Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6482 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. I, 06/03/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3888/2015 proposto da:

Diagnostica per Immagini S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giuseppe

Mazzini n. 142, presso lo studio dell’avvocato Pennisi Vincenzo

Alberto, rappresentata e difesa dall’avvocato Accetta Sergio, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ennio

Quirino Visconti n. 20, presso lo studio dell’avvocato Antonini

Mario, rappresentata e difesa dall’avvocato Freni Enrico, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1660/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1660/2014, depositata in data 2/12/2014, – in controversia concernente la domanda avanzata dalla Diagnostica per Immagini srl, nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, di rimborso della somma di Euro 18.398,31, oggetto di recupero da parte dell’Azienda sanitaria a titolo di applicazione di sconti tariffari per l’anno 2008, di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), sulle fatturazioni delle strutture private che erogavano prestazioni specialistiche in regime di accreditamento, – ha riformato la decisione di primo grado, assunta con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., che aveva accolto la domanda attrice.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che: 1) la normativa di cui alla legge finanziaria 2007, sugli sconti tariffari, era applicabile in ambito regionale e specificamente alla Regione Sicilia, essendo la relativa applicazione prevista dal D.A. (Decreto Assessoriale) n. 1745 del 2007, a far data dal 1/1/2007; 2) con D.A. n. 336/2008, al fine di conformarsi ad alcune ordinanze cautelari del giudice amministrativo, con le quali era stato sospeso il Decreto Assessoriale n. 1977 del 2007, era stato stabilita la reviviscenza nel territorio della Regione siciliana dei valori tariffari concernenti le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e le prestazioni di emodialisi previgenti; 3) con D.A. n. 170 del 2013, avente valenza di provvedimento ricognitivo della cessazione dei presupposti che avevano giustificato l’adozione del decreto n. 336/2008, erano stati ripristinati i valori tariffari di cui al D.A. n. 1977 del 2007, essendo stati i ricorsi amministrativi proposti tutti definitivamente rigettati; 4) erano quindi ritornati ad essere pienamente efficaci gli sconti tariffari sanciti con la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), con conseguente legittimità del recupero da parte dell’amministrazione pubblica.

Sempre ad avviso della Corte d’appello, erano infondate le doglianze ulteriori della società, relative alla compensazione tra il credito dell’ASP a titolo di sconti tariffari ed i crediti vantati dalla società a titolo di prestazioni eseguite ma non remunerate perchè superiori al budget assegnato, atteso che le prestazioni eseguite oltre il budget assegnato non attribuiscono alcun diritto alla remunerazione, essendovi un espresso divieto di remunerazione, ed all’erroneità dell’importo da recuperare, per errato computo della base di calcolo adottata dall’ASP, essendo stati alcuni corrispettivi relativi a prestazioni del 2008 richiesti con decreti ingiuntivi non opposti, con conseguente formazione del giudicato, in quanto il giudicato avrebbe riguardato esclusivamente l’ammontare delle somme dovute su cui deve applicarsi lo sconto tariffario.

Avverso la suddetta pronuncia, la Diagnostica per Immagini srl propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla domanda principale azionata fondata sul contratto di fornitura in essere tra le parti, essendosi chiesto di accertare che le prestazioni erano state tutte eseguite nel corso dell’anno 2008 e pagate secondo il prezzo convenuto; 2) con il secondo motivo, errore processuale, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere valutato la prova documentale offerta (contratto – D.A. n. 912 del 2008); 3) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, L.R. Sicilia n. 2 del 2002, art. 28, in punto di irretrattabilità deli effetti prodotti avendo la Corte d’appello errato nel ritenere applicabile lo sconto, nonostante non fosse stato contrattualmente previsto e nonostante il rapporto del 2008 si fosse esaurito con l’esecuzione delle prestazioni ed il pagamento del corrispettivo; 4) con il quarto motivo, la violazione dei principi in ordine agli effetti della sentenza amministrativa di rigetto, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, l’omessa considerazione dell’intervenuto contratto di fornitura, la violazione dell’art. 115 c.p.c.; 5) con il quinto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nullità della sentenza e motivazione apparente o del tutto omessa; con il quinto motivo, in relazione alla domanda subordinata avanzata in primo grado e ribadita in appello, relativa alla compensazione del credito vantato dall’Azienda con il maggior credito vantato dalla società, a titolo di prestazioni eseguite e non remunerate, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza per motivazione apparente o del tutto omessa; 6) con il sesto motivo, la violazione di norme di diritto in relazione all’errata interpretazione del contenuto del giudicato esterno, rappresentato dai decreti ingiuntivi ottenuti dalla Società, in relazione ai corrispettivi maturati da febbraio ad agosto 2008, pari ad Euro 853.441,50, opposti dall’Azienda solo limitatamente alla questione relativa alla debenza degli interessi moratori, cosicchè l’eventuale percentuale di sconto tariffario poteva applicarsi solo sul residuo corrispettivo, di circo Euro 128.537,59, non coperto da giudicato.

2. Le prime tre censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono in parte infondate ed in parte inammissibili.

In particolare, la ricorrente, nel primo motivo, si duole che la Corte territoriale non avrebbe valutato la domanda principale fondata sul contratto e sulle norme in esso esplicitamente richiamate, osservando che il contratto aveva richiamato il decreto n. 336 27/2/2008 (che ripristinava i prezzi per il pagamento delle prestazioni secondo il tariffario regionale D.A. 11/12/1997) e che il contratto era stato concluso secondo tali valori, così remunerando le prestazioni, e che, non potendosi applicare gli sconti tariffari perchè il relativo decreto era stato sospeso, per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica di riduzione della spesa sanitaria, la Regione Sicilia aveva ridotto il budget, e cioè, il volume massimo delle prestazioni remunerate per contenere la spesa (D.L. 31 dicembre 2007, art. 8, comma 1, conv. con mod. dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31). A parere della ricorrente per l’anno 2008 la normativa regionale in tema di tariffe era data dal D.A. 11/12/1997 e non era applicabile la disciplina statale in ordine alle tariffe nazionali massime per scelte operate dalla Regione; ciò anche considerato che la determinazione della tariffa nazionale non aveva escluso il potere delle Regioni di fissare tariffe maggiori, salvo il principio che la differenza restava a carico dei bilanci regionali. Sostiene, quindi, che per il 2008 la Regione Sicilia si era avvalsa del potere di determinare in autonomia le tariffe in misura maggiore di quella prevista in sede nazionale, rispettando comunque il budget di spesa, mediante la riduzione del numero delle prestazioni retribuite, cosicchè il rapporto si era totalmente esaurito con l’erogazione delle prestazioni ed il loro pagamento e che pertanto non poteva trovare applicazione retroattiva la tariffa inferire a quella applicata nel 2008.

2.1. Giova premettere, sul piano normativo, che, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 sexies, comma 5, il Ministro della sanità con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l’unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate; lo stesso decreto stabilisce i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario e gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali.

La L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 170, in base alla disposizione applicabile ratione temporis (poi abrogata dal D.L. n. 95 del 2012, art. 15) prevede in termini analoghi, che “alla determinazione delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali, assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a disposizione del Servizio sanitario nazionale, provvede, con proprio decreto, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali”.

E’ quindi intervenuto la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), con la seguente previsione: “fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, quarto periodo, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministero della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto. Fermo restando il predetto sconto, le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate”.

La Corte costituzionale, in data 2 aprile 2009 n. 94, ha dichiarato non fondata, in relazione ai parametri dell’art. 117 Cost., comma 3 e art. 119 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 796, lett. o) – concernente la remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private accreditate – che dispone: “fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, quarto periodo, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal D.M. Sanità 22 luglio 1996 (…) e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto”. Premesso, infatti, che la norma risponde allo “scopo perseguito dal legislatore di evitare l’aumento incontrollato della spesa sanitaria è compatibile con i principi espressi da detti parametri costituzionali, nella considerazione bilanciata – che appartiene all’indirizzo politico dello Stato, nel confronto con quello delle Regioni – della necessità di assicurare, ad un tempo, l’equilibrio della finanza pubblica e l’uguaglianza di tutti i cittadini nel godimento dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute”, il Giudice delle Leggi ha escluso che tale disciplina possa incidere sulla autonomia finanziaria regionale in quanto “la norma statale censurata stabilisce lo sconto da operare sulle tariffe richiamate, ma non ha escluso il potere delle Regioni di stabilire tariffe superiori, che restano a carico dei bilanci regionali”.

Come già affermato da questa Corte, “compito del decreto ministeriale è quello di determinare le tariffe massime. Entro il limite della soglia massima determinata dal decreto ministeriale le regioni fissano le tariffe, ed ove tale soglia risulti superata l’importo eccedente resta a carico del bilancio regionale. Non vi è dunque un’antitesi di fonte regionale e fonte ministeriale, nel senso che operando l’una non opera l’altra, sicchè solo alle tariffe fissate dalla seconda si applicherebbe lo sconto, come sostenuto dalla ricorrente. Le due fonti concorrono, nel senso che l’autorità ministeriale determina la soglia massima mentre la regione fissa la tariffa in concreto da applicare entro la detta soglia, con la conseguenza che la tariffa eccedente quella soglia resta a carico della regione. Lo sconto trova quindi applicazione sulla tariffa fissata dalla Regione nell’ambito della soglia massima determinata con il decreto ministeriale ed ove tale soglia venga superata unica conseguenza è che l’eccedenza resti a carico del bilancio regionale” (cfr. Cass. 31 ottobre 2017, n. 25845; Cass. n. 10582 del 04/05/2018).

Nel caso della Regione Sicilia quindi, l’applicazione della legge statale era stata prevista dal D.A. n. 1745 del 29/8/2007, a far data dal 1/1/2007, e poi, con il D.M. 28 settembre 2007, n. 1977, era stato sancito che le tariffe massime applicabili nel territorio della Regione Sicilia per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale a far data dal 1/10/2007 erano quelle precisate dal D.M. Salute 13 settembre 2006, art. 3, nonchè dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), che disciplinava lo sconto che le strutture private accreditate dovevano applicare, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, sulle tariffe previste nell’anzidetto decreto ministeriale.

Era, poi, intervenuta l’adozione del provvedimento di sospensione, in via cautelare, del D.A. n. 1977/2006, da parte dell’Assessorato Regionale della Sanità, e della susseguente adozione del D.A. n. 336/2008, che aveva previsto, ritenendo necessario “doversi conformare nelle more della definizione del giudizio di merito e con riserva di ripetizione”, la reviviscenza dei valori tariffari previgenti al D.A. sospeso (Decreto n. 24059/1997 e decreto 7104 del 2005), ed ancora l’emanazione dell’ulteriore D.A. n. 170/2013, che aveva ripristinato il D.A. n. 1977/2007, a seguito della definizione del contenzioso amministrativo con rigetto dei ricorsi proposti avverso il D.A. n. 1977/2007, e la cessazione degli effetti sospensivi scaturenti dal D.A. n. 366/2008.

Il D.A. n. 912/2008 (richiamato nel contratto in oggetto), rubricato “Riconoscimento per l’anno 2007 alle strutture accreditate di una parziale remunerabilità delle prestazioni rese, da liquidarsi nell’ambito delle risorse aggiuntive assegnate alle aziende sanitarie locali”, aveva lo scopo di ripianare il disavanzo anno 2007, preso atto della sospensione in via cautelare delle misure di contenimento della spesa sanitaria di cui ai D.D.A.A. n. 1745/2007 e 1977/2007, e, quanto al 2008, che in questa sede interessa, costituiva esercizio del potere di programmazione annuale della complessiva spesa sanitaria, fissando il tetto di spesa per il suddetto anno, come imposto dalla Legge regionale e dal Piano di Rientro.

La Corte d’appello, sulla base della complessiva ricostruzione normativa, ha escluso che da ciò potesse conseguire una illegittima applicazione retroattiva di tariffe meno favorevoli per le strutture private accreditate, trattandosi di un provvedimento ricognitivo della cessazione dei presupposti che avevano giustificato l’adozione del Decreto n. 336/2008 ed ha ritenuto efficaci i valori tariffari previsti dal D.A. n. 1977/2007 e gli sconti tariffari di cui sopra, ivi richiamati, e, quindi, corretto il recupero (per la mancata applicazione degli sconti nel 2008) da parte dell’Azienda sanitaria ed infondata la pretesa creditoria della struttura sanitaria privata.

2.2. Ciò detto, va osservato che la tesi sostenuta nei plurimi motivi di censura in esame non coglie la ratio decidendi: invero, la questione proposta in merito al contenuto del contratto non risulta pertinente, in quanto riferita alla determinazione del budget di spesa massimo concordato con la società e non al tema della tariffazione applicabile e dello sconto, oggetto del giudizio, atteso che non può ravvisarsi affatto tra le anzidette voci la interferenza funzionale diretta che la ricorrente assume.

Va premesso che la riconduzione dell’accordo ad un contratto di diritto privato, sostenuta dalla ricorrente, non può essere condivisa posto che, in tema di assistenza sanitaria pubblica, il regime dell’accreditamento introdotto dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 5, non ha inciso sulla natura del rapporto tra struttura privata ed ente pubblico, che resta di tipo concessorio, atteso che la prima, a seguito del provvedimento di accreditamento, viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico (Cass. SU n. 16336 del 18/06/2019; Cass. SU n. 473 del 14/01/2015).

La Corte di merito ha esaminato la questione poste dalla ricorrente, di prevalenza dell’accordo negoziale e della disciplina regionale rispetto a quella statale, sia pure non esplicitando il riferimento al contratto; in particolare, la Corte d’appello ha affermato, in linea con il principio anzidetto circa il carattere concessorio del rapporto tra struttura privata ed ente pubblico, la prevalenza e la diretta applicazione della legge nazionale su tariffe e sconti, segnatamente laddove ha affermato l’applicabilità diretta della legge statale in merito a tariffe e sconti e la temporaneità e quindi la riviviscenza della D.A. n. 1977/2007 che vi aveva dato applicazione.

L’assunto della ricorrente risulta smentito dallo stesso Decreto Assessoriale 21 aprile 2008, n. 912, indicato in ricorso come decisivo, dal quale emerge che la riduzione del complessivo budget per il 2008 (e quindi delle quote attribuite ai singoli fornitori) conseguì alla maggiore onerosità delle prestazioni rese nel 2007, per l’incremento delle tariffe, ed a una conseguente ridotta disponibilità finanziaria nel 2008, indotta dall’implemento della spese nell’anno antecedente, in relazione al tetto di spesa triennale ed alla necessità di attuare un piano di rientro per il 2008.

Le vicende occorse al Decreto Regionale n. 1977 del 2007, oggetto di sospensiva poi venuta meno, sono idonee ad incidere sul rapporto in esame anche dopo l’esecuzione del contratto perchè trattasi di rapporto di tipo concessorio, essendo la società era al corrente della normativa statale e del contenzioso amministrativo in atto, come si evince dal contratto stesso e dal Decreto Assessoriale n. 912 del 2008.

3. Il quarto motivo è inammissibile, perchè difetta di specificità sia in ordine alla tempestiva introduzione della questione nelle fasi di merito che del contenuto delle sentenze amministrative.

4. Il quinto motivo è infondato. La Corte d’appello ha respinto la domanda subordinata azionata dalla società, relativa alla chiesta compensazione del credito da rimborso vantato dalla ASP con il maggior credito vantato dalla società, risultante dalla differenza tra quanto riconosciutole dall’Azienda sulla base del budget 2008 e quanto fatturato dalla struttura, in parte non erogato in ragione della successiva applicazione degli sconti tariffari, rilevando come sussiste un divieto di remunerazione extra-budget, con conseguente insussistenza di alcun controcredito della società da porre in compensazione.

Le Sezioni Unite di questa Corte, in un recente arresto (Cass. 22232/2016), hanno precisato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

La sentenza impugnata non è affetta da motivazione del tutto illogica, incoerente e quindi apparente.

5. Il sesto motivo è infondato. La Corte d’appello ha ritenuto che

alla luce dei D.A. richiamati, dai quali deriva la disciplina degli sconti tariffari nella Regione Sicilia, il recupero ha riguardato l’intero budget assegnato alla società per l’anno 2008, sulla determinazione del quale il giudicato formatosi inter partes non ha alcuna influenza, riguardando esclusivamente l’ammontare delle somme dovute su cui poi deve applicarsi lo sconto tariffario.

Questa Corte ha già chiarito che “il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione”, mentre “non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo” (Cass. 15178/2000; Cass. 6628/2006; Cass. 11360/2010; Cass. 20765/2018). Ora, le ragioni giuridiche sulla base delle quali la ASP di Catania nel corso del 2011 ha provveduto al recupero della somma di Euro 18.398,31 attengono alla diversa causa petendi discendente dall’applicazione della L. n. 296 del 2006, recepita nella Regione Sicilia, alla luce dei D.A. richiamati, in tema di sconti tariffari.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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