Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6479 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. I, 06/03/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3547/2015 proposto da:

Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere della

Vittoria n. 5, presso lo studio dell’avvocato Arieta Giovanni,

rappresentata e difesa dall’avvocato Trisorio Liuzzi Giuseppe,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, in Amministrazione

Straordinaria, in persona del Commissario Straordinario pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Tevere n. 44, presso lo

studio dell’avvocato Recchia Andrea, rappresentata e difesa

dall’avvocato D’Alessandro Francesco, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Congregazione Ancelle Divina Provvidenza, ASL di Foggia;

– intimate –

avverso la sentenza n. 879/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 879/2014, depositata in data 9/6/2014, – in controversia concernente l’opposizione promossa dalla estinta AUSL di Foggia avverso decreto ingiuntivo, del 2006, con il quale era stato ingiunto alla stessa il pagamento dell’importo di Euro 3.102.648,40 alla Congregazione Suore Ancelle della Divina Provvidenza (di seguito, CSADP, proprietaria dell’Ospedale (OMISSIS)), per rette di degenza di pazienti ex psichiatrici ospitati e curati nel 2001, con chiamata in causa della Regione Puglia, – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva, revocato il decreto ingiuntivo, in accoglimento dell’opposizione della ASL, condannato la Regione Puglia, unica legittimata passiva nel rapporto, al pagamento della somma da esso portata, dichiarando inammissibile la domanda subordinata di arricchimento senza causa.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che l’interpretazione data dal giudice di primo grado del contenuto di un protocollo d’intesa, sottoscritto nel giugno 2002 tra la Regione, la ASL e la CSDAP, recepito dalla Delib. Giunta Regionale n. 1870 del 2002, avente natura transattiva, con il quale era prevista la rinuncia della Congregazione ad ogni pretesa fino dicembre 1999, riconoscimento di differenze di retta per il 2000 ed il 2001 rispetto ai ricoverati “ortofrenici, disabili e disabili geriatrici”, l’erogazione diretta da parte della Regione all’INPS (cui erano stati ceduti dalla Congregazione alcuni crediti) delle differenze di retta, a tacitazione di presunti crediti relativi agli anni 1999 e precedenti, e l’Ente regionale si obbligava ad erogare le “somme residue” alle ASL per la liquidazione di quanto dovuto alla CSADP e quindi proprio i corrispettivi delle prestazioni, regolarmente previste dal SSN, effettivamente svolte nel 2001, solo parzialmente (per i due terzi) pagate al momento della transazione (crediti diversi da quelli maturati fino al 1999, rinunciati, o da quelli oggetto di accollo della Regione del debito nei riguardi dell’INPS), era corretta, sia sotto il profilo testuale (e la Regione non aveva proposto una differente interpretazione) sia sotto quello della conservazione posto dall’art. 1367 c.c..

Avverso la suddetta pronuncia, la Regione Puglia propone ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, nei confronti della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza in Amministrazione Straordinaria (che resiste con controricorso) e della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza e della ASL FG (che non svolgono attività difensiva). Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1362 e 1362 c.c., avendo erroneamente la Corte d’appello interpretato il contenuto del suddetto protocollo d’intesa nel senso che esso non avrebbe fatto venire meno tutte le obbligazioni della Regione Puglia nei confronti della Congregazione. Assume la ricorrente che la clausola dell’accordo transattivo, relativa al riconoscimento da parte della Regione per il 2000 ed il 2001 delle differenze di retta (“le differenze di cui sopra saranno erogate dalla Regione Puglia direttamente all’INPS a tacitazione dei supposti crediti per differenze di rette, ceduti e non riconosciuti dalla USL FG 3, relativi agli anni 1999 e precedenti (Euro 32.963.885.544). L’USL FG (OMISSIS) provvederà ad annullare eventuali atti adottati in materia, stante la liberatoria rispetto al Servizio Sanitario regionale fino al 19999. Le somme residue saranno erogate alle UU. SS. LL. per la liquidazione di quanto dovuto alla C.D.P.”), non doveva essere avulsa dal complesso dell’atto, avente lo scopo di definire le pendenze pregresse della Congregazione sino a tutto il 31/12/2001 e di regolarizzare, in termini di tariffa e di tetto massimo di spesa, le attività della struttura a partire dal 2002, e quindi doveva essere intesa nel senso che le “somme residue” non erano somme ulteriori rispetto a quelle da versare all’INPS (Lire 32.963.885.544), riconosciute a titolo transattivo per differenze di retta 2000 e 2001, ma sono le somme che “residuano” dopo l’annullamento degli atti con cui la USL FG (OMISSIS) non aveva riconosciuto le cessioni di credito effettuate dalla Congregazione all’INPS.

2. La censura è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito che “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362c.c. e segg.”, cosicchè “il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali”, non potendo contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito (Cass. 27316/2017; Cass. 17618/2012; Cass. 24539/2009).

Invero, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. 24539/2009; Cass. 16254/2012; Cass. 6125/2014: Cass. 27316/2017; Cass. 28319/2017; Cass. 16987/2018).

In generale, poi, sui criteri ermeneutici di interpretazione del contratto, si è chiarito che “nell’interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti”.

Ora, il ragionamento della Corte d’appello, confermativo della statuizione di primo grado, è chiaro: i crediti, azionati nel 2006 dalla Congregazione, oggetto di fatture emesse già nel 2002 per rette di degenza di pazienti ex psichiatrici ospitati e curati nel 2001, dovevano ritenersi ricompresi nell’accordo transattivo del 2002, intervenuto tra la Regione, la ASL e la CSDAP, e precisamente nella clausola relativa all’obbligo assunto dalla Regione di erogare alle ASL “le somme residue”, per la liquidazione di quanto dovuto alla Congregazione, in quanto crediti all’evidenza diversi da quelli maturati fino al dicembre 19999, rinunciati, e da quelli relativi a differenze di retta 2000 e 2001, corrisposti dalla Regione all’INPS, cui erano stati ceduti dalla Congregazione.

Il ragionamento corrisponde ai criteri di interpretazione letterale e di conservazione del significato della previsione contrattuale (l’erogazione da parte della Regione delle somme residue alle AS per la liquidazione di quanto dovuto a CSDAP).

La ricorrente contrappone, inammissibilmente, a detta interpretazione, plausibile e possibile, un’altra (e, peraltro, la Corte d’appello afferma che invece, in sede di gravame, la Regione non aveva “neppure proposto una diversa interpretazione della clausola” del Protocollo d’intesa 2002), che non è neppure così, per differenze di retta 2000 e 2001, chiara e plausibile, atteso che tale interpretazione, secondo la quale le somme residue non sarebbero somme ulteriori rispetto a quelle da versare all’INPS, non spiega perchè ne sarebbe stata prevista invece l’erogazione alle ASL ai fini della liquidazione alla Congregazione.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 18.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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