Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6491 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2022, (ud. 28/09/2021, dep. 28/02/2022), n.6491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8879-2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA

n. 20, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GIUTTARI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SCIAMMETTA MARIA CATENA;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

DI BOCCEA n. 34, presso lo studio dell’avvocato ANNARITA FERA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO MATAFU’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 01/02/2016 R.G.N. 291/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.

la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, ha respinto integralmente la domanda sollevata da C.G. – agente tecnico esattore – finalizzata ad ottenere il riconoscimento dell’illegittimità del termine apposto ai contratti a tempo determinato intercorsi con il Consorzio Autostrade Siciliane (di seguito, CAS), a fronte della violazione del requisito della temporaneità delle esigenze, rigettando altresì la conseguente domanda di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a far data dal luglio 2000, data della stipula del primo contratto a termine e di risarcimento del danno;

in primo grado il Tribunale aveva parzialmente accolto la domanda della lavoratrice, riconoscendo l’illegittimità del termine apposto, respingendo la richiesta di conversione a tempo indeterminato, ma attribuendo 22 mensilità di retribuzione a titolo di risarcimento;

la Corte d’appello ha accolto il gravame del CAS, in quanto ha ritenuto non provato il danno subito dalla lavoratrice, assorbendo il primo motivo riguardante la legittimità del contratto;

2.

La C. ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria, cui il CAS ha opposto difese mediante controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.

il primo motivo di ricorso afferma la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., sostenendosi che la violazione di esso impeditiva della conversione del rapporto non potrebbe realizzarsi allorquando l’assunzione a termine possa avvenire per chiamata diretta.

sotto altro profilo, con il secondo motivo si adduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 56 del 1997, e del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 27 e 28, in relazione alla L.R. 5 novembre 2001, n. 17, art. 5, perché la Corte territoriale non aveva ha tenuto in considerazione l’equiparazione disposta da tale legge degli enti pubblici economici sottoposti a controllo, tutela e vigilanza della Regione o degli Enti Territoriali ai datori di lavoro privati, rilevandosi altresì come le assunzioni fossero state disposte sulla base di graduatorie formate previa selezione e riportando il tutto anche ad una censura di difetto di motivazione in ordine a fatti decisivi ed omesso esame della documentazione;

i motivi riguardano entrambi, da diverse angolazioni, il tema del diritto del lavoratore ad ottenere la conversione a tempo indeterminato in ragione dell’accertata illegittimità del contratto a termine o di più d’uno di essi;

essi sono stati desistiti in memoria e ciò comporta l’inammissibilità di tali mezzi di impugnazione per cessata materia del contendere (Cass. 23 ottobre 2003, n. 15962);

2.

il terzo motivo affronta il tema del danno ed afferma la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, perché la Corte territoriale ha posto in capo al lavoratore l’onere di provare il verificarsi in concreto di esso ai fini del risarcimento;

il motivo è fondato, avendo le S.U. di questa S.C. stabilito che “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Cass., S.U. 15 marzo 2016, n. 5072);

3.

il quarto motivo si incentra, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sulla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 6, per non avere la Corte di merito valorizzato la funzione sanzionatoria della norma e per avere, accogliendo l’appello del CAS sul presupposto che non vi fosse stata prova del danno, implicitamente disatteso il gravame incidentale della lavoratrice con cui si chiedeva di incrementare la misura del risarcimento riconosciuta dal Tribunale;

il motivo va rigettato;

l’esclusione di una concreta prova del danno, in sé non attinta in punto di fatto da congrui rilievi nel corpo del motivo, rende infatti definitiva l’esclusione di un risarcimento, al di fuori dei limiti entro cui esso, secondo il principio richiamato al punto 2 che precede, va presunto come conseguenza dell’eventuale illegittimità della reiterazione dei contratti a termine che fosse in ipotesi accertata;

4.

non fondato è altresì il rilievo del Consorzio secondo cui la Corte avrebbe disatteso tutte le domande della lavoratrice e dunque anche quella relativa all’illegittimità del termine, in quanto nella sentenza impugnata si legge chiaramente che essa assorbiva le questioni sull’illegittimità dei termini (contenute, si dice, nel primo motivo di appello) perché la ritenuta carenza di prova del danno ne rendeva inutile l’esame (v. la sentenza impugnata, pag. 3, secondo periodo);

quindi i profili riguardanti l’illegittimità dei termini apposti ai contratti oggetto di causa non sono stati affrontati e dovranno essere esaminati in sede di rinvio;

5.

conclusivamente deve cassarsi la sentenza impugnata, in accoglimento del terzo motivo, con rinvio alla medesima Corte d’Appello la quale, in diversa composizione, valuterà i profili di illegittimità dei termini rimasti assorbiti nella sentenza qui impugnata (v. il punto 4 che precede) ed eventualmente, ove dovesse addivenire al riconoscimento di tale illegittimità, pronuncerà sul danno adeguandosi al principio riportato al punto 2 e tenuto conto di quanto precisato al punto 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo e rigetta il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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