Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6471 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 15670/2018) proposto da:

VITALI S.P.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso nonché di procura

speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore

(del 21 dicembre 2021), rispettivamente dagli Avv.ti Francesco

Marascio, e Sergio Nicola Aldo Scicchitano, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, v. Po, n. 12;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAPONAGO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco

pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

allegata alla memoria del 29 dicembre 2021, dall’Avv. Angela Sarli,

(in sostituzione del precedente difensore Avv. Mario Viviani, nelle

more deceduto) ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Giovanni Corbyons, in Roma, via Cicerone, n. 44;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 5253/2017

(pubblicata in data 13 dicembre 2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai

sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2 luglio 2013 il Comune di Caponago ingiungeva alla Vitali s.p.a. il pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 788.006,03, in relazione alla violazione della L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 29, comma 1, consistita nell’aver effettuato, nel territorio dell’indicato Comune, attività di escavazione non autorizzata ai sensi della citata norma nella misura di mc 44.773,07.

Proposta opposizione da detta società dinanzi al Tribunale di Monza, quest’ultimo – con la sentenza n. 442/2014 – annullava la citata ordinanza-ingiunzione sul presupposto che il predetto Comune non aveva consentito all’opponente di potersi avvalere della facoltà, prevista per legge, del pagamento in misura ridotta della sanzione, previa reiezione dell’altro motivo riguardante la dedotta tardività della contestazione da parte dell’organo accertatore.

La Corte di appello di Milano, investita dal gravame avverso la menzionata sentenza dalla stessa Vitali s.p.a., lo rigettava con sentenza n. 6451/2014.

Pertanto, a seguito di questo esito giudiziario, il medesimo Comune di Caponago, con nota del 5 marzo 2014, trasmetteva nuovo verbale di contestazione alla Vitali s.p.a. in relazione alla stessa violazione, riconoscendole il diritto al pagamento in misura ridotta della sanzione nella misura di Euro 394.003,00 e, poiché la società ingiunta non si era avvalsa di tale facoltà, con successiva ordinanza dell’11 febbraio 2016, le ingiungeva il pagamento della sanzione amministrativa nella già quantificata misura di Euro 788.066,03.

La Vitali s.p.a. formulava opposizione anche avverso questa seconda ordinanza-ingiunzione dinanzi allo stesso Tribunale di Monza, prospettando l’intervenuta decadenza del Comune di Caponago dall’esercizio del potere di emettere il citato successivo provvedimento sanzionatorio amministrativo e, in ogni caso, deducendo sul merito della violazione in questione, contestando il computo del volume del materiale oggetto di escavazione così come risultante dal verbale di accertamento.

L’adito Tribunale respingeva la nuova opposizione avanzata dalla Vitali s.p.a. con la sentenza n. 1748/2016.

La citata società impugnava in appello anche la richiamata nuova sentenza del Tribunale di Monza e la Corte di appello di Milano, nella costituzione dell’appellato Comune di Caponago, rigettava il gravame con sentenza n. 5253/2017 (pubblicata il 13 dicembre 2017), condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte milanese riteneva pregiudiziale valutare la questione dell’ammissibilità dell’appello ed al riguardo considerava tardiva la nuova deduzione – siccome non operata con la prima opposizione – relativa alla pretesa violazione della L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 35, comma 2, non rilevando in proposito la circostanza dell’intervenuta sentenza del TAR Lombardia in data 13 maggio 2016 (successivamente, quindi, al deposito del ricorso in opposizione di primo grado), che avrebbe costituito solo una eventuale conferma della fondatezza del motivo di opposizione.

In ogni caso, il giudice di appello osservava che, indipendentemente dalla possibile “sanatoria” dell’impianto abusivamente realizzato dall’appellante (la quale avrebbe avuto soltanto il limitato effetto del superamento del difetto del titolo edilizio), la valutazione della legittimità o meno dell’attività estrattiva rimaneva intatta ai fini sanzionatori amministrativi, posto che essa atteneva ad una condotta del tutto diversa, assoggettata a specifiche normative e limitazioni.

A tal proposito, la Corte di appello rilevava che la Vitali s.p.a. non aveva fornito alcuna indicazione e dimostrazione del quantitativo estratto per la realizzazione dell’impianto abusivo di produzione asfalti in pretesa applicazione della citata L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 35 relativo al “materiale di risulta provenienze da scavi autorizzati”, nel mentre era emersa, a seguito di sopralluoghi svolti in contraddittorio con la suddetta società, di appositi rilievi ed accertamenti tecnici, l’esecuzione di un’escavazione non autorizzata nel quantitativo oggetto del verbale di accertamento ritualmente elevato nei confronti della stessa società.

Infine, la Corte di appello riteneva legittima la ricostruzione operata dal Comune di Caponago anche alla stregua dell’ammissione compiuta dalla Vitali s.p.a. che l’impianto di betonaggio realizzato costituiva una struttura amovibile per la cui installazione non era stato effettuato alcuno scavo, visto che esso era stato progettato da un punto di vista strutturale in modo tale da essere posizionato senza la necessità di eseguire preliminarmente fondazioni fisse in calcestruzzo armato, rilevandosi che i basamenti metallici integrati permettevano che il macchinario potesse essere appoggiato al suolo opportunamente stabilizzato e livellato non scavato.

2. Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a tre motivi, la Vitali s.p.a.. Si è costituito con controricorso l’intimato Comune di Caponago.

I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., contestando l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che la pretesa violazione della L.R. n. 14 del 1998, art. 35 costituiva oggetto di una domanda nuova e, perciò, inammissibile, nel mentre fin dall’atto introduttivo essa ricorrente aveva dedotto l’incertezza e l’erroneità del computo del materiale abusivamente estratto così come effettuato dalla competente P.A. al fine della determinazione della sanzione, donde avrebbe dovuto ritenersi già denunciato in giudizio anche tale profilo, da ricondursi, per l’appunto, all’anzidetta disposizione normativa.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in materia di giudicato sostanziale, nella misura in cui non aveva annullato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato l’opposizione ed, in particolare, il motivo inerente la certezza dell’entità del volume escavato senza autorizzazione sul rilevato presupposto che trattavasi di una questione di merito già esaminata e definita con la precedente sentenza n. 442/2014 del Tribunale di Monza, confermata dalla Corte di appello di Milano con la sentenza n. 6451/2014.

3. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 14 del 1998, artt. 11, 15, 29 e 35 e l’asserito omesso esame del fatto decisivo circa l’avvenuta conclusione, in data 28 marzo 2013, di una nuova convenzione, ai sensi dell’art. 15 citata L.R., con l’ottenimento di una successiva autorizzazione all’esercizio di attività estrattiva da parte della Provincia di Monza e Brianza, circostanza, questa, che avrebbe dovuto far ritenere, perciò, autorizzata – e dunque non sanzionabile – la parte di materiale scavato per la realizzazione del contestato impianto di betonaggio, corrispondente ad una volumetria di 15.817,47 mc., che avrebbe dovuto obbligare la competente P.A. a ridurre corrispondentemente l’importo della sanzione legittimamente irrogabile.

4. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse della ricorrente.

Va osservato, al riguardo, che nell’impugnata sentenza la Corte di appello, pur avendo – in prima battuta – rilevato l’inammissibilità del motivo di impugnazione relativo all’asserita violazione della L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 35 siccome afferente ad un aspetto non costituente oggetto dell’originaria opposizione, e, quindi, nuovo (perciò incorrente nella violazione dell’art. 345 c.p.c.), lo ha comunque esaminato nel merito, ritenendolo infondato sulla scorta della decisiva valutazione che l’eventuale “sanatoria giurisprudenziale”, da ricondurre all’invocata sopravvenuta sentenza del TAR – confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 6649/2020, prodotta agli atti dalla difesa della stessa ricorrente – aveva avuto, tutt’al più, il limitato effetto di sanare il difetto del titolo edilizio (ed infatti il giudizio amministrativo era stato instaurato per contestare la legittimità di alcuni provvedimenti del Comune di Caponago attinenti alla sospensione dell’attività esercitata dalla Vitali s.p.a. presso il suo impianto di produzione, all’ordine di demolizione delle opere abusive realizzate, al diniego di accertamento di conformità delle medesime opere e al mancato adempimento dell’ordine di rimessione in pristino), ma non poteva ritenersi idonea a rendere legittimo lo scavo – e la successiva vendita – di sostanze estratte dalla cava senza autorizzazione, così rimanendone configurata la violazione dell’art. 29 citata L.R.). Alla inerente statuizione si rivolgono le due successive censure.

5. Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, privo di fondamento.

Innanzitutto, occorre rilevare – sul piano dell’ammissibilità – che esso difetta di specificità poiché la ricorrente non indica nel corpo della sua esposizione quando e come avesse posto la relativa questione sull’operatività di un asserito giudicato nel giudizio di appello con la formulazione di un apposito motivo in relazione all’impugnata sentenza di primo grado, e ciò non si evince nemmeno dal richiamo delle doglianze riportate nella svolgimento del fatto del ricorso – effettivamente formulate con l’atto di gravame, in quanto riferite soltanto alla erronea quantificazione della sanzione sulla base della pronuncia sopravvenuta del TAR Lombardia n. 937/2016 e alla violazione della L.R. n. 14 del 1998, art. 35.

In secondo luogo, va osservato che la Corte di appello, valutando e giudicando sulla violazione con l’impugnata sentenza in relazione ai motivi proposti dalla Vitali s.p.a., ha implicitamente escluso che si fosse formato un giudicato sostanziale (ovvero sul merito della violazione stessa) conseguente alla precedente sentenza della stessa Corte di appello n. 6451/2014 (confermativa di quella del Tribunale di Monza n. 442/2014). Del resto, un siffatto giudicato non poteva ritenersi configurato, poiché la suddetta precedente sentenza di appello aveva avuto ad oggetto solo i profili della tardività della contestazione e del mancato riconoscimento del termine per effettuare il pagamento in misura ridotta, senza esaminare e decidere sulla sussistenza o meno dell’infrazione e sull’entità del materiale oggetto di illegittima escavazione.

6. Il terzo ed ultimo motivo è destituito di fondamento.

Occorre osservare che, alla stregua di quanto già evidenziato, è stata correttamente considerata irrilevante la sopravvenuta sanatoria amministrativa attinente al titolo edilizio, con la conseguente non decisività della circostanza dell’intervenuta convenzione, siccome attinente ad un aspetto non direttamente incidente sulla ravvisabilità delle condizioni per la configurazione (o meno) dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 29 L.R. in discorso. In ogni caso, la ricorrente, pur avendo addotto che la convenzione consentiva l’installazione di tutti i necessari impianti per la nuova attività di escavazione, non per questo la stessa legittimava anche il mantenimento dell’impianto abusivo mediante il quale era stata realizzata l’attività di escavazione per la complessiva superficie oggetto di accertamento. Al riguardo la Corte di appello – escludendo l’emergenza di un riscontro contrario – ha posto in risalto che l’odierna ricorrente non aveva fornito alcuna indicazione e dimostrazione del quantitativo estratto per l’esecuzione dell’impianto abusivo di produzione asfalti in pretesa applicazione del citato art. 35 L.R. in questione relativo al “materiale di risulta proveniente da scavi autorizzati”. A ciò la Corte territoriale ha aggiunto che la stessa affermazione secondo cui “prima del giudizio davanti al Tribunale di Monza R.G. n. 3323/2016…la Vitali s.p.a. non era nella disponibilità di elementi fattuali per contestare l’errato calcolo” non poteva considerarsi plausibile, poiché trattavasi di uno scavo effettuato dalla stessa società che, quindi, si trovava nella condizione di conoscere l’entità dei quantitativi estratti per la realizzazione dell’impianto di betonaggio e per i quali era stata prospettata l’applicazione sanante del suddetto art. 35. Inoltre la Corte milanese, a conforto decisivo dell’operata ricostruzione della vicenda, ha posto in risalto come, per stessa ammissione della Vitali s.p.a. e per quanto evincibile dalla documentazione dalla medesima prodotta in relazione alla sanatoria dell’impianto, era emerso che quest’ultimo era stato progettato da un punto di vista strutturale in modo tale da poter essere installato senza la necessità di realizzare preliminarmente fondazioni fisse in calcestruzzo armato, con la precisazione che i basamenti metallici integrati consentivano che il macchinario poteva essere appoggiato al suolo opportunamente stabilizzato e livellato non scavato. In altri termini, dagli atti del giudizio si era desunto che per l’installazione di tale impianto non andava effettuato alcuno scavo, circostanza, questa, del tutto idonea ad escludere la pretesa violazione del citato L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 35, comma 2, considerandosi, altresì, che la società ricorrente non avrebbe potuto esigere un ulteriore scomputo oltre a quello massimo già applicato (per mc 135.000 quale volume da ritenersi autorizzato, per come scaturito dai correlati accertamenti tecnici, oltre che per mc 30.000, a titolo di volume massimo non calcolabile ai fini della disciplina del trattamento, del trasporto e della commercializzazione del “materiale litoide di risulta proveniente da scavi autorizzati”, ai sensi del medesimo art. 35).

7. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta del valore della causa e delle attività compiute dal controricorrente.

Infine, in virtù del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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