Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6474 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. I, 06/03/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5444/2015 proposto da:

Punto Cuore S.r.l. del Dott. S.G., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Giuseppe Mazzini n. 142, presso lo studio dell’avvocato Pennisi

Vincenzo Alberto, rappresentata e difesa dall’avvocato Accetta

Sergio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Germanico n. 66, presso lo studio dell’avvocato Consoli Xibilia

Francesco, rappresentata e difesa dall’avvocato Vitale Antonio

Francesco, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1653/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Catania, in riforma della decisione del Tribunale, ha accolto il gravame proposto dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Catania e rigettato tutte le domande avanzate in primo grado dalla società Punto Cuore SRL del Dott. S.G..

Segnatamente, la controversia originariamente promossa dalla Punto Cuore aveva avuto ad oggetto la domanda di rimborso del recupero effettuato dalla Azienda Sanitaria della somma di Euro 8.766,14, nei confronti della società stessa, a titolo di applicazione per l’anno 2008 degli sconti tariffari sulla remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale rese dalle strutture private accreditate per conto del Servizio sanitario nazionale di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 796, lett. o), oltre interessi al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2000, oltre che la domanda di risarcimento del danno per difetto di informazione.

La Corte territoriale ha ritenuto dirimente la ravvisata applicabilità nell’ambito regionale degli sconti tariffari di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796 lett. o) – la cui legittimità costituzionale era stata confermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 94 del 2009 – norma di immediata applicazione anche nella Regione Sicilia, in quanto riconducibile ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Ha, inoltre, rimarcato che la relativa applicazione nella Regione Sicilia era stata prevista dal Decreto Assessoriale (D.A.) 29 agosto 2007, n. 1745 a far data dal 1/1/2007 e che poi, con il D.A. 28 settembre 2007, n. 1977, era stato sancito che le tariffe massime applicabili nel territorio della Regione Sicilia per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale a far data dal 1/10/2007 erano quelle precisate del D.M. Salute 13 settembre 2006, art. 3, con l’applicazione dello sconto.

Quindi, la Corte catanese ha dato atto della intervenuta adozione del provvedimento di sospensione del D.A. n. 1977 del 2007, da parte del Giudice Amministrativo e della susseguente adozione del D.A. 27 febbraio 2008, n. 336 – che aveva previsto la reviviscenza dei valori tariffari previgenti al D.A. sospeso (ex D.A. 11 dicembre 1997, n. 24059 e D.A. 2 dicembre 2005, n. 7104) – ed ancora dell’emanazione dell’ulteriore D.A. n. 170 del 2013, che aveva ripristinato con effetto retroattivo il D.A. n. 1977 del 2007 – a seguito della definizione del contenzioso amministrativo con rigetto dei ricorsi proposti avverso quest’ultimo D.A.- e la cessazione degli effetti sospensivi scaturenti dal D.A. n. 366 del 2008; ha, quindi, escluso che ciò comportasse una illegittima applicazione retroattiva di tariffe meno favorevoli per le strutture private accreditate, trattandosi di un provvedimento ricognitivo della cessazione dei presupposti che avevano giustificato l’adozione del D.A. n. 336 del 2008.

Sulla scorta della puntuale ed ampia ricostruzione della normativa nazionale e dei provvedimenti adottati in sede regionale, la Corte territoriale ha ritenuto efficaci i valori tariffari previsti dal D.A. n. 1977 del 2007, ed applicabili gli sconti tariffari di cui sopra, ivi richiamati, e, quindi, corretto il recupero (per la mancata applicazione degli sconti nel 2008) da parte dell’Azienda sanitaria degli importi corrispondenti e, conseguentemente, infondata la pretesa creditoria della struttura sanitaria privata.

Ha, infine escluso, la sussistenza di una colposa violazione del dovere di informazione secondo buona fede da parte dell’Azienda Sanitaria Provinciale, rigettando la domanda risarcitoria.

La società Punto Cuore SRL ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi; la Azienda Sanitaria Provinciale di Catania ha replicato con controricorso corroborato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c..

La ricorrente sostiene di avere promosso un’azione contrattuale con cui chiedeva di accertare che la somma di Euro 8.766,14, richiesta in restituzione dell’Azienda sanitaria, non era dovuta in ragione del contratto di fornitura del D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 8, unico titolo che regolava i rapporti tra le parti e si duole che la Corte territoriale non abbia valutato la domanda principale fondata sul contratto e sulle norme in esso esplicitamente richiamate.

In particolare osserva che il contratto aveva richiamato il D.A. n. 336 del 2008 (che ripristinava i prezzi per il pagamento delle prestazioni secondo il tariffario regionale previdente) e che il contratto era stato concluso prevedendo la remunerazione delle prestazioni secondo detti valori, tanto che, non potendo applicare gli sconti tariffari perchè il relativo decreto era stato sospeso, la Regione Sicilia per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica di riduzione della spesa sanitaria, aveva ridotto il budget ad essa riservato, e cioè, il volume massimo delle prestazioni remunerate per contenere la spesa (D.L. 31 dicembre 2007, art. 8, comma 1, conv. con mod. dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31).

A parere della ricorrente per l’anno 2008 la normativa regionale in tema di tariffe era data dal D.A. n. 24059 del 1997 e non era applicabile la disciplina statale in ordine alle tariffe nazionali massime per scelte operate dalla Regione; ciò anche considerando che la determinazione della tariffa nazionale non aveva escluso il potere delle Regioni di fissare tariffe maggiori, salvo il principio che la differenza restava a carico dei bilanci regionali.

Sostiene, infine, che il rapporto si era totalmente esaurito con l’erogazione delle prestazioni ed il loro pagamento e che pertanto non poteva trovare applicazione retroattiva la tariffa inferire a quella applicata nel 2008.

2. Con il secondo motivo si denuncia l’errore processuale consistito nella mancata valutazione della prova documentale offerta dal contratto e dalla D.A. 21 aprile 2008, n. 912.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, L.R. n. 2 del 2002, art. 28 e si sostiene la irretrattabilità degli effetti prodotti. Secondo la ricorrente, la Corte catanese ha errato nel ritenere applicabile lo sconto, nonostante non fosse stato contrattualmente previsto e ciò nonostante il rapporto del 2008 si fosse esaurito con l’esecuzione delle prestazioni ed il pagamento del corrispettivo.

4. Con il quarto motivo si denuncia sub A) la violazione dei principi in ordine agli effetti della sentenza amministrativa di rigetto; sub B) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinques, l’omessa considerazione dell’intervenuto contratto di fornitura e la mancata attribuzione di rilievo giuridico.

5.1. I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e sono in parte infondati ed in parte inammissibili perchè non colgono la ratio decidendi (motivi primo, secondo e terzo) e perchè difettano sul piano della specificità (quarto motivo).

5.2. In particolare i primi tre motivi ruotano tutti sulla mancata valutazione da parte della Corte territoriale – a parere della ricorrente – del contratto di fornitura che la ricorrente aveva concluso con l’Azienda sanitaria per il 2008, circostanza che – a suo dire – avrebbe dimostrato – l’inapplicabilità della disciplina tariffaria dello sconto, contrariamente a quanto accertato dal giudice del gravame.

5.3.1. Giova premettere, sul piano normativo e giurisprudenziale, che, per quanto attiene alla determinazione delle tariffe per le prestazioni sanitarie, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 sexies, comma 5, il Ministro della sanità con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l’unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate; lo stesso decreto stabilisce i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario e gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali. La L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 170, in base alla disposizione applicabile ratione temporis (poi abrogata dal D.L. n. 95 del 2012, art. 15) prevede in termini analoghi, che “alla determinazione delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali, assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a disposizione del Servizio sanitario nazionale, provvede, con proprio decreto, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali”.

Successivamente la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), ha introdotto lo “sconto”, oggetto del giudizio, così disciplinato: “fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, quarto periodo, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministero della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto. Fermo restando il predetto sconto, le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate”.

Nell’indagare il rapporto tra normativa statale e disposizioni regionali questa Corte ha già correttamente affermato che “compito del decreto ministeriale è quello di determinare le tariffe massime. Entro il limite della soglia massima determinata dal decreto ministeriale le regioni fissano le tariffe, ed ove tale soglia risulti superata l’importo eccedente resta a carico del bilancio regionale. Non vi è dunque un’antitesi di fonte regionale e fonte ministeriale… Le due fonti concorrono, nel senso che l’autorità ministeriale determina la soglia massima mentre la regione fissa la tariffa in concreto da applicare entro la detta soglia, con la conseguenza che la tariffa eccedente quella soglia resta a carico della regione. Lo sconto trova quindi applicazione sulla tariffa fissata dalla Regione nell’ambito della soglia massima determinata con il decreto ministeriale ed ove tale soglia venga superata unica conseguenza è che l’eccedenza resti a carico del bilancio regionale” (da Cass. 31 ottobre 2017, n. 25845; cfr. Cass. n. 10582 del 04/05/2018).

5.3.2. Nel passare all’esame della disciplina applicabile nel caso concreto si deve osservare che nella Regione Sicilia l’applicazione della legge statale era stata prevista dal D.A. n. 1745 del 2007, a far data dal 1/1/2007; poi, con il D.A. n. 1977 del 2007, era stato sancito che le tariffe massime applicabili nel territorio della Regione Sicilia per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale a far data dal 1/10/2007 erano quelle precisate dal D.M. Salute 13 settembre 2006, art. 3, con l’applicazione dello sconto della L. n. 296 del 2006, ex art. 1, comma 796, lett. o).

A seguito del provvedimento di sospensione del D.A. n. 1977 del 2006, da parte del G.A. era stato adottato il D.A. n. 336 del 2008 – che aveva previsto la reviviscenza dei valori tariffari previgenti al D.A. sospeso (previsti dal Decreto n. 24059 del 1997 e dal Decreto 7104 del 2005) nelle more della definizione del giudizio amministrativo “con riserva di ripetizione” – e quindi, a seguito della definizione del contenzioso amministrativo con rigetto dei ricorsi proposti avverso il D.A. n. 1977 del 2007 e la cessazione degli effetti sospensivi scaturenti dal D.A. n. 366 del 2008, era stato emanato l’ulteriore D.A. n. 170 del 2013, che aveva ripristinato il D.A. n. 1977 del 2007.

In proposito, lo stesso Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, ha puntualizzato che l’Amministrazione, con il Decreto n. 170 del 2013 “ha preso atto dell’avveramento della condizione apposta al proprio Decreto n. 336 del 2008 (la cessata pendenza cioè dei giudizi “sospesi” ed il conseguente venir meno delle astratte ragioni di dubbio sulla legittimità del provvedimento originario) ed ha disposto perciò la revoca della sospensione adottata con tale decreto…il quale dunque ha perduto efficacia, con conseguente reviviscenza ab origine delle tariffe “sospese” di cui al D.A. n. 1977 del 2007.” (sent. n. 111 del 6/2/2015), sicchè il venir meno degli effetti delle sospensive (essendo stati i relativi giudizi definiti dal G.A. con la reiezione dei ricorsi, sia in primo che in secondo grado) ha determinato la realizzazione della condizione adottata con il D.A. n. 366 del 2008.

Ne consegue, che deve ritenersi assolutamente insussistente, la pretesa “retroattività” di effetti collegata all’asserito “ripristino” delle originarie tariffe trattandosi, con evidenza, nella specie, non di “ripristino” di esse, ma di loro “reviviscenza” ipso iure, connessa al venir meno dell’effetto “sospensivo”, in ragione dell’avveramento della condizione prevista dal D.A. n. 366 del 2008.

5.3.3. La decisione impugnata risulta immune da vizi, poichè la Corte territoriale, sulla base della complessiva ricostruzione normativa, ha escluso che da ciò potesse conseguire una illegittima applicazione retroattiva di tariffe meno favorevoli per le strutture private accreditate, trattandosi di un provvedimento solo ricognitivo della cessazione dei presupposti che avevano giustificato l’adozione del D.A. n. 336 del 2008 adottato, nelle more della definizione del giudizio amministrativo “con riserva di ripetizione”, ed ha ritenuto efficaci i valori tariffari previsti dal D.A. n. 1977 del 2007 e gli sconti tariffari di cui sopra, ivi richiamati, e, quindi, corretto il recupero (per la mancata applicazione degli sconti nel 2008) da parte dell’Azienda sanitaria, ed infondata la pretesa creditoria della struttura sanitaria privata.

5.4.1. Ciò detto, va osservato che la tesi sostenuta nei plurimi motivi di censura in esame non coglie la ratio decidendi: invero, la questione proposta in merito al contenuto del contratto non risulta pertinente in quanto riferita alla determinazione del budget di spesa massimo concordato con la società e non al tema della tariffazione applicabile e dello sconto, oggetto del giudizio, atteso che non può ravvisarsi affatto tra le anzidette voci l’interferenza funzionale diretta che la ricorrente assume.

Va premesso che la riconduzione dell’accordo ad un contratto di diritto privato, sostenuta dalla ricorrente, non può essere condivisa posto che, in tema di assistenza sanitaria pubblica, il regime dell’accreditamento introdotto dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 5, non ha inciso sulla natura del rapporto tra struttura privata ed ente pubblico, che resta di tipo concessorio, atteso che la prima, a seguito del provvedimento di accreditamento, viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico (Cass. SU n. 16336 del 18/06/2019; Cass. SU n. 473 del 14/01/2015).

Va, quindi, rimarcato che la Corte di appello ha esaminato contrariamente a quanto assume la ricorrente – la questione poste dalla ricorrente, che – sostanzialmente – consiste nel prospettare la prevalenza dell’accordo negoziale e della disciplina regionale rispetto a quella statale, sia pure non esplicitando il riferimento al contratto; in particolare ha affermato, in linea con il principio anzidetto circa il carattere concessorio del rapporto tra struttura privata ed ente pubblico, la prevalenza e la diretta applicazione della legge nazionale su tariffe e sconti segnatamente laddove ha affermato l’applicabilità diretta della legge statale in merito a tariffe e sconti e la temporaneità dell’applicazione del D.A. n. 366 del 2008 e, quindi, la riviviscenza del D.A. n. 1977 del 2007 (fol. 5/6 della sente imp.) che vi aveva dato applicazione.

Orbene tutte le tre censure non si soffermano su tale statuizione, che non risulta attinta da puntuale impugnazione.

5.4.2. A ciò va aggiunto che la prospettazione di parte circa il fatto che il budget individuale di pertinenza della struttura accreditata fosse stato determinato in misura inferiore rispetto agli anni pregressi per ridurre e/o annullare l’incremento che sarebbe derivato dall’applicazione di maggiori tariffe senza lo sconto – e non, invece, per altra diversa ragione (ad es. diversa ripartizione del budget tra plurime strutture accreditate, diversa ripartizione del budget in relazione ai servizi ambulatoriali da privilegiare, etc.) – è priva di riscontro, alla stregua dello stesso ricorso, oltre che della sentenza, giacchè non risulta nemmeno spiegato – neanche nei precedenti gradi di giudizio – l’assioma secondo il quale il minor budget avrebbe dovuto riequilibrare la maggior spesa per le tariffe delle singole prestazioni in relazione alla specifica posizione della ricorrente, posto che il vero elemento riequilibrante sotto tale profilo avrebbe potuto essere costituito solo dal numero delle prestazioni erogate (inferiore con tariffa più alta) anche a budget invariato.

Non si comprende, infatti, come avrebbe dovuto operare secondo la ricorrente – la relazione tra aumento tariffe/riduzione del budget, posto che il budget costituisce ex D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, quinques, comma 1, lett. d) “il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lett. d)” e che altra variabile della relazione – peraltro decisiva – è data invece dal numero delle prestazioni concordate – a cui la ricorrente nel motivo non fa alcun cenno -, nonostante ciò si evinca chiaramente dal Decreto Assessoriale 21 aprile 2008, n. 912.

Per vero l’assunto della ricorrente risulta smentito dallo stesso Decreto Assessoriale 21 aprile 2008, n. 912, dal quale emerge che la riduzione del complessivo budget per il 2008 (e quindi delle quote attribuite ai singoli fornitori) conseguì alla maggiore onerosità delle prestazioni rese nel 2007 per l’incremento delle tariffe ed a una conseguente ridotta disponibilità finanziaria nel 2008 indotta dall’innalzamento complessiva della spese nell’anno antecedente, in relazione al tetto di spesa triennale ed alla necessità di attuare un piano di rientro per il 2008.

Va, infine osservato che le vicende occorse al decreto regionale n. 1977/2007, oggetto di sospensiva poi venuta meno, sono idonee ad incidere sul rapporto in esame dopo l’esecuzione del contratto, anche perchè trattasi di rapporto di tipo concessorio e perchè la società era al corrente della normativa statale e del contenzioso amministrativo in atto, come si evince dal contratto stesso e dal Decreto Assessoriale n. 912 del 2008, oltre che dalla circostanza che il D.A. n. 366 del 2008, era stato adottato nelle more della definizione del giudizio amministrativo “con riserva di ripetizione” espressamente formulata.

5.5. Il quarto motivo è inammissibile perchè difetta di specificità sia in ordine alla tempestiva introduzione della questione nelle fasi di merito, che del contenuto delle sentenze amministrative.

Trova conferma il principio secondo il quale l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo (Cass. n. 5508 del 08/03/2018).

6. Si deve quindi passare all’esame dei due motivi subordinati.

7.1. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la omessa pronuncia e la nullità della sentenza in relazione alla domanda subordinata con cui ha sostenuto che l’importo dello sconto avrebbe potuto essere richiesto solo su parte del corrispettivo ricevuto, dovendo essere escluso per la maggior parte già giudizialmente accertata con procedure monitorie, opposte dall’Azienda sanitaria solo in relazione al quantum debeatur degli interessi e non alla sorte capitale, divenuta definitiva e coperta da giudicato.

7.2. Il motivo è fondato poichè la Corte territoriale non ha esaminato la questione, rigettando in toto l’appello.

8.1. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e l’omessa motivazione sotto il profilo dell’apparenza.

La censura riguarda la statuizione, a suo dire, meramente apparente, con cui è stata esclusa la colposa violazione da parte dell’Azienda Sanitaria del dovere di informazione secondo buona fede.

8.2. Il motivo è infondato.

La statuizione è stata assunta sulla scorta della complessiva ricostruzione normativa, che ha condotto al rigetto delle domande principali, e risulta rispondente al minimo costituzionale richiesto.

9. In conclusione, va accolto il quinto motivo del ricorso, rigettati tutti gli altri; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Catania in diversa composizione per il riesame nei limiti del motivo accolto e per la liquidazione delle spese anche del presente grado.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo del ricorso, rigettati tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di

Catania in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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