Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6471 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. II, 21/03/2011, (ud. 05/11/2010, dep. 21/03/2011), n.6471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1446/2009 proposto da:

P.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato SANITA’

Rainaldo, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

V.L.; V.O.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4821/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

12.6.07, depositata il 19/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per la ricorrente l’Avvocato Rainaldo Sanità che si riporta

agli scritti e deposita cartolina postale.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO

ALBERTO RUSSO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) E’ impugnata la sentenza del 19 novembre 2007 della Corte di appello di Roma, che ha rigettato il gravame interposto nel 2003 da P.M.L. avverso il lodo arbitrale pronunciato, il 4 aprile 2003, nel giudizio arbitrale tra la stessei e la signora V.L..

Dalla sentenza impugnata si apprende che il lodo, attivato da L. e V.O., riguardava la vertenza sorta tra le parti “in ordine all’esecuzione di un contratto preliminare di compravendita sottoscritto in data 30 luglio 1997, avente ad oggetto la titolarità della rivendita di monopolio con sede in (OMISSIS)”. Il collegio arbitrale aveva ritenuto: a) che L. V. fosse subentrata al fratello O., originario contraente, in seguito a cessione del contratto accettata dalla P., contraente ceduta; b) che il contratto fosse nullo, in quanto era stato concluso in frode alla legge.

La P. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 2/3 gennaio 2009. V.L. è rimasta intimata. La notifica destinata a V.O. non è andata a buon fine a causa del trasferimento dell’intimato.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio.

Ha osservato che il ricorso, soggetto al rito di cui al D.Lgs n. 40 del 2006, è inammissibile.

2) Conviene ripercorrere la relazione comunicata ex art. 380 bis c.p.c.. Il primo motivo del ricorso, che lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1406 c.c., e segg., pone alla Corte il seguente quesito: “Dica la Corte, alla luce della normativa richiamata se V.M.L. poteva considerarsi parte del contratto preliminare in data 3.10.1977 e dunque se poteva attivare la procedura arbitrale che ha determinato il lodo impugnato avanti la Corte di appello di Roma”.

Il secondo motivo, che lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1418 c.c., e segg., si conclude con seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se, alla luce del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., del D.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1047, art. 8 e della L. 22 dicembre 1957, n. 12293, art. 31, l’atto preliminare in data 30 luglio 1997, sottoscritto da V.O. e P.M.L. di cessione della azienda commerciale con sede in (OMISSIS), cui era aggregata la rivendita di generi di monopolio n. 1140, deve o meno considerarsi nullo per frode alla legge”.

Entrambi i quesiti sono da considerarsi inammissibili, in quanto del tutto inidonei a soddisfare i requisiti previsti dalla normativa applicabile ratione temporis al ricorso. Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08). Pertanto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08). Ne consegue che deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris” (Cass 2658/08).

Nel caso di specie in entrambi i casi i quesiti non assolvono a nessuno di tali presupposti, non consentendo di comprendere esattamente la questione esaminata, nè permettendo di cogliere quale sia stata la ratio giuridica della decisione impugnata e quale la contrapposta soluzione fatta valere con le censure.

Il Collegio condivide pienamente queste osservazioni, rilevando come solo un’inammissibile opera di integrale esame del motivo e di estrapolazione del quesito, non consentita dal legislatore, avrebbe potuto condurre alla decisione sui motivi di doglianza, di fatto proposti senza la formulazione di quesiti in qualche modo utilizzabili per lo scopo fissato dal legislatore.

3) Quanto al terzo motivo, che si duole della mancata motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, “riguardo a un capo espresso di domanda”, si rileva la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione. In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360, n. 5, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere.

Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Le ultime proposizioni dell’esposizione del motivo lamentano che il Collegio arbitrale abbia lasciato questioni irrisolte e si pone l’ulteriore quesito circa il dovere della Corte di appello di pronunciarsi riguardo “a un punto essenziale della controversia”.

Così posta, la censura sembrerebbe riconducibile alla doglianza di omessa pronuncia. In tal caso doveva esser fatta valere ex art. 112 c.p.c., in relazione a un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) e doveva essere formulato il quesito di diritto. Anche riguardata sotto questo profilo la censura sarebbe dunque inammissibile.

4) Il Collegio condivide anche queste valutazioni formulate nella relazione preliminare, che colgono inequivocabilmente le carenze del terzo motivo di ricorso. Va aggiunto che la denuncia del vizio di motivazione era formulata richiedendo alla Corte di legittimità una nuova valutazione di merito, giacchè il ricorrente non ha illustrato e riportato le risultanze processuali (documenti, testimonianze) asseritamente trascurate o malvalutate dal giudice di appello, ma ha solo chiesto una rivisitazione di merito, rinviando ai documenti citati in narrativa, ma non riportati per esteso, almeno nelle parti salienti, come era invece imposto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Discende da quanto esposto l’inammissibilità del ricorso, senza la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

Superflua è la rinnovazione della notifica al contraente cedente V.O., nei cui confronti si è pronunciata la Corte di appello. Vale il principio espresso da SU 6826/10: “Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso (nella specie, per la palese inidoneità del quesito di diritto), di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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