Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6483 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1800-2014 proposto da:

CLASSENSE S.R.L., ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore Sig. G.P., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLA SCROFA 64, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

ZUNARELLI e dell’avvocato GIAMPAOLO GHINI, che la rappresentano e

difendono giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DHL GLOBAL FORWARDING S.P.A. (già EXEL ITALY S.P.A.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PRISCIANO 42, presso lo studio dell’avvocato ENZO

FOGLIANI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del controricorso;

VISCOUNT INTERNATIONAL S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore sig.ra G.L., elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO MARIA POTTINO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ALBERTO BUCOLO, FLORESTANO FUNARI, giusta procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

TCR TERMINAL CONTAINER S.P.A., MAERSK ITALIA S.P.A.,

A.A. E F. S.R.L.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2056/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato GIAMPAOLO GHINI;

udito l’Avvocato GUIDO MARIA POTTINO;

udito l’Avvocato ENZO FOGLIANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Viscount International S.p.A. convenne in giudizio la Exel Italy S.p.A. e la Classense s.r.l. per sentirle condannare – nelle rispettive qualità di spedizioniere e vettore stradale (da Rimini al porto di Ravenna) della merce (strumenti musicali) da consegnare in Giappone alla Yamaha Music Trade Corporation ed erroneamente caricata su container (SEAU n. (OMISSIS)) diverso da quello indicato nella lettera di vettura (TEXU n. (OMISSIS)) e recapitato in Algeria (con successivo sequestro della merce stessa) – al risarcimento di tutti i danni patiti.

La Exel Italy S.p.A., nel costituirsi in giudizio, contestò la fondatezza della domanda e, comunque, chiese di essere manlevata dalla Classense s.r.l. di quanto eventualmente dovuto all’attrice; la Classense s.r.l., a sua volta, contestò la legittimazione della Viscount S.p.A. ad agire nei suoi confronti e, in ogni caso, la responsabilità per il trasporto e le ragioni della manleva esercitata dal mittente Exel.

L’attrice chiamò in causa anche la A.A. & Figli s.r.l. (agente raccomandatario del porto di Ravenna), la Maersk Italia S.p.A. (mandataria del vettore marittimo) e la C.R. Terminal Container S.p.A. (noleggiatrice del container).

L’adito Tribunale di Milano, con sentenza del 7 gennaio 2009, accolse la domanda della Viscount Intarnational S.p.A. e condannò la Exel Italy S.p.A. al pagamento in suo favore della somma di Euro 29.625,00, oltre accessori e spese di lite anche nei confronti delle società chiamate in causa; condannò, altresì, la Classense s.r.l. a rimborsare la Exel Italy di tutte le somme da quest’ultima dovute alle controparti in forza della pronunciata sentenza.

2. – Per quanto ancora rileva in questa sede, avverso tale decisione interponeva gravame la Classense s.r.l., che – nel contraddittorio con la Viscount International S.p.A., la (anche appellante incidentale) DHL Global Forwarding Italy S.p.A. (già Exel Italy S.p.A.), la A.A. & Figli s.r.l., la Maersk Italia S.p.A. e la C.R. Terminal Container S.p.A. – la Corte di appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 20 maggio 2013, accoglieva soltanto sul capo relativo alle spese di lite (rideterminando quelle dovute alle società Maersk e A.), rigettandolo nel resto.

2.1. – La Corte territoriale, al pari di quanto affermato dal primo giudice, riteneva essere accertato che “lo scambio dei containers era avvenuto durante la fase del carico originario della merce e, dunque, doveva esserne ritenuta responsabile la Classense, il cui autista avrebbe dovuto controllare che nel container TEXU, indicato nella lettera di vettura da essa stessa emessa, fosse caricata la merce inviata dalla Viscount in Giappone e non quella inviata da MBM in Algeria, per la quale era stato predisposto il diverso container SEAU, anch’esso da trasportare a cura della Classense”.

2.2. – Inoltre, il giudice di secondo grado escludeva di poter ravvisare una “responsabilità concorsuale della mittente” Viscount S.p.A. per non aver il suo personale effettuato “identico controllo” della merce, non sussistendo alcuna “prova” che fosse a conoscenza degli estremi del container sul quale la merce avrebbe dovuto essere caricata, essendo invece presumibile che abbia fatto affidamento sulla circostanza che il container per il carico delle merce da inviare in Giappone, portato presso i magazzini, fosse quello indicato nella lettere di vettura redatta dalla Classense.

2.3. – La Corte territoriale evidenziava, altresì, che la “perdita” di cui all’art. 1693 c.c. doveva intendersi, nel caso di specie, come “impossibilità pratica di recupero” della merce, comprovata dal fatto che inutilmente la Viscount aveva tentato in più di occasione di provvedervi.

2.4. – Il giudice di appello riteneva, poi, inapplicabile in favore della Classense il limite di responsabilità del vettore previsto dalla L. n. 450 del 1985, art. 1 per essere la Classense incorsa in colpa grave in assenza di un “controllo elementare come quello della corrispondenza fra il container indicato nella lettera di vettura e quello in cui la merce fu effettivamente caricata”.

2.5. – Infine, la Corte territoriale escludeva che la Viscount S.p.A. difettasse di legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 1693 c.c., in quanto la merce, con la consegna allo spedizioniere/vettore, sarebbe entrata nella titolarità giuridica del cliente giapponese, ai sensi dell’art. 1510 c.c., comma 2, non risultando che quest’ultimo “abbia richiesto la riconsegna della merce al vettore”, mentre risulta che lo stesso abbia addirittura rilasciato in favore della Viscount “atto di cessione dei diritti spettanti dal contratto di trasporto in questione”, là dove, peraltro, la mittente venditrice aveva “dovuto inviare alla compratrice destinataria giapponese una seconda partita di merce in sostituzione di quella andata perduta”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Classense s.r.l. sulla base di otto motivi.

Resistono con controricorso la Viscount International S.p.A. e la DHL Global Forwarding Italy S.p.A., mentre non hanno svolto attività difensiva le intimate A.A. & Figli s.r.l., Maersk Italia S.p.A. e T.C.R. Terminal Container S.p.A.

Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 39 e 40 c.p.c., “per litispendenza e contrasto di giudicati”.

Premesso che per gli stessi fatti era stato proposto (dalla MBM, in qualità di caricatore) giudizio dinanzi al Tribunale di Ravenna, definito in primo grado con sentenza del 9 settembre 2008, la Corte di appello di Milano, “successivamente adita rispetto alla Corte di appello di Bologna” (dinanzi alla quale era stata impugnata la predetta sentenza del Tribunale di Ravenna), avrebbe dovuto pronunciare la litispendenza e/o la continenza o la connessione delle cause e rimettere la propria davanti alla Corte di appello Bologna, preventivamente adita.

1.1. – Il motivo è inammissibile, prima ancora che manifestamente infondato per non potersi configurare litispendenza e/o continenza, ai sensi degli artt. 39 e 40 c.p.c. (tale da comportare la rimessione al giudice preventivamente adito), tra due appelli avverso distinte sentenze pronunciate da diversi giudici di primo grado e impugnate dinanzi a differenti Corti distrettuali, ciascuna territorialmente competente per il gravame proposto.

La società ricorrente, infatti, non ha investito di specifica doglianza la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha disatteso il motivo di gravame che era volto a far valere l’errore del primo giudice sulla mancata declaratoria di litispendenza/continenza/connessione delle cause, osservando che il giudice preventivamente adito era proprio il Tribunale di Milano (ciò che ammette anche la Classense s.r.l. a p. 7 del ricorso), mentre in questa sede la censura (che, come detto, è comunque priva di consistenza) si rivolge alla mancata statuizione del giudice di appello su un ipotesi di litispendenza/continenza/connessione dinanzi a sè, senza che venga dimostrata, nel rispetto dei principi di specificità e localizzazione (ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la relativa e previa proposizione in sede di gravame.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1693 c.c., in ragione della “mancata realizzazione del receptum e sussistenza di causa esimente”.

La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere sussistente la responsabilità del vettore ai sensi dell’art. 1693 c.c. “con riferimento alle operazioni logicamente e cronologicamente antecedenti al receptum vuoi perchè non si è realizzata la consegna della merce al vettore vuoi perchè, anche in tale ipotesi, si concretizza una causa esimente di responsabilità (il fatto del mittente…)”, non potendo il vettore comunque rispondere della negligenza del caricatore della merce senza aver questi controllato “la documentazione del trasporto e il numero del container”.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1693 e 1227 c.c., per non aver la Corte territoriale considerato il concorso di responsabilità del caricatore al quale la Classense s.r.l. aveva consegnato la lettera di vettura, che conteneva tutti gli elementi indentificativi del trasporto.

3.1. – I secondo e terzo motivo, da scrutinarsi congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

3.1.1. – Sono inammissibili anzitutto là dove, in ogni caso, veicolano critiche al presupposto accertamento di fatto del giudice del merito, che – ai fini dello scrutinio dei dedotti errores in iudicando, anche (e soprattutto) in funzione del vizio di sussunzione della fattispecie materiale in quella legale – deve essere assunto come tale, senza poter esser messo in discussione nella sua portata.

3.1.2. – Sono infondati quanto alla doglianza di violazione degli artt. 1693 e 1227 c.c..

La Corte territoriale (cfr. anche sintesi al p.p. 2.1. e 2.2. dei “Fatti di causa”) ha ritenuto sussistente la responsabilità esclusiva del vettore per non aver questi controllato che la merce fosse stata caricata proprio sul container dentro il quale avrebbe dovuto essere effettivamente stivata, essendo lo stesso vettore l’unico soggetto ad avere contezza, in base alla lettera di vettura, dei relativi dati identificativi, all’uopo necessari per la presenza di altro container destinato a diverso trasporto.

Non è, dunque, apprezzabile alcun vizio di violazione di legge, anche sotto il profilo di erronea sussunzione, dovendosi reputare che la predetta attività di controllo – da attuarsi comunque a valle della fase materiale di caricamento e, quindi, allorquando la merce era ormai nella disponibilità del vettore – non era affatto estranea all’esecuzione del trasporto da parte del vettore stesso, bensì integrava, nella specie, proprio una di quelle obbligazioni accessorie allo svolgimento di tale rapporto contrattuale, necessarie al raggiungimento del fine pratico prefissosi dalle parti (tra le tante, Cass., 7 marzo 1981, n. 1288; Cass., 19 giugno 1993, n. 6841), anche tenuto conto dei principi di buona fede e correttezza che tale fase esecutiva negoziale conformano in ogni suo momento.

Ne consegue, altresì, l’inconsistenza della doglianza che evoca una violazione dell’art. 1227 c.c., avendo il giudice di appello escluso la sussistenza di ogni concorso del fatto colposo del mittente nella causazione del danno cagionato dal vettore nell’esecuzione del trasporto, là dove, poi, è incensurabile (come detto) l’accertamento in fatto che sorregge tale statuizione (cfr. ancora p. 2.2. dei “Fatti di causa”).

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1693 c.c., per aver la Corte di appello ritenuto equivalente alla “perdita” della merce, peraltro non deperibile, nè “caratterizzata dalla stagionalità”, il sequestro di essa in Algeria, quale provvedimento sempre revocabile (“per lo meno nel nostro ordinamento”).

Inoltre, sarebbe contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata là dove afferma la responsabilità di essa Classense, tenuta soltanto al trasporto terrestre, per non esser riuscita la Viscount a recuperare la merce per la mancata collaborazione della Exel.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

Esso, quanto alla censura portante di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non correla affatto la “perdita” della merce al suo “sequestro”, in quanto provvedimento ablativo posto in essere da una autorità di uno Stato estero, bensì intende detta “perdita” come “impossibilità pratica di recupero” della merce stessa.

Tale unica ratio che sorregge la decisione è stata, invece, denunciata (nel corpo del motivo) soltanto in guisa di vizio di contraddittoria motivazione, che non è più scrutinabile in questa sede, posto che – essendo la sentenza impugnata stata pubblicata il 20 maggio 2013 – deve trovare applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione, che non consente di ricorrere per il predetto vizio, ma soltanto per l’omesso esame di un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti.

5. – Con il quinto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1693, 1218, 1223, 1225 e 1227 c.c.

La Corte territoriale, non potendo applicare nella fattispecie la norma dell’art. 1693 c.c., avrebbe dovuto applicare le “norme generali” di cui agli artt. 1218, 1223, 1225 e 1227 c.c. e, quindi, assolvere essa Classense da ogni addebito per mancanza della prova sulla sussistenza della responsabilità e del danno.

5.1. – Il motivo è inammissibile, giacchè muove da un presupposto – ossia che sia la fattispecie materiale non è sussumibile nell’alveo della norma di cui all’art. 1693 c.c. – erroneo e contrastante con il corretto decisum del giudice di appello.

6. – Con il sesto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1689 c.c. e 100 c.p.c., per non aver la Corte di appello considerato che la Viscount aveva venduto la merce al cliente giapponese e, quindi, ai sensi dell’art. 1510 c.c., comma 2, non era più legittimata o, comunque, non aveva più interesse ad agire nei confronti del vettore. Inoltre, la cessione dei diritti dal compratore giapponese esibita dalla Viscount sarebbe tardiva e priva di data certa, dunque irrilevante e non idonea “a sanare ex post lo jus postulandi” in capo alla stessa attrice.

6.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

6.1.1. – E’ infondato quanto ai dedotti errores in iudicando, avendo il giudice di merito fatto corretta applicazione del seguente principio di diritto: “nella vendita con spedizione disciplinata dall’art. 1510 c.c., comma 2, il contratto di trasporto concluso tra venditore – mittente e vettore, pur essendo collegato da un nesso di strumentalità con il contratto di compravendita concluso tra venditore – mittente ed acquirente – destinatario, conserva la sua autonomia ed è, pertanto, soggetto alla disciplina dettata dagli artt. 1683 c.c. e ss., con la conseguenza che il venditore – mittente, anche dopo la rimessione delle cose al vettore, conserva la titolarità dei diritti nascenti dal contratto di trasporto – ivi compreso quello al risarcimento del danno da inadempimento – fino al momento in cui, arrivate le merci a destinazione (o scaduto il termine entro il quel esse sarebbero dovute arrivare), il destinatario non ne richieda la riconsegna al vettore, ex art. 1689 c.c., comma 1” (Cass., 18 giugno 2001, n. 8212; Cass., 17 gennaio 2012, n. 553; in tale prospettiva anche Cass., 1 dicembre 2010, n. 24400, la quale ha affermato che, in tema di contratto di trasporto ed anche nell’ipotesi di vendita con spedizione, la legittimazione a domandare il risarcimento del danno per inesatto adempimento nei confronti del vettore spetta, alternativamente, al destinatario od al mittente, a seconda che i danni abbiano esplicato i loro effetti nella sfera patrimoniale dell’uno o dell’altro).

6.1.2. – E’ inammissibile là dove (quanto alla cessione dei diritti del destinatario e all’invio di merce in sostituzione di quella perduta) censura l’accertamento in fatto riservato al giudice del merito che opera da presupposto della statuizione in diritto.

7. – Con il settimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1693, 1696 c.c. e della L. n. 450 del 1985, art. 1 in tema di danno e di limitazione del debito di valore.

La sentenza impugnata sarebbe “affetta da gravi vizi logici e motivi”, giacchè assumendo che il controllo del carico era “elementare”, esso avrebbe dovuto essere agevolmente effettuato dal personale dalla Viscount (“1^ caricatore”) e dalla MBM (“2^ caricatore”).

Inoltre, non avrebbero dovuto trovare applicazione nel caso di specie le norme sul trasporto e, quindi, neppure l’art. 1696 c.c. sulla liquidazione del danno, mentre si sarebbe dovuto applicare la L. n. 450 del 1985, non potendosi ravvisare la colpa grave di essa Classense che esclude il beneficio della limitazione del debito.

7.1. – Il motivo è inammissibile in tutta la sua articolazione.

Con esso ci si duole, per un verso, di vizi della motivazione (anche per quanto concerne l’apprezzamento sulla gravità della colpa) non più scrutinabili in questa sede (in tal senso cfr. quanto già evidenziato al p. 4.1. che precede) e, per altro verso, la doglianza (sulla estraneità della fattispecie all’ambito della disciplina del trasporto regolata dal codice civile) muove da un presupposto erroneo e contrastante con il corretto decisum della Corte di appello.

8. – Con l’ottavo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

La Corte territoriale (per le considerazioni sviluppate nei motivi precedenti) sarebbe “incorsa in numerose contraddizioni motive”, in riferimento “al contenute delle prove documentali”, “alla cronologia dalla stessa Corte ricostruita” e alla “condotta causale delle diverse parti coinvolte nella responsabilità dell’evento”.

8.1. – Il motivo è inammissibile (anche a prescindere dalla sua evidente ed inemendabile genericità), giacchè veicola vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente a quella applicabile ratione temporis, e, quindi, non più scrutinabili in questa sede.

9. – Il ricorso va, dunque, rigettato e la società ricorrente condannata al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna società controricorrente, in complessivi Euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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