Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6484 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. I, 06/03/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 288/2015 proposto da:

Immobiliare Terricelle S.r.l., nella persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco

Sgroi e dall’Avv. Maria Grazia Picciano e presso lo studio di

quest’ultima elettivamente domiciliato, come da procura a margine

del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, (già Ministero dei

Lavori Pubblici), nella persona dei rappresentanti legali in carica,

rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici domiciliano in Roma;

– controricorrente –

e

Impresa P. & C. S.p.a., (già SI.TA.PI. S.r.l. e Foglia

S.r.l.), nella persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Andrea

Cuminetti e Bruno Cossu, ed elettivamente domiciliato, unitamente

all’Avv. Cuminetti, in Roma presso gli Avv.ti B. Cossu e S. Bomboi.

– controricorrente –

e

A.N.A.S., ora A.N.A.S. S.p.a., nella persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege presso l’Avvocatura

Generale dello Stato in Roma;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1261/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata in data 19/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dai consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione dell’11 ottobre 19976, la Immobiliare Torricelle S.r.l., quale proprietaria di terreni su cui veniva realizzata l’opera pubblica statale nel Comune di Piacenza proponeva azione di condanna nei confronti del Ministero dei Lavori pubblici e dell’ANAS e delle società esecutrici dei lavori SI.TA.PI S.r.l., FOGLIA S.r.l., Costruzioni Generali Prefabbricate S.p.a. e I.L.E.S.I. S.p.a., per illecita privazione della proprietà dei terreni medesimi per effetto di “accessione invertita, conseguente ad una illegittima procedura espropriativa”, nonchè per “illiceità ed arbitrarietà dell’escavazione ed asportazione di materiale ghiaioso e terriccio”, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti e, in subordine, la condanna dei soggetti convenuti, a titolo di ingiustificato arricchimento, per la escavazione di materiali, oltre interessi e rivalutazione monetaria:

2. Con sentenza non definitiva n. 3739 depositata il 27 dicembre 2001, il Tribunale di Bologna rigettava le eccezioni di legittimazione passiva sollevate da tutti i convenuti e sospendeva il giudizio in attesa del ricorso proposto dalla società Torricelle S.r.l. avanti il giudice amministrativo per illegittimità del decreto di proroga del termine di pubblica utilità dehe opere e delle connesse procedure di esproprio adottato dall’Anas con provvedimento del 10 marzo 1994.

3. Con sentenza n. 2914/2010 depositata in data 25 ottobre 2010 il Tribunale di Bologna dichiarava l’occupazione usurpativa degli immobili di proprietà della Immobiliare Torricelle S.r.l. a seguito dell’annullamento dei titoli amministrativi d’esproprio, con diritto della parte al risarcimento in base al valore venale dei beni; dichiarava non rilevante la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis; condannava il Ministero dei lavori pubblici (ora Infrastrutture), l’Anas e le società esecutrici dei lavori SI.TA.PI S.r.l., FOGLIA S.r.l., Costruzioni Generali Prefabbricate S.p.a. e I.L.E.S.I. S.p.a., detratti gli acconti ricevuti, al risarcimento di Euro 98.248,66 determinato al 31 dicembre 2009, oltre interessi legali da tale data al saldo; accoglieva la domanda relativa all’asportazione della ghiaia, in relazione a tutte le parti convenute ad eccezione di ANAS, condannando al pagamento a tale titolo della somma di Euro 112.296,58, liquidata al 31 dicembre 2009, oltre interessi da tale data al saldo; dichiarava, infine, che detta pronuncia non copriva i rapporti interni fra i convenuti, ferma la solidarietà nei confronti della società attrice.

4. Avverso entrambe le sentenze proponevano appello l’Anas e il Ministero dei Lavori pubblici e la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1261/2014 pubblicata il 19 maggio 2014, confermava la condanna al risarcimento del danno di cui ai punti 1 e 3 della sentenza n. 2914/2010 nei confronti di tutti i soggetti convenuti in primo grado; rigettava la domanda risarcitoria proposta da Immobiliare Torricelle s.r.l. relativa alla escavazione ed asportazione di ghiaia; dichiarava le spese di lite di entrambi i gradi compensate tra tutte le parti confermava la ripartizione delle spese di cui ai punti 9 e 10 della sentenza n. 2914/2010.

5. La Immobiliare Torricelle S.r.l., avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna; proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.

6. Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e l’Impresa P. & C. S.p.a. resistevano con controricorso.

7. La Immobiliare Torricelle S.r.l. depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo:motivo la Immobiliare Torricelle S.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2056 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ad avviso della società ricorrente il CTU ha applicato erroneamente la stima del valore di mercato, sia perchè la valutazione era riferita al novembre 1997; sia perchè erano state ritenute irrilevanti le risultanze dei rogiti di vendita versati agli atti della perizia del consulente di parte attrice, Dott. C.; sia perchè il CTU e i giudici di merito avevano ritenuto che il prezzo risultante da tali atti sarebbe stato appropriato per la rimanente parte del terreno che era rimasto di proprietà della Immobiliare Torricelle S.r.l., ma non per l’area espropriata/acquisiva, proprio perchè assoggettabile all’esproprio essendo classificata come “zona F2 destinata alla viabilità”.

1.1 Il motivo è inammissibile perchè il tema è introdotto per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Ed invero, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass., 24 gennaio 2019, n. 2038).

Nel caso in esame la parte ricorrente, a pag. 7 del ricorso per cassazione, afferma: “la ricorrente contestava, infatti, la coerenza logica della CTU in base alla quale, ed in totale recepimento della quale, il giudice di primo grado aveva determinato l’entità del risarcimento in parola. Il giudice d’Appello ha respinto le predette eccezioni ed allegazioni dell’odierna ricorrente, confermando, così, la sentenza di I grado e la contestata liquidazione del risarcimento che essa contiene”.

Nella sentenza impugnata, a pag. 13, si legge che “tutte le parti lamentano l’erronea determinazione del quantum da parte del primo giudice, Immobiliare Torricelle per difetto e le altre parti per eccesso” ed ancora che “la Immobiliare Torricelle attribuisce al terreno un valore di Euro 676.590”; a pag. 14 “Il ctu Sc. ha persuasivamente ritenuto che i valori indicati da Imm. Torricelle sarebbero stati corretti per la determinazione del valore della restante parte dei terreni dell’azienda, sui quali è stato poi realizzato un vasto complesso commerciale, ma non per quelli oggetto del presente giudizio la cui appetibilità di mercato era condizionata dal vincolo di destinazione d’uso del Piano regolatore, che ne precludeva la possibilità edificatoria”.

Il giudizio d’appello, quindi, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la questione relativa alla valutazione del terreno oggetto di occupazione che avrebbe dovuto essere espressa facendo riferimento al valore venale dell’intero fondo”.

Ed è noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum dei giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. 9 agosto 2005, n. 16742; Cass., 24 novembre 2004, n. 22154).

Ciò in applicazione anche del principio di autosufficienza del ricorso che implica, non solo l’onere di allegazione dell’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, l’onere di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, ciò che, nel caso di specie, non è accaduto.

La società ricorrente, infatti, non ha specificamente indicato, con la riproduzione in ricorso dei corrispondenti passi dei suoi scritti difensivi, se e come abbia rappresentato tale questione al giudice dell’impugnazione della sentenza di primo grado.

Del resto trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), la norma consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, un esito diverso della controversia.

Ne consegue che h ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” Nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha indicato, riproducendone in ricorso la relativa deduzione, se e come abbia rappresentato, innanzi al giudice di merito, i fatti, come in precedenza esposti” che la Corte di appello non ha esaminato.

Si tratta, peraltro, di fatti che, pur se espressamente esaminati, non risultano tali da far ritenere che la corte d’appello, se li avesse esaminati, avrebbe senz’altro assunto una decisione diversa da quella presa.

La Corte di appello, infatti, ha ritenuto di condividere le argomentazioni spese dal CTU affermando che la differenza di valutazione dipendeva esclusivamente dalla destinazione urbanistica dell’area da valutare.

Con l’ulteriore corollario che alla dedotta genericità del ricorso non può sopperirsi con le memorie, sicchè non rileva che con tale atto la ricorrente abbia inteso “richiamare e confermare” quanto già genericamente dedotto nel ricorso.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte i vizi di genericità o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente inammissibili (Cass., 7 marzo 2018, n. 5355; Cass., 15 aprile 2011 n. 8749; Cass., 29 marzo 2006, n. 7237).

Anche sotto il profilo di impugnazione dedotto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non può dirsi avvenuta alcuna violazione di legge.

In proposito deve premettersi che in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, il sistema indennitario è, ormai, svincolato da valori tabellari e formule mediane dichiarate incostituzionali e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene, ferma restando la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, ciò in ragione della disciplina urbanistica dettata in funzione della razionale programmazione del territorio, anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici, che le regole di mercato non possono travalicare.

L’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione del criterio dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, recepito nel T.U. espropriazioni agli artt. 32 e 37, con ciò escludendosi le possibilità legali di edificazione tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, quale verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità e così via.

A tali principi si è, nella sostanza, attenuta l’impugnata sentenza, che dopo aver dato atto che le aree in questione erano ricomprese nel P.R.G. 1980 del Comune di Piacenza, in “zona E1 agricola”, condividendo le argomentazioni del CTU, ha affermato che il vincolo di destinazione d’uso del Piano regolatore, ne precludeva la possibilità edificatoria.

La quantificazione dell’indennizzo, quindi, è stata operata, sulla base del valore di mercato relativo alle effettive caratteristiche del bene.

E’ quindi evidente che la censura di violazione di legge formulata dalla parte ricorrente sottende, piuttosto, una critica nel merito alla valutazione operata dalla Corte territoriale, che non può essere sindacata in sede di legittimità, se non per vizio motivazionale, nei ristretti limiti attualmente consentiti dalla legge processuale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2. Con il secondo motivo la Immobiliare Torricelle S.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041,2043,2056 e 1226 c.c., della L.R. Emilia Romagna 18 luglio 1991, n. 17, art. 11 e del R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, art. 45 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ad avviso della parte ricorrente la Corte di appello di Bologna ha negato il risarcimento e l’indennizzo richiesti per l’asportazione di ghiaia dai sui terreni per mancanza di pregiudizio e che la Corte territoriale ha trascurato decisivi dati normativi e specificamente il R.D. n. 1443 del 1927, art. 45 in applicazione dei quali il diritto allo sfruttamento del suolo a fini estrattivi, pur essendo assoggettato a regime autorizzatorio e ad atti di pianificazione, appartiene al patrimonio giuridico del proprietario del bene, la cui mancanza determinerebbe l’insistenza di ogni e qualsiasi pretesa del proprietario di potere anche solo potenzialmente coltivare il bene ai fini estrattivi.

2.1 Il motivo è inammissibile, posto che la società ricorrente non prende in esame tutte le ragioni poste a fondamento della decisione. In proposito, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

E ciò per il principio ormai consolidato secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione ovvero il rigetto del motivo che concerne una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 10 novembre 2015, n. 50).

Nello specifico la Corte di appello di Bologna ha affermato dapprima che l’importo liquidato e corrispondente al valore venale del bene copriva l’intero danno subito dalla società; in seguito ha evidenziato che in ordine all’attività di scavo ed utilizzo del materiale ghiaioso non era stato allegato ne tantomeno provato il possibile utilizzo come cava del terreno illecitamente espropriato e che non risultava che al momento del legittimo esproprio vi fossero le condizioni richieste per il rilascio di un’autorizzazione allo sfruttamento sulla base degli atti di pianificazione assunti a livello regionale o provinciale e, in ultimo, ha precisato che mancava un danno risarcibile perchè la società non poteva ritrarre alcuna utilità economica dal materiale estratto.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese ai controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Immobiliare Torricelle S.r.l., al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della Impresa P. & C. S.p.a. (già SI.TA.PI S.r.l. e Foglia S.r.l.), liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, il 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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