Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6490 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 09/03/2021), n.6490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CAGLIARI, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il

04/11/2019 R.G.N. 2054/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto n. 3180/2019 il Tribunale di Cagliari ha rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da O.J., cittadina della Nigeria.

2. Per quanto ancora qui rileva, il Tribunale ha osservato, in sintesi, che:

a) la richiedente ha narrato che era nata e cresciuta in un villaggio del Delta State; alla morte del padre, la setta degli Ogboni, alla quale il genitore apparteneva, aveva preteso la sua adesione, richiesta che non si era sentita di assecondare, rifiutandosi di aderire ad un gruppo che notoriamente si macchia di atroci delitti; una volta fuggita, si era sentita al riparo dalla setta, ma non era in grado di mantenersi senza un lavoro, determinandosi quindi ad espatriare;

b) non è riconoscibile lo status di rifugiato, poichè la ricorrente non si duole di alcuna discriminazione ad opera dei pubblici poteri per la sua appartenenza a gruppi etnici o per le sue convinzioni politiche o religiose;

c) non è fondata la domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, poichè, in caso di rimpatrio, “avuto riguardo alle allegazioni della richiedente, va escluso il pericolo che possa essere condannata a morte o sottoposta a tortura o altro trattamento inumano o degradante, cioè ai gravi danni tipizzati dall’art. 14, lett. a) e b) del testo normativo sopra richiamato”;

d) è infondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) in quanto nella regione di provenienza della richiedente (Delta State) e in quella in cui si era trasferita (Edo State) dopo essere fuggita dal villaggio natio si erano registrati alcuni episodi di generica minaccia con quattordici vittime civili in un’area di circa quattro milioni di abitanti, dato certamente non indicativo di violenza indiscriminata o di uno scenario di conflitto armato diffuso;

e) non è riconoscibile la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: le fonti internazionali (risalenti agli anni compresi tra il 2005 e il 2012) indicano la setta degli Ogboni come un’aggregazione assimilabile ad una lobby o alla massoneria; deve così escludersi che la ricorrente vada incontro a pericoli per la sua integrità fisica in caso di ritorno nel paese di origine; difettano poi altre ragioni di carattere umanitario, poichè l’integrazione in Italia è ancora allo stato embrionale (la ricorrente non parla italiano, non dispone di un’attività lavorativa e vive in un centro di accoglienza) e non appare formulabile, allo stato, una valutazione prognostica favorevole in ordine al superamento di questa condizione in tempi brevi; dunque, anche il giudizio di comparazione richiesto da Cass. n. 4455 del 2018 si risolve in senso sfavorevole all’interessata.

f) Il decreto è stato impugnato da O.J. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I tre motivi di ricorso si incentrano, ciascuno per diversi profili, sul tema della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2. Lamenta la ricorrente il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, per non avere il Tribunale esaurientemente indagato in ordine alla reale situazione politica esistente in Nigeria e alle gravi forme di violenza e di persecuzione, militare o terroristica o per motivi religiosi, presenti in diverse zone del paese ai danni dei civili, nonchè sulla riconosciuta pericolosità della setta segreta denominata Ogbony Society, che per raggiungere i propri scopi, non sempre leciti e spesso criminosi (con l’impunità che viene garantita ai suoi membri dal potere e con l’influenza che esercita anche su organi pubblici, quali esponenti del governo, forza di polizia e membri della magistratura), si avvale della forza dell’intimidazione derivante dal vincolo associativo e dai legami con il mondo della superstizione. Ribadisce che la ragione della fuga è stata originata dalle minacce e pressioni degli adepti alla setta, avendo ella rifiutato di aderirvi, alla morte del padre, quale primogenita, in linea ereditaria del defunto.

3. Il ricorso appare meritevole di accoglimento.

4. Va premesso che il provvedimento impugnato non contiene alcun preciso riferimento ad una valutazione di non credibilità del narrato della ricorrente. Anzi, la motivazione del decreto, nel suo complessivo tenore, sembra dare per acquisito che non vi siano incongruenze o illogicità del narrato, entrando nel merito dei presupposti delle diverse forme di tutela e muovendo proprio dai fatti e dalla vicenda personale della richiedente.

5. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, n. 2355 del 2020). A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre e dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. tra le tante, Cass. n. 9230 del 2020, n. 11096 del 2019).

6. Orbene, proprio nell’ambito dei fatti dedotti, implicitamente ritenuti attendibili, il timore della ricorrente di essere esposta al pericolo di vendette violente ad opera della setta degli Ogboni a seguito del suo rifiuto di affiliarsi – ragione adotta quale motivo della sua fuga dalla regione di appartenenza – – costituisce un tema non adeguatamente indagato ad opera del giudice di merito, che peraltro ha menzionato fonti non aggiornate (risalgono agli anni 2005/2012 le fonti menzionate dal Tribunale quanto all’accertamento della società degli Ogboni, alla loro storia, alla struttura, rituali e cerimonie, alle informazioni sull’appartenenza e alle conseguenze derivanti dal rifiuto di affiliarsi; v. nota in calce a pag. 4 del decreto).

7. Come risulta dai brevi riferimenti riportati nel decreto impugnato, le stesse risalenti fonti informative danno atto dell’esistenza di pratiche di affiliazione coartata, specialmente per i figli dei membri, e trattano il tema delle conseguenze derivanti dal rifiuto di affiliarsi, avvalorando la riconducibilità del narrato della richiedente alla credibilità estrinseca, che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito. Il decreto, poi, come già detto, non esclude la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente proprio in ordine all’elemento del reclutamento forzoso, costituente il nucleo della vicenda.

8. Tuttavia, da tali risultanze il Tribunale non trae alcuna conseguenza in merito alla valutazione dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, risultando dunque la motivazione sul punto mancante o meramente apparente.

9. In tema di protezione sussidiaria, le minacce di morte da parte di una setta religiosa integrano gli estremi del danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 sicchè l’adita autorità giudiziaria ha il dovere di accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi ed acquisendo le informazioni sul paese di origine, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ovvero se le autorità del Paese di provenienza siano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente (cfr. Cass. n. 3758 del 2018).

10. Del pari, quanto alla c.d. protezione umanitaria, una volta individuata la norma applicabile ratione temporis nel T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nel testo previgente alle modifiche di cui al D.L. n. 113 del 2018 (sull’irretroattività del quale cfr. S.U. n. 29459/19), ove sia ritenuta credibile la situazione che integra una particolare o eccezionale vulnerabilità, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis (cfr. Cass. n. 1104 del 2020, conf. Cass. n. 20894 del 2020).

11. Sostituito al radicamento sociale la vulnerabilità, giacchè questa al pari di quello richiede di procedere ad una comparazione tra la situazione attuale e quella che si prefigura per la richiedente in caso di rimpatrio, il ragionamento operato nella fattispecie dal giudice di merito risulta viziato. Il Tribunale non ha operato il giudizio di comparazione ovvero ne ha soppresso il rilievo della vulnerabilità derivante dal previssuto, supponendone apoditticamente l’indifferenza.

12. Per tutte le indicate ragioni, il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Cagliari in diversa composizione, il quale procederà ad un nuovo esame della domanda di protezione sussidiaria e umanitaria, previo esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili ed aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice dovrà riportare nel contesto della decisione e valutare motivatamente, sulla base dei principi di diritto innanzi richiamati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Cagliari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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