Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6495 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2022, (ud. 10/11/2021, dep. 28/02/2022), n.6495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12256-2019 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DI PONTE

MILVIO, 14, C/0 REALI SGAMMA & ASSOCIATI STUDIO LEGALE

TRIBUTARIO, presso lo studio dell’avvocato ARSENIO MAIORANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE PACIFICO;

– ricorrente –

contro

MARINA DI CASAMICCIOLA S.R.L. UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO PISANO, N. 16, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO LEOPOLDO, rappresentata, e difesa

dall’avvocato GAETANO OTTATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1090/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/02/2019 R.G.N. 3029/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2021 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA

MARIO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 28/2/2013 la società Marina di Casamicciola s.r.l. in liquidazione attivava procedura di mobilità, comunicando l’esubero di 16 unità lavorative e prospettando la necessità di procedere al licenziamento del personale per revoca dell’appalto del settore multiservizi da parte del Comune di Casamicciola; successivamente, a seguito della proroga del servizio appaltato e della riduzione del corrispettivo dell’appalto del 50%, conclusa la procedura di licenziamento collettivo in assenza di accordo con i sindacati, la società comunicava il licenziamento a otto operai, tra cui M.M., dipendente con mansioni di necroforo presso il cimitero comunale; dichiarata l’inefficacia del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta da parte del Tribunale con sentenza 4622/15 e disposta la reintegrazione del M., la società procedeva al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato il 9/4/2015, costituito dalla soppressione del rapporto di lavoro per cessazione del servizio cimiteriale come dell’intero settore dei servizi di global service a seguito della revoca dell’appalto in relazione a detto settore; il Tribunale di Napoli, con sentenza 6043 del 2016, rigettava il ricorso in opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 51, proposto dalla società Marina di Casamicciola s.r.l. in liquidazione avverso l’ordinanza che aveva accolto l’impugnativa del licenziamento; disposta la reintegra del lavoratore, la società procedeva a intimare il 26/8/2016 altro provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro per assenza di mansioni da affidare al lavoratore; con sentenza n. 3307 del 2018 il Tribunale confermava l’ordinanza resa nella fase sommaria ex L. n. 92 del 2012, con la quale era stata respinta l’impugnazione di licenziamento intimato allo stesso lavoratore dalla società.

2. La Corte d’appello, previa riunione dei processi, in riforma delle sentenze impugnate (n. 6043 del 2016 e n. 3307 del 2018) dichiarava legittimo il licenziamento del 9/4/2015 e cessata la materia del contendere con riguardo al licenziamento intimato il 26/8/2016, compensando tra le parti le spese di tutti i gradi.

3. La Corte d’appello osservava che il licenziamento collettivo era stato conseguente a una riduzione del 50% della forza lavoro a seguito di proroga del contratto di appalto, con riduzione nella misura del 50% del compenso, laddove il recesso per g.m.o., intervenuto dopo la reintegra del lavoratore, era motivato dalla definitiva cessazione dell’appalto del servizio cimiteriale cui il M. era addetto e dall’impossibilità di adibizione dello stesso agli altri servizi gestiti in regime di proroga, porto e eliporto, settori già saturi e richiedenti specifici titoli non in possesso del lavoratore. Rilevava la Corte che, qualora un licenziamento collettivo fosse stato dichiarato inefficace per un vizio procedurale, era consentito, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, procedere a un nuovo licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, basato sugli stessi motivi sostanziali del precedente recesso. Evidenziava che, in ogni caso, il motivo posto a base del licenziamento individuale, cioè la definitiva cessazione dell’appalto per impossibilità di adibire il M. ad altre attività nell’ambito della propria organizzazione, era diverso dalla ragione posta a fondamento del licenziamento collettivo, legato alla riduzione dell’appalto. Osservava che la reintegra dell’agosto 2014 era avvenuta in ottemperanza del provvedimento del giudice, sicché la società era stata obbligata in tal senso, e che, in assenza di contestazione sul punto, doveva ritenersi che dopo la reintegra il M. non avesse svolto alcuna mansione. Rilevava, inoltre, che la società aveva assolto l’onere probatorio circa l’impossibilità di adibire il M. ad altre attività, poiché i settori porto ed eliporto, ancora operanti, oltre ad essere saturi, richiedevano specifici titoli non in possesso del lavoratore (patente nautica, brevetto per trasmissioni radiotelefoniche ed altro) e che la cessazione del rapporto alla data del 9/4/2015 aveva reso tamquam non esset il successivo licenziamento del 26/8/2016.

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M. sulla base di quattro motivi.

5. La società ha resistito con controricorso.

6. Il Procuratore Generale con propria memoria ha chiesto il rigetto del ricorso.

7. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e dell’art. 437 c.p.c., v. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello consentito alla società datoriale una inammissibile prospettazione del petitum in sede di gravame, mediante allegazione di fatti non addotti in primo grado, comportante la deduzione di una nuova e diversa causa petendi a fondamento della pretesa e l’introduzione di un diverso tema di indagine. Rileva che la società, dopo aver chiesto in primo grado di accertare la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per effetto della rinnovabilità di un precedente licenziamento viziato da errori procedurali attraverso un nuovo licenziamento basato sugli stessi motivi, ancorché formalmente e proceduralmente corretto, ha dedotto inammissibilmente per la prima volta in sede di gravame la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per effetto della pretesa diversità del motivo rispetto a quello del precedente licenziamento, consistente nell’avvenuta cessazione del servizio cimiteriale e dell’intero appalto global service che lo comprende.

2. Il motivo, oltre a non rispettare il canone di autosufficienza, mancando l’indicazione, la trascrizione e la localizzazione degli atti necessari a consentire di cogliere la prospettata novità delle deduzioni della società, è comunque infondato poiché, in base alla prospettazione, le allegazioni della parte convenuta non partecipano della natura della domanda, sì da poter invocare il principio del divieto di mutatio libelli, né dell’eccezione, tanto più dell’eccezione in senso stretto, essendo, invece, riconducibili nell’alveo delle mere difese, in relazione alle quali non è neppure in astratto prospettabile un divieto dei nova in appello.

3.Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 1, comma 2, art. 3, e art. 7, commi 1 e 2, e della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2, 3 e 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale dichiarato la legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo pur avendo la società fatto valere una ragione giustificatrice che potrebbe, anche solo astrattamente, essere posta a fondamento del precedente licenziamento collettivo, attribuendo in tal modo alla parte datoriale un antigiuridico potere di licenziamento con riserva o facoltà di licenziare nuovamente sulla scorta di un fatto già programmato al momento del primo licenziamento ma ancora non verificato.

4. Il motivo è inammissibile poiché, pur se formulato per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non indica le norme che si assumono violate, così non adempiendo all’onere di specificità dei motivi. Secondo costante orientamento di questa Corte, infatti, “l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa” (Cass. 28/10/2020, n. 23745). Nel motivo di ricorso difetta l’esame delle norme che si assumono violate e il raffronto tra esse e le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata al fine di dimostrare il contrasto con i precetti normativi richiamati.

5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’appello ritenuto che fatti successivi alla irrogazione del licenziamento potessero integrare i presupposti del giustificato motivo oggettivo (significando che mentre per il settore eliporto era stabilita una riduzione dell’orario di lavoro per i dipendenti occupati sin da data anteriore al licenziamento impugnato del maggio 2015, per il settore porto i dipendenti addetti avevano stipulato un accordo per la riduzione dell’orario di lavoro in un momento successivo), oltre che per avere ritenuto erroneamente che la necessità di specifici titoli era circostanza non contestata e omesso di considerare che in prossimità della data del licenziamento era stato assunto altro dipendente.

6. Il motivo è privo di fondamento poiché, in primo luogo, la Corte d’appello si conforma ai principi di legittimità in tema di repechage e relativo onere della prova a carico del datore di lavoro, che ritiene adempiuto sulla base di apprezzamento in fatto, insindacabile in questa sede, né assume rilevanza la pretesa violazione del principio di non contestazione, sia perché spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, resistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680 del 07/02/2019), sia perché la Corte d’appello ha adeguatamente argomentato riguardo alla mancanza in capo al lavoratore delle autorizzazioni necessarie per essere adibito ai settori ancora attivi, mentre per il resto le critiche riguardano censure sulla motivazione non consentite dalla formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo l’interpretazione di S.U. n. 8053/2014 o propongono inammissibilmente una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella assunta dai giudici del merito.

7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello dichiarato cessata la materia del contendere in ordine al licenziamento del 26/8/16 nonostante che la cessazione del rapporto non fosse ancora definitiva.

8. L’infondatezza dei primi tre motivi determina l’assorbimento dell’ultimo.

9. Il ricorso, pertanto, va rigettato, con determinazione delle spese di lite secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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