Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6478 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. II, 22/03/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 22/03/2011), n.6478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.S., D.D., C.D.C.,

rappresentati e difesi dagli Avvocati Bernardini de Pace Annamaria e

Antonio Rizzo, per procura a margine del ricorso, elettivamente

domiciliati in Roma, via Toscana n. 10, presso lo studio del secondo;

– ricorrenti –

contro

B.C., rappresentata e difesa dagli Avvocati Liserre

Antonio e Paolo de Camelis per procura speciale a margine del

controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via D’Azuni n. 9,

presso lo studio del secondo;

– controricorrente –

B.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato Giunzioni

Gabriela, per procura speciale in calce al controricorso, domiciliata

in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte

suprema di cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2826/08,

depositata il 22 ottobre 2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, il quale nulla ha osservato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 3 dicembre 2008, ha rigettato l’appello proposto da D.S., D.D. e C.D.C. avverso la sentenza del Tribunale di Milano, depositata il 29 novembre 2006, che aveva respinto la domanda dagli stessi proposta nei confronti di B.C. e di B.G., volta a sentir dichiarare l’annullamento, ex art. 624 cod. civ., del testamento olografo in data 18 luglio 2000 di D.F., deceduto in data 8 giugno 2002, per dolo e/o violenza e/o errore e la dichiarazione dell’indegnità a succedere della convenuta ex art. 463 cod. civ., n. 4;

che la Corte d’appello, dopo aver riportato il contenuto della decisione di primo grado, ha esaminato le due cen-sure proposte dagli appellanti, i quali avevano sostenuto che il rigetto della loro domanda sarebbe stato frutto di una “errata valutazione dei fatti e delle prove offerte in primo grado” e che “sui mezzi di prova richiesti dagli attori” si sarebbe dovuto “dare ingresso agli ulteriori approfondimenti istruttori espressamente richiesti in primo grado dagli attori e con motivazione inconsistente, laconica e stringata non ammessi dal G.I.”;

che la Corte d’appello ha quindi preliminarmente rilevato che non risultava impugnata la statuizione di inammissibilità e di irrilevanza dei documenti afferenti le vicende penali relative ai convenuti, con conseguente inammissibilità della relativa produzione anche in grado di appello;

che ha poi ulteriormente osservato che gli appellanti avevano prestato acquiescenza in ordine alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di declaratoria di indegnità della convenuta ai sensi dell’art. 463 cod. civ., n. 1, perchè formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, e, da ultimo, ha rilevato che il testamento olografo non era stato impugnato nè per difetto di autenticità, nè per incapacità di intendere e di volere del testatore al momento della sua redazione,e che gli attori non avevano dedotto alcuna violazione delle loro quote di riserva, non avendo avanzato in via subordinata alcuna domanda di riduzione per lesione di legittima, neanche dopo che i convenuti, nel costituirsi, avevano eccepito che i legittimari erano già stati interamente soddisfatti;

che la Corte d’appello ha, nel merito, rilevato che le risultanze istruttorie invocate dagli appellanti non erano idonee a fornire la prova della ricorrenza dei presupposti dell’azione di annullamento da essi proposta; gli appellanti, inoltre, non avevano neanche addotto alcun elemento oggetti vo per infirmare il rilievo, sorretto dalla puntuale indicazione di riscontri probatori, relativo al fatto che il D. fu sempre lucido, consapevole e reattivo sia all’epoca della redazione del testamento, sia successivamente e sino a suo decesso;

che, in particolare, non era stato indicato alcun elemento idoneo a confutare l’accertamento di alcune circostanze di fatto, desunte dalle deposizioni dei testi B. e C., che avevano indotto il Tribunale a rigettare la domanda;

che, del resto, ha osservato la Corte territoriale, nei comportamenti della B., addotti dagli appellanti a corredo della domanda di annullamento, non erano ravvisabili gli estremi della captazione, non consistendo essi nell’impiego di mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno e a suscitare una falsa rappresentazione della realtà in una persona che, come il D., aveva una personalità forte e determinata, la cui mente non era affetta da alterazioni di natura patologica, che era lucido, consapevole e reattivo;

che nessun elemento consentiva, infatti, di ritenere provato che i suggerimenti della B. avessero influenzato illecitamente la percezione della realtà da parte del D.;

che la Corte d’appello ha poi ritenuto irrilevanti i fatti, dedotti dagli appellanti, relativi alle vicende vissute dalla B. anteriormente all’inizio della sua stabile convivenza con il D., durata oltre venti anni, all’assidua presenza della B. a fianco del D., alla scelta dei medici e degli infermieri, trattandosi di circostanze che, lungi dal comprovare il compimento di attività fraudolente, potevano essere ritenute dimostrative di una sollecita cura per la persona del D., mentre la volontà espressa dal D. con il testamento olografo risultava perfettamente coerente con quella da lui manifestata, immediatamente prima e dopo la redazione del testamento, mediante la celebrazione del matrimonio con la B., la donazione in suo favore di una villa e la cointestazione dei conti bancari;

che, ha rilevato la Corte, dal punto di vista logico, non si comprenderebbe poi perchè la B. avrebbe dovuto manipolare la volontà del D. solo per ottenere la celebrazione di un matrimonio meramente religioso e la stipulazione di una donazione non immediatamente accettata, anzichè di un matrimonio con effetti civili e di una donazione contestualmente accettata; anzi, la scelta di tali modalità appariva chiaramente indicativa della lucidità cognitiva e decisionale del D.;

che, con riferimento alla questione relativa all’ammissione dei mezzi istruttori, non ammessi dal Tribunale, la Corte d’appello ha rilevato che il giudice di primo grado aveva puntualmente indicato, per ciascuno dei capitoli di prova esclusi, i relativi motivi di inammissibilità, sicchè la censura risultava inammissibile per genericità;

che, peraltro, la Corte ha espressamente condiviso la decisione del giudice di primo grado ribadendo le argomentazioni dal medesimo svolte sul punto;

che, quanto alla richiesta di CTU, la Corte d’appello ha rilevato che la stessa era irrilevante perchè diretta ad accertare l’autenticità dell’autografia del testatore e il suo stato psicologico, in assenza di ogni domanda che presupponesse un simile accertamento, e, quanto alla istanza di acquisizione dei tabulati del traffico telefonico della B. e di acquisizione presso l’Arcidiocesi della “copia della dichiarazione rilasciata dal Dott. D.F. all’atto della richiesta per l’autorizzazione alla celebrazione del matrimonio solo in forma religiosa”, la Corte ne ha ravvisato la natura meramente esplorativa;

che per la cassazione di questa sentenza propongono ricorso D. S., D.D. e C.D.C. sulla base di due motivi; resistono, con distinti controricorsi, B. C. e B.G.;

che, con il primo motivo, i ricorrenti deducono omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5: “la deposizione del notaio L. e le addotte ragioni del Dott. D. alla mancata trascrizione del matrimonio religioso”;

che i ricorrenti si dolgono del fatto che il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, non avrebbero tenuto conto della deposizione del notaio L., dalla quale emergeva la prova della esistenza di una lettera nella quale il D. giustificava la propria richiesta di celebrare un matrimonio meramente religioso con la sua volontà, tra l’altro, di tutelare le ragioni successorie dei figli;

che il contenuto della deposizione del teste indicato, poi, escludeva che la richiesta di acquisizione di tale lettera avesse un contenuto meramente esplorativo;

che i ricorrenti si dolgono altresì della mancata considerazione delle lettere redatte dal D. e depositate in primo grado dalla B., nelle quali il de cuius riproponeva le ragioni di indegnità dei figli;

che i giudici di merito, ove avessero tenuto conto di queste lettere, non avrebbero potuto non pervenire a differenti conclusioni, risultando del tutto illogico che il D., da un lato, avesse manifestato la volontà di tutelare le ragioni successorie dei figli;

dall’altro avesse redatto testamento in favore della B. e, dall’altro ancora, avesse inteso donare a quest’ultima, già istituita erede, l’unico bene immobile del quale era proprietario;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti deducono insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5;

che i ricorrenti rilevano, innanzitutto, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che le circostanze di fatto ritenute provate dal Tribunale, non fossero state specificamente contestate con l’atto di appello;

che i ricorrenti si dolgono altresì della insufficiente valutazione di tutti gli elementi probatori che, ove adeguatamente considerati, avrebbero potuto offrire la prova della captazione della volontà del testatore;

che la Corte d’appello avrebbe poi errato nel considerare sollecite premure o suggerimenti alcuni comportamenti della B., dei quali vi era in atti la prova e che altro non potevano ritenersi che mezzi fraudolenti finalizzati al raggiro e alla manipolazione emotiva di un uomo molto anziano;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta relazione, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato, nella relazione depositata il 6 agosto 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Con riferimento ad entrambi i motivi, deve rilevarsi che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 cod. proc. civ., n. 5), dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 1), 2), 3), 4) e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. In proposito, le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddit-toria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valuta-zione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603 del 2007) . In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume o-messa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007). Si deve in ogni caso rilevare che le doglianze, in special modo quelle svolte nel secondo motivo di ricorso, si risolvono in una richiesta di rivalutazione delle risultanze processuali in ordine agli accertamenti di fatto riservati al giudice di merito, in relazione alle quali i ricorrenti formulano una difforme ricostruzione dei fatti, sollecitando questa Corte a svolgere quindi una valutazione che le è preclusa. Senza dire che tutte le valutazioni espresse dai ricorrenti sono orientate dalla considerazione delle vicende penali nelle quali è stata coinvolta la B., vicende che, però, la Corte d’appello, rilevando la mancata impugnazione della relativa statuizione di primo grado e ritenendo inammissibili le relative produzioni, non ha potuto considerare e che quindi non possono incidere sulla valutazione delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite.

Quanto alla specifica censura, contenuta nel primo motivo, secondo cui la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere esplorativa la richiesta di acquisizione della lettera indirizzata all’Arcidiocesi, si deve rilevare che la Corte d’appello, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, ha ritenuto che la volontà manifestata attraverso la redazione del testamento olografo “si palesa perfettamente coerente e conformemente indirizzata con quella da lui manifestata, immediatamente prima e immediatamente dopo la redazione del testamento, mediante la celebrazione del matrimonio volto a suggellare con un vincolo religioso la lunga ed ininterrotta convivenza con la signora, mediante la donazione in suo favore della villa e mediante la contestazione a lei dei conti bancari”.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”;

che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata, alla quale non sono state formulate critiche di sorta;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 4.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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