilito nella scrittura Inter partes del 27/06/2001.

8) – Con il settimo motivo il ricorrente censura, sotto il profilo della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo, la erroneità della sentenza allorché ha valutato che gli importi corrisposti dal 1 giugno 2004 al 28 dicembre 2005 erano compensi fissi definitivi e invariabili anziché acconti sul compenso variabile da determinarsi in virtù di quanto stabilito dalla scrittura del 2001, già richiamata.

9) – L’ottavo motivo denuncia l’erroneità della sentenza ove la stessa ha omesso di rilevare e dichiarare la nullità per assenza della forma convenzionale pattuita dalla scrittura bella 27 giugno 2001, art. 9, dei presunti accordi con cui le parti avrebbero tacitamente concordato compensi fissi a decorrere dalla 01/06/2004 in tal modo sostituendo e novando la pattuizione precedente.

I tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto relativi a valutazione di merito già svolta nei precedenti giudizi che la sentenza attualmente impugnata ha valutato come coperta da giudicato. Invero si tratta di censure relative a differenze retributive, asseritamente non rispondenti a quanto dovuto al ricorrente, sulle quali la sentenza in esame ha ben chiarito che non era possibile alcuna pronuncia trattandosi di materia coperta da giudicato. Anche a tal riguardo deve richiamarsi quanto già rilevato con riguardo alla insindacabilità dell’interpretazione che del giudicato abbia dato il giudice di merito, trattandosi di espressione del suo libero apprezzamento.

10) – Con il nono motivo il ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge, del diritto di difesa e della omessa motivazione, l’erroneità della sentenza ove ha rilevato la mancata prova circa l’esistenza di utili aziendali, ai fini del compenso variabile, pur non ammettendo sul punto le istanze istruttorie proposte. Anche tale censura deve ritenersi inammissibile poiché fa riferimento a richieste istruttorie già formulate nei diversi giudizi di merito precedenti alla sentenza in esame e comunque riferite a domande che la Corte milanese ha ritenuto, come già specificato, coperte da giudicato.

11) – Il decimo motivo è relativo (con denuncia di violazione di legge e omessa e/o omessa e perplessa motivazione) al mancato riconoscimento di una diversa base di calcolo (e diversa retribuzione spettante) ai fini delle indennità risarcitorie riconosciute. Anche tale censura non considera la statuizione sul giudicato espressa dalla corte territoriale. Essa è assorbita da quanto sopra detto con riguardo li primi tre motivi di ricorso.

12) – Con l’ultimo motivo è censurata la decisione, per violazione di legge, con riguardo al danno non patrimoniale asseritamente subito dal ricorrente.

Deduce a riguardo il ricorrente di aver proposto la domanda di risarcimento del danno subito, in correlazione al rapporto di lavoro di natura autonoma, consistente nella lesione della sua immagine, professionalità e reputazione.

Nella decisione impugnata la corte d’appello, per quel che qui rileva, aveva ritenuto infondata la domanda risarcitoria valutandola collegata ad una denuncia di dequalificazione non compatibile con la natura autonoma del rapporto in esame.

Nella attuale censura il ricorrente specifica di aver azionato la domanda risarcitoria con riferimento al danno reputazionale e di immagine che erroneamente il giudice d’appello aveva ritenuto incompatibile con la prestazione di lavoro autonomo.

Pur con la necessaria specificazione che, in linea di principio, il diritto all’immagine e reputazione professionale, in quanto rientrante tra quelli fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost. (Cass. n. 8709/2016), in caso di lesione determini sempre un danno risarcibile in ogni forma di prestazione di lavoro, nel caso di specie la relativa domanda deve essere disattesa. Il motivo di censura in questa sede processuale è infatti privo di ogni indicazione qualificativa in concreto del danno nonché del suo rapporto causale con la società controricorrente.

Questa Corte, anche da ultimo ha statuito che “il danno all’immagine ed alla reputazione, inteso come “danno conseguenza”, non sussiste “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento” (Cass. n. 4005/2020). La censura proposta non contiene nessun riferimento a dette allegazioni, restando confinata in un ambito che non supera la genericità. Il motivo è inammissibile.

Il ricorso principale deve essere rigettato.

Ricorso incidentale.

1) – Con il primo motivo del ricorso incidentale la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324 c.p.c., nella parte in cui la sentenza di appello non ha considerato che la domanda relativa alla richiesta di pagamento delle indennità sostitutiva del preavviso pari a 10 mensilità fosse coperta da giudicato.

Giova ribadire che nella sentenza impugnata la Corte territoriale, confermando sul punto il primo giudice, aveva ritenuto di escludere dal giudicato la domanda relativa alla indennità sostitutiva del preavviso, dando peraltro, rispetto al primo giudice, una differente lettura della clausola 11.3 del contratto stipulato tra le parti. Tale disposizione, letta congiuntamente alla clausola 11.1 dello stesso contratto evidenziava come le parti avessero stabilito una durata della prima fase del contratto per 5 anni, senza facoltà di recesso, un automatico rinnovo alla prima scadenza con trasformazione in contratto a tempo indeterminato e la possibilità di recesso con preavviso (e relativa indennità) di 10 mesi. Poiché la Deloitte aveva inteso recedere anticipatamente prima della scadenza dei cinque anni, e prima della trasformazione automatica del contratto, per tali ragioni era da riconoscere al V. un risarcimento pari a 10 mensilità.

La decisione assunta è il frutto di una interpretazione della corte territoriale espressa nell’ambito dei suoi poteri di determinazione e giudizio del merito della controversia non suscettibile di ri-esame in sede di legittimità. Pertanto il vizio di violazione di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, rende la censura inammissibile (Cass. n. 8758/017- Cass. n. 18721/2018).

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1362,1363,1374,2237 c.c.. La società lamenta la condanna al pagamento di 10 mensilità, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, pur non essendosi mai realizzato il presupposto della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato a seguito del legittimo recesso da parte della società dal contratto di opera professionale.

Anche questa censura ha ad oggetto una valutazione di merito da parte della Corte di appello. La stessa ha infatti valutato il contenuto delle clausole sopra richiamate concludendo per il riconoscimento delle 10 mensilità. Il motivo è dunque inammissibile.

3) La società con ulteriore censura denuncia la violazione dell’art. 2947 c.c., e dell’art. 2948 c.c., nn. 4 e 5, nella parte in cui la sentenza della Corte di appello ha ritenuto dovuta la corresponsione di 7 mensilità non rilevando che la relativa domanda era definitivamente prescritta. Assume la ricorrente società di aver spiegato appello incidentale chiedendo la restituzione dell’importo in quanto prescritta la pretesa. Il motivo è inammissibile in quanto non contiene la specificazione dell’atto con la indicazione delle precise richieste ivi contenute, così non consentendo l’esame delle ragioni poste. Peraltro la sentenza in esame ha statuito, con giudizio di merito,sulla eccezione in questione.

4) Con ultimo motivo è dedotta la violazione degli artt. 2237 e 2697 c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha condannato la società a corrispondere l’indennità di preavviso, pur essendo intervenuto un legittimo recesso. Anche tale ultimo motivo è da disattendere poiché la corte di appello ha espresso una valutazione ponendo a base della stessa l’interpretazione della norma contrattuale. Anche in tal caso il giudizio di merito, espresso coerentemente ai poteri del giudice, non può essere rivisitato in questa sede.

Il ricorso incidentale deve pertanto essere rigettato.

La reciproca soccombenza determina la compensazione integrale delle spese di questo giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello pari per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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