Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6487 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. II, 22/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 22/03/2011), n.6487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FALSCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio AMATORE S, rappresentato e

difeso dagli avvocati TAURINO CESARE, COLLORIDI FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

M.M., R.A.;

– intimati –

sul ricorso 17054-2005 proposto da:

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN

MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAGGIULA ALFREDO;

– controricorrente e ric. incidentale –

contro

P.G., R.A.;

– intimati –

sul ricorso 19349-2005 proposto da:

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato VALORI

GUIDO, rappresentato e difeso dall’avvocato ZOMPI’ FRANCESCO;

– controricorrente e ric. incidentale –

contro

P.G., M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 138/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato FRANCESCO ZOMPI’ difensore del controricorrente e

ricorrente incidentale del ricorso rg. n. 19349/05 che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

rg.n. 17054/05 ed aderisce al ricorso principale P.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale; accoglimento primo motivo del ricorso rg.n. 17054/05;

rigetto del ricorso rg.n. 19349/05.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 20/10/1994 M.M. conveniva in giudizio P.G. e R.A. e, premesso che il primo aveva realizzato, a ridosso del confine tra la proprietà di esso attore e la proprietà del P., due box (di cui uno nel 1989, venduto successivamente al R. e uno nel 1991), assumeva che le costruzioni erano in contrasto con l’art. 21 delle norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Gallipoli e chiedeva la condanna dei convenuti alla demolizione dei box e al risarcimento dei danni. I convenuti, separatamente costituitisi, contestavano sia la natura integrativa del codice civile della norma ex adverso richiamata, sia la sussistenza dei danni; il R., inoltre, chiedeva, per il caso di accoglimento della domanda attorca la condanna del P. al rimborso del prezzo pagato per l’acquisto del box e al risarcimento del danno, nonchè di essere tenuto indenne dalle conseguenze della lite.

Prima della sentenza il P. demoliva il proprio box e il Tribunale, prendendone atto, dichiarava la cessazione della materia del contendere tra il P. e il M., ma respingeva la domanda del M. nei confronti del R. escludendo la natura integrativa della norma sopra richiamata; respingeva, altresì, la domanda risarcitoria per difetto di prova. Il M. proponeva appello al quale resistevano sia il P. che il R.;

quest’ultimo riproponeva, in via subordinata, la domanda di manleva formulata nei confronti del P..

Con il primo motivo di gravame l’appellante censurava la decisione impugnata in quanto non aveva ravvisato la violazione della disposizione (art. 13 N.T.A. del PRG)che fa obbligo di rispettare la distanza di dieci metri dall’immobile frontista. La Corte di Appello di Lecce:

respingeva l’eccezione degli appellati di inammissibilità ex art. 345 c.p.c. della domanda dell’appellante ritenendo che il richiamo all’art. 13 invece che all’art. 21 NTA invocato in primo grado, riguardasse solo la qualificazione giuridica del fatto senza modificare nè la causa petendi (violazione della distanza legale), nè il petitum (demolizione dei box) e che pertanto la domanda di demolizione dei box per violazione della norma dell’art. 13 invece che 21 NTA non costituisse domandando nuova;

riteneva che l’art. 13 NTA costituisse norma integrativa del codice civile, violata dal P.;

– condannava il R. a demolire il box;

– confermava la statuizione di cessazione della materia del contendere tra il P. e il M., attribuendo, al solo fine della regolazione delle spese processuali, la responsabilità al P.;

– respingeva l’appello del M. relativamente alla domanda risarcitoria da questo proposta per mancanza di prova ;

– accoglieva le domande di rimborso prezzo e di rivalsa proposte dal R. nei confronti del P.;

– poneva a carico del P. e del R. le spese di lite del M. e a carico del P. quelle del R..

Avverso tale decisione propone ricorso P.G. sulla base di 5 motivi.

Resiste con controricorso il R., che propone anche ricorso incidentale fondato su due motivi.

Resiste con controricorso il M., che propone anche ricorso incidentale fondato su un motivo.

Il M. e il P. hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, a norma dell’art. 335 c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale dal P. ed in via incidentale dal M. e dal R. avverso la medesima sentenza.

1. Con il primo motivo del ricorso principale il P. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. perchè la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile .l’appello malgrado l’appellante abbia invocato l’applicazione dell’art. 13 delle N.T.A. del PRG di Gallipoli (norma che prevede quale distanza minima tra due costruzione contrapposte la distanza di 10 metri) mai invocata in precedenza.

Il ricorrente rileva che nel giudizio di primo grado il M. aveva dedotto la violazione dell’art. 21 N.T.A. del P.R.G.(che vieta a costruzione isolata di adiacenze da adibire ad autorimesse) e il richiamo a tale norma avrebbe integrato, secondo il ricorrente, una causa petendi non attinente alla distanza legale, ma diretta a far valere il divieto di realizzare volumi distaccati dal corpo centrale della fabbrica; lo scopo della domanda iniziale sarebbe stato, sempre secondo il ricorrente, l’accorpamento delle pertinenze con la fabbrica principale, mentre in appello, il M., chiedendo l’applicazione dell’art. 13 N.T.A., avrebbe chiesto, in violazione del divieto di domande nuove, il rispetto delle distanze legali.

Occorre ricordare, preliminarmente e in via generale, l’orientamento consolidato di questa Corte per il quale una corretta interpretazione della domanda impone all’interprete di non fermarsi alla sola analisi letterale delle parole, ma richiede anche e soprattutto una valutazione di tipo contenutistico e sostanziale, al fine di verificare la finalità perseguita dalla parte, vale a dire l’utilità concreta che l’attore si attende dal giudizio (Cass. n. 8128 del 2004, n. 22665 del 2004 Cass. 21/2/2007 n. 4034); la relativa attività ermeneutica costituisce un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito (Cass. n. 4754 del 2004) . Il giudice di appello ha rilevato che il M. in primo grado aveva esposto:

di essere proprietario di una casa di abitazione distante 3 metri dal confine;

– che il P. aveva realizzato un condominio distante metri 1,30 dal confine e aveva successivamente costruito i due box a ridosso del muro di cinta. La Corte leccese, sulla base di tali premesse, ha rilevato che il M., aveva lamentato la violazione delle regole sulle distanze legali previste dall’art. 21 N.T.A. e aveva chiesto la demolizione dei box e il risarcimento del danno.

Pertanto per il giudice di appello la domanda del M. non poteva considerarsi domanda nuova essendo rimasti immutati la causa petendi (violazione della distanza legale) e il petitum (demolizione dei box); il richiamo ad una disposizione normativa diversa rispetto a quella richiamata in primo grado atteneva al profilo della qualificazione del fatto, ma lasciava immutato il fatto costitutivo della pretesa.

Il giudice ha, dunque, ritenuto, con apprezzamento di fatto insindacabile da questa Corte (e comunque immune da censure), che sin dal primo grado fosse stata proposta una domanda di riduzione in pristino per violazione della normativa sulle distanze; di ciò, d’altra parte, erano ben consapevoli i convenuti: lo stesso ricorrente, riconosce a pag. 2 del suo ricorso, che il M. in primo grado chiedeva CTU per la verifica della distanza intercorrente tra i box e la parte più vicina della costruzione di sua proprietà.

La circostanza che possa essere stata invocata una norma non pertinente non assume, evidentemente, rilievo alcuno posto che è compito del giudice inquadrare nell’esatta disciplina giuridica il rapporto dedotto, con il solo limite del divieto di immutare il “petitum” o la “causa petendi” o di introdurre nuovi elementi nel tema controverso (Cass. 20/3/1998 n. 2965); tale limite, come detto, non è stato superato.

Le norme dei regolamenti comunali edilizi e i piani regolatori sono, per effetto del richiamo di cui agli artt. 872, 873 c.c., integrative delle norme del codice civile in materia di distanze tra costruzioni, sicchè il giudice deve applicare le richiamate norme locali indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti, acquisendone conoscenza o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti o attraverso la richiesta di informazioni ai comuni (cfr. ex multis Cass. 27/3/2002 n. 4372 e, da ultimo, Cass. 15/6/2010 n. 14446). Il primo motivo di ricorso è pertanto totalmente destituito di fondamento.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza laddove si afferma che la norma regolamentare violata sarebbe pacificamente intervenuta prima della costruzione dei box, senza evidenziare alcuna prova dell’anteriorità, mentre, contemporaneamente, si afferma che la stessa norma è intervenuta dopo la realizzazione della casa del M. e del complesso condominiale.

Quest’ultima affermazione non ha nulla di illogico o contraddittorio, posto che non era e non è in discussione la conformità della costruzione della casa del M. e del condominio alla norma tecnica di attuazione violata.

Al contrario, proprio la realizzazione dei box non solo in epoca successiva alla costruzione dei due immobili (la casa del M. e il condominio del P.) frontisti, ma anche in epoca successiva all’entrata in vigore della norma di attuazione che dettava la regola in materia di distanze integra la violazione de qua. Il motivo che attiene all’individuazione del momento della costruzione dei box sotto il profilo della sua anteriorità o posteriorità rispetto all’entrata in vigore della norma violata, è inammissibile perchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di motivazione è deducibile solo con riferimento a fatti controversi, mentre la Corte di Appello ha dato atto che l’anteriorità della norma invocata rispetto alla costruzione dei box era un fatto pacifico; il ricorrente non indica come e quando nel giudizio di merito avrebbe contestato questo fatto che la Corte ha dichiarato “pacifico”, ossìa non controverso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., che regola l’onere della prova assumendo che il giudice avrebbe applicato l’art. 13 N.T.A. senza che l’attore avesse provato che i box fossero stati realizzati a distanza inferiore ai dieci metri dall’immobile del M..

La censura è inammissibile perchè non sono prospettabili in sede di legittimità nuovi temi di contestazione non trattati nelle fasi di merito (cfr., ex plurimis Cass. n. 5150/2003; Cass. 27/5/2004 n. 10201); nel caso concreto non risulta mai contestato nelle fasi di merito che i box siano stati realizzati a distanza inferiore ai dieci metri e, comunque, per il principio della autosufficienza del ricorso il ricorrente avrebbe dovuto indicare come e quando avrebbe contestato il fatto di avere realizzato i box a distanza inferiore ai dieci metri.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione in merito all’affermazione per la quale l’art. 13 N.T.A. del P.R.G. di Gallipoli avrebbe valore integrativo del codice civile.

La doglianza è del tutto infondata in quanto per orientamento giurisprudenziale consolidatosi ormai da anni (cfr. ex multis Cass. n. 1073 del 16.01.2009; Cass. n. 213 dell’11.01.2006; Cass. n. 6501 del 24.03.05; Cass. n. 4267 del 23.03.2001 e, da ultimo, Cass. n. 17338 del 23.7.2009) le norme sulle distanze legali contenute vuoi nel piano regolatore generale, vuoi nelle relative norme tecniche di attuazione, in quanto dirette a disciplinare i rapporti di vicinato in modo equo (oltre che l’attività della P.A. per un migliore assetto dell’agglomerato urbano) hanno natura integrativa dei precetti di cui all’art. 873 cod. civ. (come si desume dalla stessa lettera della norma che rinvia alle distanze stabilite nei regolamenti locali) e la loro violazione legittima colui che assume di essere stato danneggiato dalle costruzioni eseguite in violazione di esse a domandare la riduzione in pristino ex art. 872 cod. civ..

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il giudice non avrebbe deciso sulla richiesta del M. di disporre CTU in ordine alle distanze tra le due costruzioni e alla situazione dei luoghi; il motivo ancor prima che infondato (per la evidente superfluità dell’adempimento attesa la non contestazione in merito alla distanza inferiore ai dieci metri)è inammissibile per carenza di interesse posto che la richiesta non accolta non proveniva dall’odierno ricorrente, ma dal M..

6. Il ricorso incidentale proposto dal R. nei confronti del P. riproduce, quale primo motivo, il motivo di ricorso del P. fondato sull’eccezione di inammissibilità dell’appello del R. in quanto avrebbe introdotto una domanda nuova; la censura è infondata per le stesse ragioni esposte trattando dell’identica censura formulata dal P..

6.1 Con il secondo motivo del ricorso incidentale il R. deduce che la condanna alla rimozione del manufatto sarebbe affetta dai vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c.; assume che la norma, obbligando al rispetto di determinate distanze fra costruzioni e non dal confine, non vieterebbe la costruzione sul confine e non vi sarebbe prova che sul fondo limitrofo esistesse altra costruzione a distanza inferiore a quella consentita. Siccome il R. non ha contestato il ricorso principale ma ha aderito ad esso, il suo ricorso deve qualificarsi come ricorso incidentale di tipo adesivo; nell’ipotesi di non contestazione del ricorso principale, quello incidentale può anche contenere la richiesta di cassazione della sentenza impugnata per ragioni diverse da quelle fatte valere dal ricorrente in via principale, bastando, in tal caso, che il medesimo abbia rispettato per la sua proposizione il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1. Questo secondo motivo è tuttavia inammissibile sotto un duplice profilo:

– perchè introduce un profilo completamente nuovo e mai trattato nella fase di merito nella quale si partiva dalla premessa in fatto, mai contestata, che l’immobile del M. fosse ad una distanza di tre metri dal confine e che i due box (quello del P. e quello del R.) si trovassero a ridosso del muro di cinta e si trovassero ad una distanza inferiore ai dieci metri dal fabbricato del M.;

perchè contiene una critica alla ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito che doveva costituire oggetto di impugnazione per il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5 e non per violazione di legge.

7. M.M. ha proposto ricorso incidentale lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873, 2043, 2697 e 1226 c.c.; egli censura la statuizione con la quale è stata rigettata la sua domanda di risarcimento del danno per difetto di allegazione dei relativi elementi probatori. La Corte territoriale, secondo il ricorrente, negando il diritto al risarcimento per difetto di allegazione in ordine agli elementi produttivi del danno, non avrebbe tenuto conto dei principi affermati da questa Corte in base ai quali in caso di violazione delle distanze tra costruzioni, il vicino, il cui fondo si trova di fatto ad essere asservito, per tale violazione subisce un danno da ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. 7/3/2002 n. 3341; Cass. 7/5/2010 n. 11196) e il danno, può essere rimesso, in difetto di precise indicazioni della parte danneggiata, alla valutazione equitativa del giudice di merito (Cass. 20/3/1998 n. 2975).

La censura è infondata: la Corte di Appello ha affermato che la domanda risarcitoria non poteva essere accolta perchè il danno non solo non era provato,ma perchè mancava la stessa prospettazione di un danno, con chiaro riferimento non all’an debeatur, ma a quei parametri in base ai quali il giudice può, anche di ufficio, procedere alla liquidazione del danno secondo equitativi.

Al riguardo questa Corte ha affermato che è possibile far ricorso alla liquidazione in via equitativa, quando sussistano i presupposti indicati dall’art. 1226 c.c., solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata e pur sempre sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione (Cass. 15/2/2008 n. 3794). Sotto questo profilo, deve escludersi a sussistenza del dedotto vizio di violazione degli artt. 872 e 873 c.c. e degli artt. 2043, 2697 e 1226 c.c., posto che il giudice non ha negato la sussistenza di un danno e non ha posto a carico del soggetto danneggiato dalla violazione delle regole sulle distanze l’onere di provare l’astratta sussistenza del danno, ma ha affermato che non erano stati prospettati i parametri per la sua quantificazione (eventualmente anche in via equitativa), per tale dovendosi intendere l’affermazione per la quale mancava (non solo la prova di un danno, ma anche) la stessa prospettazione di un danno.

Questa specifica statuizione implica il principio per il quale per la liquidazione equitativa del danno è necessario che siano addotti dalla parte o comunque presenti negli atti elementi idonei a costituire plausibili parametri per una liquidazione che non sia arbitraria o addirittura di pura fantasia; tale statuizione attiene alla motivazione della sentenza e non alla violazione delle norme delle quali si denuncia la violazione.

8. In conclusione, devono essere rigettati il ricorso principale del P. e i ricorsi incidentali del R. e del M. con la compensazione delle spese di questo giudizio di Cassazione in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese di questo giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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