Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6487 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8325/2013 proposto da:

R.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI

PAOLUCCI DE’ CALBOLI, 5, presso lo studio dell’avvocato DARIO

BUZZELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SALVATORE SAGLIOCCA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

HYPO ALPE ADRIA BANK SPA, in persona del suo amministratore delegato

Dr. S.L. e del vice direttore generale Dr. M.D.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 466, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CAMPEIS giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 709/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata in data 11/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 23 febbraio 2009 il Tribunale di Udine dichiarò risolto, ai sensi dell’art. 10 delle condizioni generali, il contratto di locazione finanziaria concluso da Hypo Alpe Bank S.p.a. (attrice) e da R.N. (convenuta) in data 23 dicembre 2004; condannò la R. al pagamento dell’importo di Euro 936.051,81 in favore della banca e quest’ultima, condizionatamente al pagamento, a trasferire alla R. l’immobile oggetto del contratto tra loro stipulato; rigettò le domande della R. nei confronti dell’attrice; dichiarò improponibili le domande proposte nei confronti del Fallimento (OMISSIS) (che aveva stipulato con l’attrice un contratto di appalto per i lavori di ristrutturazione dell’immobile al quale si riferiva la predetta locazione finanziaria, immobile che la R. aveva in precedenza venduto alla Hypo Alpe Adria Bank S.p.a.); compensò tra le parti le spese di lite e pose quelle di c.t.u. a carico di attrice e della convenuta.

Avverso detta sentenza R.N. propose gravame.

Si costituì in secondo grado soltanto Hypo Alpe Adria Bank S.p.a. chiedendo la declaratoria di inammissibilità e comunque il rigetto dell’impugnazione.

La Corte di appello di Trieste, con sentenza depositata in data 11 dicembre 2012, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte territoriale R.N. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi.

Hypo Alpe Adria Bank S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Con il primo motivo, rubricato “Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per assente, carente e/o inadeguata esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione e dell’art. 116 c.p.c., per erronea valutazione delle prove”, la ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe “omesso un serio e approfondito esame delle questioni controverse sottoposte al suo giudizio con l’impugnazione”, avrebbe “violato l’obbligo di decidere, con motivazione adeguata, sui diversi profili di censura della sentenza di primo grado”, non avrebbe “tenuto conto delle risultanze processuali” ed avrebbe “esposto le ragioni di fatto e di diritto della decisione in maniera del tutto confusa, incongrua ed inadeguata”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Risultano, infatti, inammissibili le censure motivazionali proposte, evidenziandosi al riguardo che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 11 dicembre 2012, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, la ricorrente non propone doglianze motivazionali nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nè può ravvisarsi nella specie un omesso esame di fatti decisivi, pure indicato nella rubrica del mezzo, vizio, questo, effettivamente riconducibile al vigente n. 5 del citato art. 360, ma non dedotto in conformità all’interpretazione di detta norma operata dalla giurisprudenza di legittimità.

Le ulteriori censure proposte risultano inammissibili in quanto del tutto generiche e volte in sostanza ad una rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità, rilevandosi peraltro che non vengono riportate in ricorso testualmente – almeno nella parte d’interesse in questa sede – le clausole contrattuali, le allegazioni delle parti, le risultanze della c.t.u. e “gli altri molteplici motivi posti a fondamento dell’impugnazione della ricorrente” cui si fa riferimento nel mezzo all’esame.

3. Con il secondo motivo, rubricato “Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in ordine all’interpretazione del contratto di locazione finanziaria, nonchè degli artt. 1353, 1359 e 1360 c.c., in ordine a decorrenza ed effetti del mancato avveramento della condizione sospensiva nel termine convenuto, nonchè dell’art. 112 c.p.c., del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dell’art. 116 c.p.c., per erronea valutazione delle prove”, la ricorrente censura l’interpretazione del “contratto di locazione finanziaria condizionata al venir ad esistenza dell’immobile” operata dal primo giudice e condivisa dalla Corte di merito ed assume che la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata perchè “emessa in palese violazione degli artt. 1353, 1359 e 1360 c.c.”.

Anche in relazione alle doglianze proposte con il secondo motivo va evidenziato che le stesse risultano generiche, non essendo stato riportato in ricorso il tenore letterale delle clausole contrattuali richiamate nel mezzo all’esame, almeno per la parte rilevante in questa sede, e neppure viene specificato quale sia il fatto decisivo (da intendersi nel senso precisato da Cass., sez. un., n. 8053 del 2014 già richiamata) di cui si lamenta l’omesso esame; inoltre, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass., ord., 27/12/2016, n. 27000), il che non è stato neppure dedotto con il motivo in scrutinio.

4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 25.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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