Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6483 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 09/03/2021), n.6483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18551-2019 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MICHELE CAROTTA;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1466/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Venezia, pubblicata il 4 aprile 2019, con cui è stato respinto il gravame proposto da D.B. avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale di Venezia del 31 maggio 2017. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuta qualsiasi forma di protezione internazionale.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia nullità ed erroneità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato. Vi si assume che il giudice del merito si sarebbe limitato a ritenere insufficienti e contraddittorie le dichiarazioni e le prove portate dal ricorrente a sostegno delle proprie richieste senza porre in essere alcuna attività di indagine e di informazione circa la vicenda narrata, pur avendone il potere.

Col secondo mezzo viene dedotta la nullità della sentenza per utilizzo di criteri erronei, illegittimi o insufficienti per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente. E’ osservato che la Corte di Venezia avrebbe impropriamente valorizzato indici astratti, non aderenti al caso concreto.

I due motivi che, per ragioni di connessione, possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

La Corte di merito ha spiegato che la vicenda narrata dal richiedente afferiva essenzialmente alla sfera privatistica, essendo incentrata su questioni di carattere ereditario e, inoltre, che la stessa risultava essere non circostanziata e priva di credibilità. Ha sottolineato, in particolare, che le asserite minacce di morte di cui sarebbe stato destinatario il ricorrente non avevano impedito a questo di vivere quattro anni presso la nonna e, dopo il decesso della medesima, di continuare ad abitare in tale alloggio indisturbato per ulteriori quattro anni, senza subire attentati alla sua incolumità personale.

Ora, l’istante ha mancato di censurare il primo dei suddetti rilievi, quello relativo alla matrice familiare dei contrasti insorti, e non ha spiegato per quale ragione, a fronte della vicenda narrata, che presentava la detta origine, dovesse essergli riconosciuto lo status di rifugiato (che postula il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinione politica) o l’accesso alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (che esige, invece, l’esposizione al rischio di un danno grave, consistente nella condanna a morte, nell’esecuzione della pena di morte, nella tortura o in altra forma di pena o di trattamento inumano o degradante).

Sebbene la considerazione che precede sia dirimente, mette conto di aggiungere che le doglianze vertenti sul valore da attribuirsi alle dichiarazioni del richiedente sfuggano al sindacato di legittimità.

Questa Corte ha precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011″ n. 4138, per la quale ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni). Sempre secondo questa S.C., inoltre, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

Nel caso in esame, il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi credibili e circostanziate. Spetta poi al giudice del merito valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503 cit.): e si è visto che la Corte di appello ha negato che ricorresse quest’ultima condizione. L’apprezzamento di fatto del giudice del merito circa la credibilità del richiedente è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione e come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340): ma censure in tal senso nei primi due motivi non sono state sollevate. Il ricorrente si duole, piuttosto, della sostanziale inadeguatezza del giudizio formulato della Corte di merito: si tratta, tuttavia, di una censura che, oltre a risultare gravemente generica, sfugge al sindacato di legittimità.

Non concludente è, inoltre, la doglianza imperniata sulla mancata spendita, da parte giudice di appello, dei poteri officiosi. Infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti, situazioni, o condizioni giuridiche che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

2. – Col terzo motivo si oppone la nullità della sentenza impugnata per utilizzo di criteri erronei o illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentati nella documentazione e nelle dichiarazioni rese dal richiedente. Sul presupposto che la protezione sussidiaria va accordata ove esistano fondati motivi per ritenere che lo straniero, in caso di rimpatrio, corra il rischio effettivo di subire un grave danno, viene dedotto che la vicenda dell’istante darebbe ragione del concreto pericolo per l’incolumità fisica dello stesso. Il ricorrente si sofferma, poi, sulla decisione reiettiva assunta con riguardo alla domanda di protezione umanitaria e lamenta che i giudici di merito non abbiano apprezzato la propria integrazione lavorativa in Italia.

Il motivo è nel complesso infondato.

Quanto dedotto con riferimento alla protezione sussidiaria non è concludente, avendo riguardo a quanto in precedenza rilevato. L’istante non svolge, del resto, puntuali censure con riguardo al rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c) (che è stata comunque oggetto di approfondito e motivato scrutinio da parte della Corte di merito).

Per quanto attiene alla protezione umanitaria, basterà invece osservare che la Corte di appello ha escluso che ne sussistessero i presupposti; ha osservato: che il racconto del richiedente risultava inattendibile (onde non poteva essere posto a fondamento nemmeno di tale forma di protezione); che l’attuale situazione geopolitica del Senegal era stata valutata e doveva escludersi che un cittadino senegalese, per il solo fatto di provenire da quel paese, fosse una persona vulnerabile; che non risultava comprovato il dato dell’integrazione sociale in Italia, risultando insufficiente, a tal fine, il mero possesso di una posizione lavorativa. Quest’ultima considerazione è insindacabile, riflettendo un apprezzamento riservato al giudice del merito, mentre la prima e la seconda sono senz’altro idonee ad escludere la condizione di vulnerabilità che fonda la forma di protezione che qui interessa: oltretutto, la detta vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione).

3. – Il quarto motivo oppone il difetto di motivazione della sentenza impugnata. Rileva l’istante che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe apparente o manifestamente incomprensibile.

Il motivo è palesemente infondato.

Posto che è oggi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054), è da escludere che l’ampio ed articolato corredo argomentativo della sentenza presenti una tale, radicale, carenza.

4. – Il ricorso è in conclusione respinto.

5. – Nulla è ovviamente da statuire in punto di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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