Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6495 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 19/01/2017, dep.14/03/2017),  n. 6495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14628/2014 proposto da:

UFFICIO TURISTICO ROMANO SAS, in persomi del legale rappresentante

Sig. R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANTARONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato BIAGIO DI MEGLIO giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE ISCHIA, in persona del Sindaco p.t. ing. F.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso

lo studio dell’avvocato MARCO MONTOZZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIANPAOLO BUONO, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1060/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 7/3/2014, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, decidendo sugli appelli proposti in via principale dall’Ufficio Turistico Romano s.a.s. e in via incidentale dal Comune di Ischia, tra le restanti statuizioni dopo aver accertato che, in data (OMISSIS), le parti avevano provveduto alla novazione del contratto di locazione dell’immobile di proprietà comunale, con scadenza al 31/12/2014 (secondo sessennio) – ha disatteso le domande di risoluzione per inadempimento hinc et inde proposte, accertando, con riguardo alla domanda della conduttrice, l’avvenuta accettazione dell’immobile locato, da parte della stessa, nel medesimo stato di fatto poi contestato.

Conseguentemente, il giudice d’appello ha rigettato la domanda dell’Ufficio Turistico Romano di condanna del Comune di Ischia alla restituzione dei canoni da ottobre 2009 a marzo 2010 (avendo la società conduttrice solo arbitrariamente interrotto il godimento dell’immobile locato), condannando infine il Comune alla corresponsione, in favore dell’Ufficio Turistico Romano, dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.

2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio Turistico Romano s.a.s., sulla base di cinque motivi d’impugnazione.

3. Resiste con controricorso il Comune di Ischia, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.

4. Il Comune controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1575, 1576 e 1578 c.c., in relazione agli artt. 99, 112 c.p.c., art. 113 c.p.c., comma 1 e art. 345 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente omesso di qualificare la domanda originariamente proposta dalla società attrice in connessione con l’art. 1578 c.c. (per mero errore materiale riportato in ricorso come art. 1587), ossia come domanda di risoluzione fondata su vizi della cosa locata, come peraltro agevolmente desumibile sulla base dell’interpretazione del petitum sostanziale dedotto in giudizio.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso e per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale omesso di considerare la sussistenza di una serie di circostanze di fatto (partitamente richiamate in ricorso) suscettibili di contraddire l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa l’effettiva conoscenza, da parte della società conduttrice, del danno strutturale da cui i locali concessi in locazione erano affetti.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1578 e il 1580 c.c., nonchè dell’art. 32 Cost., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato di considerare l’irrilevanza della conoscenza dei vizi della cosa locata, da parte della conduttrice, atteso che ai sensi dell’art. 1580 c.c., la pericolosità della cosa locata per la salute del conduttore, dei suoi familiari e dipendenti, vale a escludere la rilevanza della rinunzia del conduttore a far valere i vizi riscontrati.

Sotto altro profilo, la ricorrente ribadisce il mancato assolvimento, da parte del locatore, dell’onere probatorio relativo all’identità nel tempo dei vizi strutturali dell’immobile concesso in godimento, nonchè dell’onere probatorio relativo all’effettiva conoscenza di detti vizi, da parte della conduttrice, al momento della stipulazione del contratto, avuto riguardo alla sostanziale inattendibilità delle (inammissibili) prove testimoniali acquisite nel corso del giudizio.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1575, 1576 e 1578 c.c., nonchè per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ricondotto la natura dei vizi della cosa locata al paradigma normativo di cui all’art. 1578, senza indagare adeguatamente sulla natura degli effettivi vizi dell’immobile concesso in godimento, nella specie riconducibili alle previsioni di cui agli artt. 1575 e 1576 c.c., con il conseguente obbligo del locatore di provvedere all’esecuzione degli interventi di riparazione e di manutenzione ordinaria e straordinaria del bene locato, al fine di mantenerlo in condizioni tali da servire all’uso convenuto: obblighi nella specie del tutto disattesi dal Comune locatore.

5. Con il quinto e ultimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1575, 1576 e 1578 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda di condanna del Comune locatore alla restituzione, in favore della società conduttrice, dei canoni corrisposti nel periodo ottobre 2009/marzo 2010, sulla base dell’erroneo presupposto della mancata avvenuta risoluzione, in detto periodo, del contratto di locazione, per inadempimento del locatore.

6. Tutti i motivi di ricorso – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati, quando non inammissibili.

Devono essere preliminarmente rilevati i profili di inammissibile contraddittorietà tra il primo e il quarto motivo del ricorso, avendo la società ricorrente, da un lato, rivendicato l’esatta interpretazione della propria domanda nella prospettiva di cui all’art. 1578 c.c. (e dunque in relazione alla sussistenza di vizi della cosa locata di per sè tali, indipendentemente da eventuali responsabilità del locatore, da giustificare la risoluzione del contratto o la riduzione del canone), ed avendo, dall’altro, la stessa ricorrente contestato la riconduzione della natura dei vizi della cosa locata al paradigma normativo di cui all’art. 1578 c.c., erroneamente disattendendo le previsioni di cui agli artt. 1575 e 1576 c.c., con il conseguente mancato riconoscimento dell’inadempimento del Comune convenuto all’obbligo di provvedere all’esecuzione degli interventi di riparazione e di manutenzione ordinaria e straordinaria del bene locato, indispensabili al fine di mantenerlo in condizioni tali da servire all’uso convenuto.

Osserva il collegio come, al di là dei rilevati profili di contraddittorietà, la corte territoriale abbia correttamente ricostruito le premesse in fatto e in diritto della decisione adottata, evidenziando, sulla base delle valutazioni d’indole tecnica e degli elementi di prova documentale richiamati in sentenza, come la natura dei vizi della cosa locata, in quanto incidenti sulla struttura materiale dell’immobile, fossero certamente riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 1578 c.c., con la conseguente insussistenza di alcun rilievo di eventuali inadempimenti manutentivi del Comune convenuto, a fronte della naturale idoneità dello stato di fatto della cosa a giustificare, di per sè, in astratto, l’eventuale risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo pattuito.

Peraltro – con ciò pervenendo all’esame congiunto del secondo, del terzo e del quinto motivo dell’odierno ricorso -, la corte territoriale ha altresì rilevato come gli elementi di prova complessivamente acquisiti nel corso del processo avessero attestato l’effettiva conoscenza, da parte degli organi della società conduttrice, al momento della conclusione del contratto di locazione oggetto di causa, dello stato di fatto dell’immobile nelle medesime condizioni conservatesi inalterate nel tempo, non essendo emerso alcun effettivo degrado o alcun apprezzabile aggravamento di dette condizioni deficitarie del bene, dall’indicato momento della conclusione del contratto a quello delle espletate consulenze tecniche d’ufficio nel 2009 e nel 2010 –

Deve pertanto ritenersi che la corte territoriale si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale, allorquando il conduttore, all’atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, nè il risarcimento del danno o l’esatto adempimento, nè avvalersi dell’eccezione di cui all’art. 1460 cod. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 3341 del 07/03/2001, Rv. 544525 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25278 del 01/12/2009, Rv. 610241 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12708 del 25/05/2010, Rv. 613113 – 01).

Al riguardo, è appena il caso di rilevare come, attraverso tutte le odierne censure (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la società ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione.

In particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Tale rilievo, in particolare, è destinato a investire, tanto la denunciata violazione dell’art. 1580 c.c., sotto il profilo della dedotta pericolosità della cosa locata per la salute del conduttore, dei suoi familiari e dipendenti (denuncia peraltro inammissibilmente sollevata per la prima volta in questa sede, sulla base dell’apodittica qualificazione, come pericolosi per la salute, della natura dei vizi de quibus), quanto il contestato mancato assolvimento, da parte del locatore, dell’onere probatorio relativo all’identità nel tempo dei vizi strutturali dell’immobile concesso in godimento, essendosi la società ricorrente nella specie propriamente limitata a rivendicare il riconoscimento dell’indicato grave carattere dell’immobile locato, o del mancato assolvimento ex adverso del dedotto onere probatorio, sulla base di una soggettiva rilettura in fatto degli elementi istruttori già valutati dal giudice del merito sulla base di un discorso giustificativo giuridicamente corretto e del tutto congruo sul piano logico.

Quanto al profilo del vizio di motivazione, la ricorrente si è spinta a delineare i tratti di un vaglio di legittimità esteso al riscontro di pretesi difetti o insufficienze motivazionali (nella prospettiva dell’errata interpretazione o configurazione del valore rappresentativo degli elementi di prova esaminati) del tutto inidonei a soddisfare i requisiti imposti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Varrà sul punto osservare come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Ciò posto, occorre rilevare l’inammissibilità delle censure illustrate dalla ricorrente sotto il profilo dell’asserita omessa considerazione, da parte della corte territoriale, delle circostanze di fatto attestanti la mancata conoscenza, da parte della ricorrente, al momento della conclusione del contratto, dello stato effettivo dell’immobile, avendo quest’ultima, da un lato inammissibilmente preteso di rinnovare la valutazione nel merito delle risultanze di causa e, dall’altro, propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia.

Osserva il collegio, pertanto, come, attraverso le odierne censure, la società ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità.

La riconosciuta infondatezza (o inammissibilità) delle censure avanzate dalla ricorrente avverso la decisione relativa al mancato intervento di alcuna risoluzione del contratto de quo prima della relativa scadenza, vale ad assorbire la rilevanza dell’ultima doglianza illustrata, con specifico riguardo alla rivendicata restituzione dei canoni di locazione corrisposti dalla conduttrice nel periodo dall’ottobre del 2009 al marzo del 2010.

7. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata l’infondatezza (quando non l’inammissibilità) di tutte le censure sollevate dalla ricorrente nei confronti della sentenza impugnata, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.900,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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