Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6480 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2022, (ud. 08/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5960-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C. SRL, nella qualità di socia della SEACOM SRL, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

MANZI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4062/5/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’08/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la società contribuente proponeva ricorso avverso avvisi di accertamento per IVA relativo al periodo di imposta 2012, ritenendo l’Ufficio che la società contribuente stessa, non avendo superato i test di operatività, dovesse essere considerata una società di comodo, con la conseguenza che l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione IVA annuale non è ammessa a rimborso.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate, evidenziando la mancata instaurazione di un appropriato contraddittorio con il contribuente nell’ambito dell’attività pre-contenziosa, trattandosi di addebiti concernenti un tributo armonizzato come l’IVA, per il quale il contraddittorio endoprocedimentale è necessario; affermava inoltre la sentenza impugnata che la parte contribuente ha indicato gli argomenti che avrebbe potuto addurre in sede di contraddittorio come l’inapplicabilità alla vicenda della disciplina antielusiva sulle società inattive e quindi l’illegittimità di limitazioni del diritto al rimborso di un credito IVA, ha contestato l’applicabilità di sanzioni e soprattutto ha eccepito l’anteriorità dei fatti rispetto all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, e la conseguente impossibilità di dare applicazione retroattiva alle sue disposizioni, fra le quali il comma 4, secondo cui l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un motivo di impugnazione mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nonché del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 51 e 54, e dei principi di cui a Cass. SU n. 24823 del 2015 in quanto il contraddittorio vi sarebbe stato ma, quand’anche si ritenesse che non vi sia stato, la sentenza impugnata non ha indicato quali ragioni in concreto avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio così da poter lamentare una violazione del diritto di difesa.

Il motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte:

in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. SU n. 24823 del 2015);

in tema di impugnazione di diniego di rimborso IVA, sussiste l’obbligo di instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, anche nell’ipotesi in cui il provvedimento negativo sia stato preceduto da una richiesta di documenti da parte dell’amministrazione finanziaria e non da una verifica o da un accesso, trattandosi comunque di attività idonea a produrre effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica del contribuente sotto il profilo del disconoscimento di un credito verso l’amministrazione finanziaria (Cass. n. 28833 del 2021);

in tema di accertamento, il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non opera nell’ipotesi di accertamenti cd. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (Cass. n. 27420 del 2018);

in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”: la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. n. 20036 del 2018);

la prova di “resistenza” è necessaria, per i tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio (Cass. n. 701 del 2019; Cass. n. 18413 del 2021).

La sentenza impugnata – evidenziando la mancata instaurazione di un appropriato contraddittorio con il contribuente nell’ambito dell’attività pre-contenziosa, trattandosi di addebiti concernenti un tributo armonizzato come l’IVA, per il quale il contraddittorio endoprocedimentale è necessario; affermando inoltre che la parte contribuente ha indicato degli argomenti che avrebbe potuto addurre in sede di contraddittorio come l’inapplicabilità alla vicenda della disciplina antielusiva sulle società inattive, l’illegittimità di limitazioni del diritto al rimborso di un credito IVA, ha contestato l’applicabilità di sanzioni e soprattutto ha eccepito l’anteriorità dei fatti rispetto all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, e la conseguente impossibilità di dare applicazione retroattiva alle sue disposizioni, fra le quali il comma 4, secondo cui l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese – pur non specificando se trattasi o meno di accertamento “a tavolino”, ha fatto un uso corretto dei suddetti principi di diritto, in quanto ha comunque evidenziato i motivi di doglianza che la parte contribuente avrebbe potuto addurre in sede di contraddittorio endoprocedimentale, in questa maniera dimostrando che la violazione del diritto di difesa del contribuente a seguito del mancato contraddittorio non era meramente formale, ma avrebbe potuto condurre ad un chiarimento e conseguentemente ad una soluzione senza necessità di arrivare ad una fase contenziosa, in quanto per il tributo armonizzato la valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale va effettuata alla luce della cd. prova di resistenza.

Pertanto, ritenuto infondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; la condanna alle spese segue la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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