Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6485 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 09/03/2021), n.6485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20997-2015 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

134, presso lo studio dell’avvocato GAETANINO LONGOBARDI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

B.C.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

e contro

C.C.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4798/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2015 R.G.N. 9550/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per accoglimento del secondo

motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GAETANINO LONGOBARDI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.C. ha convenuto in giudizio il Ministero della Difesa, nonchè C.C.C., chiedendo l’accertamento dell’illegittimità di sei procedure di conferimento di incarichi dirigenziali di prima fascia e la condanna dell’amministrazione a ripetere le operazioni sfociate nel conferimento ad altri dei predetti posti o al risarcimento del danno da perdita di chances e non patrimoniale.

1.1 Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso limitatamente alle due procedure svoltesi nell’anno 2009, condannando il Ministero al risarcimento del danno da perdita di chances nell’importo di Euro 73.190,00, oltre accessori, stabilito sulla base di una probabilità di successo del B., ritenuta pari ad 1/15 e così individuata tenendo conto del numero di candidati che, secondo il Tribunale, avrebbero potuto utilmente rispondere all’interpello.

2. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale.

2.1 Quanto alla domanda accolta in primo grado, non più contestata dal Ministero nell’an, la Corte ha ritenuto che il criterio utilizzato per il calcolo delle probabilità non fosse stato specificamente censurato neppure dal B., il quale, con l’appello principale, aveva solo invocato voci ulteriori di danno, sicchè le considerazioni poi espresse, in senso critico rispetto al criterio utilizzato, nella memoria difensiva depositata in replica all’impugnazione incidentale del Ministero finivano per essere “in netta contraddizione con l’unico atto utilizzabile per rimuovere la statuizione”, ovverosia l’atto di appello.

La Corte ha poi escluso che il passaggio dalla seconda alla prima fascia, previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23 fosse automatico e che quindi ad esso potessero riconnettersi danni diretti e certi.

Sempre rispetto al quantum, la sentenza ha rigettato l’appello incidentale con cui anche il Ministero aveva contestato da vari punti di vista i criteri adottati per la liquidazione del danno.

2.2 Rispetto alle prime tre procedure del 2010, la Corte territoriale, dopo aver richiamato giurisprudenza di legittimità sulla natura del conferimento di incarico dirigenziale, ha respinto l’appello del B., ritenendo in sintesi che, a motivare la decisione, fosse sufficiente che la P.A. argomentasse sulle qualità del prescelto e desse conto di avere esaminato, come nella fattispecie era accaduto, i curricula degli altri concorrenti.

2.3 Il giudice d’appello ha poi escluso, quanto alla quarta procedura del 2010 (incarico Ispedife), cui destinava un’autonoma motivazione, che, dall’anomala indicazione dei criteri avvenuta dopo la pubblicazione del posto e l’acquisizione di alcune candidature, fosse derivato un danno per l’appellante principale il quale, al pari degli altri concorrenti era stato “rimesso in termini” ed avrebbe potuto integrare la domanda già presentata. La Corte di merito ha altresì aggiunto che il B. non aveva nè allegato nè dimostrato che l’anomalia procedimentale avesse favorito i candidati che avevano presentato domanda dopo il secondo avviso.

2.4 Infine, la Corte territoriale ha ritenuto che l’originario ricorrente non avesse dimostrato il danno morale, esistenziale e professionale del quale aveva domandato, anche in sede di appello, il risarcimento ed ha sottolineato la genericità delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, rimarcando che il danno non patrimoniale non poteva essere ritenuto in re ipsa.

3. Avverso la sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, articolati in più punti, ai quali ha opposto difese il Ministero, mediante controricorso con ricorso incidentale, affidato a due censure.

Il B. ha replicato al ricorso incidentale con apposito controricorso, depositando altresì memoria in vista della originaria trattazione in sede camerale, al cui esito la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Ragioni di ordine espositivo consigliano di iniziare la disamina dal primo motivo del ricorso principale e dai due motivi del ricorso incidentale.

Essi riguardano infatti, da opposti punti di vista, i criteri di liquidazione del danno derivato al B. dalle procedure di nomine dirigenziali attuate nel 2009, rispetto alla illegittimità delle quali, riconosciuta dal Tribunale, si è pacificamente formato il giudicato interno, non avendo il Ministero proposto appello sul punto.

1.1 Con il proprio primo motivo di ricorso per cassazione il B. afferma, da un primo punto di vista, l’esistenza di plurimi errores in procedendo (violazione art. 112 c.p.c. e motivazione apparente) ed in iudicando (violazione art. 1362 ss. c.c.).

Egli sostiene in sostanza che la Corte d’Appello avrebbe trascurato (art. 112 c.p.c.) o del tutto contraddittoriamente valutato (motivazione apparente), le censure sollevate in appello, con riferimento al novero dei possibili partecipanti, sul cui numero è stato calibrato il calcolo delle chances perdute, omettendo altresì di considerare, attraverso una valutazione coerente dell’atto di appello e della successiva memoria, il comportamento complessivo della parte (violazione dell’art. 1362 c.c.).

Infatti, a fronte di 15 possibili candidati individuati dai giudici di merito, il B. sostiene di aver evidenziato come soltanto lui avesse completato il primo mandato nella 5 fascia retributiva di vicedirettore generale, il che avrebbe determinato una ben più ampia probabilità di successo da parte sua. Egli sottolinea altresì di avere fatto constare, con l’appello, la propria notevole quantità di titoli ed il rilievo di essi, lamentando che la Corte territoriale avesse omesso di pronunciarsi anche sulla richiesta dei danni riflessi conseguenti alla perdita subita sui trattamenti di buonuscita e quiescenza.

Neppure poteva sostenersi, aggiunge il ricorrente, che egli non avesse contestato il criterio adottato dal Tribunale o non ne avesse chiesto la correzione, in quanto nell’atto di appello l’adesione a quei parametro era stata manifestata come del tutto subordinata, a fronte dell’insistenza sugli importi indicati nel prospetto delle perdite inserito nel ricorso di merito.

1.2 Il motivo va in parte qua disatteso.

La Corte territoriale, come si è detto, ha affermato – e ciò del tutto chiaramente – che dall’appello derivasse conferma e non smentita del criterio e dei calcoli liquidatori adottati dal giudice di primo grado, sicchè la diversa posizione assunta nella memoria difensiva non poteva dispiegare l’effetto di introdurre ex post una critica originariamente mancata nell’atto che avrebbe dovuto contenerla.

Premesso che la Corte richiama espressamente anche la pagina dell’atto di gravame ove vi sarebbe stata adesione al criterio liquidativo e di calcolo, il ricorso per cassazione, per smentire validamente tale assunto, avrebbe dovuto riportare compiutamente non tanto il contenuto della predetta memoria, che non è in discussione, quanto l’atto di appello, di cui sono invece riportate solo alcune frasi non decisive (pag. 23 del ricorso per cassazione) e poi alcune parole, inserite in un ragionamento difensivo dell’impugnazione di legittimità (v. pag. 24, primo periodo del ricorso per cassazione).

La formulazione della censura si pone dunque in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, riportando anche la trascrizione esplicita e completa dei passaggi degli atti e documenti su cui i motivi si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente in tali atti e documenti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469).

D’altra parte, il chiaro senso della motivazione quale sopra riepilogato, non si presta in alcun modo ad una censura sub specie della mera apparenza di essa per manifesta contraddittorietà, mentre il richiamo alle regole sostanziali di valutazione del comportamento complessivo della parte (art. 1362 c.c.) non può certamente valere ad impedire una preclusione di natura processuale, come è quella derivante dai limiti del contenuto impugnatorio dell’atto di appello, attraverso la valorizzazione di difese successive di diverso tenore, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale.

1.3 Generica e come tale inammissibile è poi la censura di omessa pronuncia della Corte d’Appello sulle ricadute dell’illegittimo operato della P.A. rispetto ai trattamenti di buonuscita e quiescenza.

Dalla sentenza della Corte d’Appello si evince che il Tribunale considerò espressamente e liquidò specifici importi a titolo risarcitorio dei due menzionati profili, rispettivamente per Euro 10.400,00 ed Euro 53.040,00, poi ricompresi nel maggior totale riconosciuto di Euro 73.190,00.

Non è quindi chiaro a che cosa si riferisca la denunciata omessa pronuncia ed in che cosa, sullo specifico punto, quanto riconosciuto dal Tribunale fosse carente.

1.4 All’ultimo punto del primo motivo di ricorso, si affronta invece un diverso profilo del danno da perdita di chances.

La pretesa del B. era quella di sentirsi riconoscere non solo il danno derivante dalla perdita delle retribuzioni per gli incarichi di prima fascia perseguiti, ma anche quello conseguente al fatto che, ove gli fosse stato attribuito uno degli incarichi inerenti alle procedure del 2009, con lo svolgimento di esso senza incorrere in responsabilità dirigenziale per un triennio, egli avrebbe avuto accesso di diritto (per effetto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, comma 1, nel testo vigente fino al 15.11.2009 e per gli incarichi conferiti prima di quel momento, essendo poi il termine divenuto quinquennale per effetto del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 43) alla prima fascia dirigenziale, sicchè andava riconosciuto il ristoro anche di tale perdita patrimoniale, destinato a proiettarsi ancor più a lungo nel futuro.

La Corte territoriale, sul punto, ha ritenuto che i presupposti del diritto al riconoscimento della prima fascia nei termini di cui alla citata normativa fossero del tutto incerti, non dipendendo solo dalla volontà del dirigente, ma da altri fattori non verificabili a priori e dunque inidonei a sorreggere una valutazione di probabilità.

Il ricorrente sostiene, con la parte di motivo qui in esame, che la Corte avrebbe trascurato l’esistenza di sue “ovvie elevate probabilità” ed “ottime chances” di accedere alla prima fascia per effetto delle richiamate regole legali.

Si tratta di censura al contempo inammissibile ed infondata.

Con essa, infatti, si prospetta una diversa valutazione del giudizio, di pertinenza del giudice del merito, in ordine alla sufficienza del nesso probabilistico tra attribuzione del posto e successivo maturare dei presupposti per il miglioramento di fascia, in sè incerto e addirittura riguardante una prognosi per così dire di secondo grado, potendo scaturire non solo dall’esito positivo della selezione, ma poi anche dall’esito positivo del successivo incarico.

In ogni caso, proprio per tale portata duplicemente ipotetica del pregiudizio rivendicato, la pretesa si colloca al di fuori della portata normativa dell’art. 1223 c.c., il quale consente il ristoro del mancato guadagno solo in quanto esso “sia conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento.

1.5 Anche i motivi di ricorso incidentale del Ministero si concentrano, come detto, sul tema del quantum debeatur rispetto al danno da perdita di chances quale determinato dal giudice di primo grado e confermato dalla sentenza d’appello.

Con il primo di tali motivi si afferma la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 D.Lgs., commi 1 e 1-bis, per avere la Corte territoriale ritenuto corretto che il calcolo delle probabilità avvenisse sulla base dei soli dirigenti afferenti al livello economico apicale della seconda fascia, quali – afferma la sentenza impugnata – “unici dirigenti possibili destinatari (anche per prassi istituzionale) di incarichi di prima fascia e comunque necessariamente svolgenti funzioni di vicedirettore generale”.

Analogamente, il secondo motivo afferma che la soluzione avallata dalla Corte d’Appello violerebbe l’art. 20 del c.c.n.l. del personale dirigente per quadriennio normativo 2002-2005, che anch’esso non limitava l’accesso alle procedure ai soli dirigenti di fasce retributive apicali o comunque svolgenti funzioni di vicedirettore generale.

Il Ministero censura il fatto che la Corte di merito abbia fatto riferimento ad una prassi istituzionale, sulla base della quale essa ha ridotto il novero dei papabili, con risultato finale di favore per il ricorrente, sostenendo che in tal modo la motivazione si sarebbe posta in contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, oltre che con l’art. 20 del c.c.n.l. ed altresì in contrasto, ove da intendere come tale l’avere fatto riferimento agli usi di cui all’art. 1 preleggi, n. 4 con gli artt. 1 e 8 preleggi che consente di valorizzare tale fonte solo in quanto richiamata dalla legge o dai regolamenti di disciplina della materia.

I motivi, che non censurano in sè il criterio di calcolo delle probabilità sulla base dei potenziali partecipanti alla selezione, sono inammissibili.

La limitazione dei concorrenti a coloro che, per prassi, sono soliti essere considerati, fa parte del ragionamento logico svolto dalla Corte di merito per la determinazione delle probabilità di perdita della chance, sul presupposto che una valutazione concreta di tale probabilità non può che avere riguardo a chi di regola viene considerato rispetto a tali selezioni e non a regole astratte di possibilità giuridica di partecipazione.

Il richiamo a violazioni di norme di legge o di contratto è dunque mal posto, nè la Corte di merito ha inteso fare riferimento – e la diversa ipotesi formulata con il motivo travisa la ratio decidendi – ad usi normativi, quanto piuttosto, nell’ambito di un’insindacabile valutazione di merito, a prassi di limitazione concreta del novero dei papabili.

2 Il secondo motivo del ricorso principale, anch’esso articolato in più punti, contiene critiche riguardanti quella parte della decisione della Corte d’Appello che è stata dalla medesima destinata alle tre procedure del 2010 diverse da quella relativa all’incarico Ispedife.

In proposito, il B. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 97 Cost., nonchè la mera apparenza della motivazione addotta dalla Corte di merito.

Il ricorrente sostiene che i provvedimenti assunti, dando atto soltanto dell’avvenuto esame dei curricula dei pretendenti non prescelti, non integrerebbero la “valutazione comparativa” richiesta e che il contrario assunto della Corte territoriale sarebbe del tutto immotivato.

Da altro punto di vista il ricorrente sostiene che erroneamente, così violando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, commi 1 e 1-bis, e comunque con motivazione soltanto apparente, la Corte territoriale ha ritenuto che costituisse valido criterio di valutazione e scelta quello dell'”investimento professionale” introdotto dal D.M. 5 ottobre 2010.

Più in generale, il B. sostiene che la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulle censure avanzate nei confronti del D.M. 5 ottobre 2010 e dei criteri di valutazione da esso introdotti.

I diversi profili, stante il fatto che essi riguardano le medesime procedure, possono essere esaminati congiuntamente.

2.4 Le censure riguardanti in generale i criteri di cui al D.M. 5 ottobre 2010 sono nel loro complesso da disattendere, in quanto i motivi non contengono la trascrizione del citato provvedimento e dunque, quanto all’omessa pronuncia, non è dato percepire la decisività di quanto sul punto addotto nel giudizio di merito.

Tale difetto di prospettazione impugnatoria coinvolge anche le censure sul criterio dell'”investimento professionale”.

La Corte distrettuale ne ha ritenuto la legittimità sul presupposto che esso avesse il fine, non discriminatorio, di assicurare che la scelta non cadesse su persone la cui vicinanza a pensione assicurasse la presenza solo per un periodo insufficiente.

I profili di censura destinati dal ricorrente principale a tale criterio non precisano quale rilevanza esso abbia avuto nella scelta finale censurata, nè quale sia stata la portata di esso ai danni del ricorrente, eventualmente anche sotto l’aspetto della vicinanza a pensione fatto oggetto del passaggio motivazionale della Corte di merito.

Mancando poi anche, per il predetto difetto di trascrizione, un inquadramento delle censure nell’ambito degli altri criteri e del complessivo provvedimento regolativo dei requisiti di scelta, ricorre anche in questo caso il difetto di specificità, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, di cui già si è detto in precedenza ad altro proposito, sicchè il motivo risulta in parte qua inammissibile.

2.3 Le questioni riguardanti l’obbligo di motivazione si concentrano invece nella critica all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, ad assolvere gli obblighi della P.A., sarebbe sufficiente l’attestazione di avere esaminato i curricula degli aspiranti e di avere argomentato la nomina con riferimento alle qualità del prescelto.

Secondo il ricorrente, tale orientamento sarebbe tale da pregiudicare l’effettività dei principi affermati, anche in giurisprudenza, in ordine alle modalità di definizione dei procedimenti di conferimento degli incarichi dirigenziali.

Effettivamente la sentenza impugnata è coerente in punto di fatto con quanto affermato dal ricorrente, allorquando in essa si sostiene che non possa dirsi “carente una motivazione comparativa” per essere stati “i provvedimenti di nomina… motivati con riferimento alla qualità del prescelto” ed essere stati “i curricula degli aspiranti…. acquisiti”, affermandosi altresì nei provvedimenti stessi che essi “sono stati tutti esaminati”.

Ciò posto, il motivo è in parte qua da ritenere fondato, nei termini di seguito precisati.

Costituisce orientamento consolidato quello per cui “in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1 obbligano l’amministrazione (…) anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (…) a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile” (Cass. 14 aprile 2008, n. 9814, cui hanno poi fatto seguito, in senso conforme, Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088, Cass. S.U., 23 settembre 2013, n. 21671 e, più di recente, Cass. 2 febbraio 2018, n. 2603).

D’altra parte, deve ritenersi che il requisito motivazionale, ove riferito ad una valutazione comparativa, per essere soddisfatto necessiti l’esplicitazione non solo delle qualità che caratterizzano la posizione del prescelto, ma anche di quelle degli altri candidati e delle ragioni per le quali, rispetto alle qualità valorizzate, essi siano stati scartati.

E’ intrinseco al derivare di tale requisito dal principio di correttezza e buona fede il fatto che il corrispondente adempimento non possa essere assolto in via meramente formale, dovendo invece rendere chiari i profili cui discrezionalmente si è ritenuto di attribuire preponderanza e, poi, le ragioni per cui, rispetto a tali profili, gli altri concorrenti fossero da ritenere meno preferibili.

D’altra parte, di fronte ad una motivazione mancante, carente o illegittima la domanda che sia impostata sul piano risarcitorio ha la sostanza del risarcimento da perdita di chance e i conseguenti apprezzamenti giudiziali devono essere rispettosi sia della pertinenza al datore di lavoro del merito delle scelte, sia del non trattarsi comunque di danno in re ipsa.

Pertanto, nel caso in cui la motivazione sia mancante o non esprima validamente neppure i criteri su cui la P.A. ha ritenuto di fondare la scelta, non potrà che procedersi apprezzando ex novo in via comparativa i curricula, accertando quindi se chi agisce avesse una significativa probabilità di essere prescelto e, in caso positivo, calcolando il risarcimento in misura tale da tener conto dell’incertezza comunque sussistente in un giudizio non solo prognostico, ma anche in sè ipotetico.

Qualora la motivazione assunta dalla P.A. contenga invece almeno una valida espressione dei criteri di merito valorizzati e posti a fondamento della nomina, essendo necessario rispettare la sfera decisionale esclusiva della P.A., l’apprezzamento non potrà invece che riguardare, più limitatamente, la possibilità, ancora secondo criteri di significativa probabilità, che il corretto adempimento, e quindi la valutazione comparativa delle posizioni dei candidati esclusi in relazione ai medesimi titoli valorizzati per il prescelto, potesse portare, nei loro confronti, ad un diverso esito, su cui fondare il ristoro.

2.4 L’accoglimento del motivo in parte qua comporterà quindi, nel caso di specie, un nuovo esame dei provvedimenti posti a base della decisione datoriale, sulla base dei criteri sopra indicati.

3. Ricalcando la scansione decisionale impostata dalla Corte d’Appello, il terzo motivo di ricorso per cassazione del B. riguarda invece il conferimento dell’incarico di Direttore dell’Ufficio Centrale per le Ispezioni Amministrative (Ispedife), rispetto al quale il ricorrente lamenta la contraddittorietà intrinseca della motivazione, rubricata sub art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1-bis e dei canoni di correttezza e buona fede, di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, rapportati all’art. 97 Cost..

In fatto è pacificamente accaduto che, dopo un primo avviso di selezione del luglio 2010, la procedura sia stata riaperta ed assoggettata ai nuovi criteri valutativi di cui al D.M. 5 ottobre 2010.

La Corte territoriale, pur rimarcando che “l’operazione compiuta dalla P.A. non brilla per trasparenza”, ha ritenuto che l’anomalia non potesse da sè sola considerarsi ragione di pregiudizio per il B., il quale non aveva affermato che essa fosse stata discriminante nei suoi confronti, mentre, rispetto ai criteri di scelta ed alle procedure di valutazione, valeva quanto affermato dalla stessa Corte per gli altri incarichi del 2010.

Ad avviso del ricorrente l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui egli non avrebbe allegato che i nuovi criteri fossero tali da sfavorirlo, si porrebbe in contraddizione con l’altra affermazione, contenuta nella medesima sentenza, secondo la quale egli aveva censurato l’utilizzazione di quei criteri, al punto che la stessa Corte si era spinta a motivare rispetto al fatto che il nuovo criterio dell’investimento professionale non sarebbe stato illegittimo.

3.1 La deduzione è inammissibile.

E’ vero che la Corte territoriale, nell’esaminare le questioni sull’incarico Ispedife, ha fatto richiamo a quanto da essa precedentemente motivato rispetto alle censure inerenti ai criteri di cui al d.m citato.

Tuttavia, a fronte del fatto che comunque i giudici di appello hanno ritenuto che mancasse la precisazione delle ragioni (concrete) per cui quei criteri lo avessero pregiudicato rispetto a quell’ultima procedura, il B. non poteva limitarsi a ricercare contraddizioni nell’esposizione motivazionale, ma doveva primariamente evidenziare, trascrivendo i corrispondenti passaggi, che quei pregiudizi erano stati viceversa evidenziati proprio anche rispetto a quella procedura e come.

In mancanza il motivo finisce per risultare generico e sostanzialmente ipotetico e quindi, come tale, inammissibile per mancanza di concretezza impugnatoria.

Il ricorrente aggiunge altresì che la modificazione dei criteri avrebbe agevolato il C. introducendo criteri ex post “tra cui quello che ha favorito il Dott. C.”.

Anche in tale parte il motivo è generico, in quanto esso, dovendosi misurare con l’affermazione espressa della Corte secondo cui non era stato allegato pregiudizio derivante dai nuovi criteri, avrebbe dovuto essere corredato della specifica precisazione, nel contesto della argomentazione destinata a quel profilo, di quale criterio avesse appunto favorito il C., non potendo certamente essere il giudice di legittimità, in contrasto con i già menzionati criteri di specificità che devono caratterizzare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., il ricorso per cassazione, a integrare il contenuto della doglianza ricercando, negli atti o nel contesto di altri motivi di ricorso, ragioni utili a concretizzare quella generica affermazione.

4. L’ultimo motivo del ricorso principale riguarda il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, anche rispetto al capo di domanda accolto nei gradi di merito.

La Corte territoriale ha disatteso la domanda del B. escludendo che tali danni potessero considerarsi in re ipsa ed affermando che non fosse chiaro quale danno alla professionalità potesse sussistere al di là di quanto ristorato con le riconosciute perdite patrimoniali. La Corte ha sottolineato quindi come, “a parte la deduzione sui titoli e sulla generica emarginazione”, era mancata una specifica allegazione “di elementi idonei a dimostrare, anche solo per presunzioni, il tipo e l’entità dei danni subiti”.

Il motivo di ricorso per cassazione, sul punto, denuncia la violazione degli artt. 2,3,4 e 35 Cost. e art. 41 Cost., comma 2 nonchè degli artt. 2087 e 2103 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e sostiene la natura meramente apparente della motivazione, per la quale richiama l’art. 360 c.p.c., n. 5 Si tratta di censure generiche che, per un verso, si limitano ad insistere sull'”emarginazione evidente ed illustrata a partire dal ricorso di merito”, senza trascrivere i passaggi di esso a tal fine rilevanti e, nel resto, contengono affermazioni che ribadiscono l’asserita illegittima esclusione dalle selezioni censurate, ma nulla apportano di concreto rispetto ai profili decisori attinenti allo specifico tema del danno non patrimoniale.

5. In definitiva va accolto soltanto il secondo motivo del ricorso principale, nei termini di cui al punto 2.3 e con riferimento alle tre procedure del 2010 diverse da quella per Ispedife, cui segue il rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, mentre nel resto i motivi, principali ed incidentali, vengono disattesi.

6. Il ricorrente principale risulta parzialmente vittorioso e dunque non ricorrono i presupposti perchè si dia atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Tale attestazione, nonostante la declaratoria di integrale inammissibilità del ricorso incidentale, non può avere luogo neppure nei riguardi del Ministero della Difesa, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4315; Cass. 27 novembre 2017, n. 28250; Cass. 8 maggio 2014, n. 9938).

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso principale, rigetta nel resto il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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