Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6470 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 13068/2018) proposto da:

S.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv.

Bernardo Pancaldi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Eugenio Maria Zini, in Roma, v. Germanico, n. 24;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI FERRARA, in persona del Presidente pro-tempore,

rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in

calce al controricorso, dall’Avv. Francesco Monaldi, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Simona

Barberio, in Roma, via Oslavia, n. 7;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna 2144/2017

(pubblicata in data 23 ottobre 2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dalla difesa del controricorrente ai

sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. S.G. e la Pomac s.r.l. proponevano rituale opposizione – dinanzi al Tribunale di Ferrara – avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 7441/2015 con la quale era stato loro intimato dalla Provincia di Ferrara-Sezione Agricoltura, per la violazione di cui alla L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 il pagamento della sanzione pecuniaria complessiva di Euro 52.514,40 (di cui Euro 14,40 per spese), irrogata al primo quale concorrente ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 5 nell’infrazione commessa dal sig. Q.G. e alla seconda in relazione all’art. 6 medesima legge, quale obbligata in solido con lo stesso Qu..

La violazione contestata allo S. era consistita nell’aver, quale legale rappresentante della citata Pomac s.r.l., agevolato l’indebita percezione, da parte dall’Azienda Agricola Q.G., di contribuiti comunitari a carico del Fondo agricolo per lo sviluppo rurale, ai fini dell’acquisto, da parte della menzionata società, di una macchina raccogli-pomodori, attraverso la compilazione e la consegna al Q. di preventivi di vendita di macchine di tale tipo, tutti provenienti dalla medesima Pomac s.r.l. nonché dalla STEI s.r.l. e dalla Solmec s.r.l., società non in concorrenza tra loro (come prescritto dalla legge) in quanto riconducibili allo stesso S., che ne era il legale rappresentante ed allegati dal Q. alla domanda di concessione delle sovvenzioni comunitarie.

Nella costituzione dell’anzidetta Provincia, l’adito Tribunale, con sentenza n. 306/2016, rigettava l’opposizione.

2. Decidendo sull’appello formulato dal solo S., cui resistiva l’appellata Provincia di Ferrara, la Corte di appello di Bologna, con sentenza 2144/2017 (pubblicata il 23 ottobre 2017), rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte emiliana ravvisava l’infondatezza di tutti i formulati motivi di appello, riferiti alla prospettata sussistenza dei presupposti per disporre la sospensione ai sensi della L. n. 898 del 1986, art. 3, comma 3, all’irrilevanza probatoria del processo verbale di contestazione della polizia tributaria, all’addotta inesistenza del “pactum sceleris” e alla denunciata inesistenza dell’illecito e del correlato danno.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, lo S.G.. L’Amministrazione provinciale di Ferrara ha depositato controricorso, illustrato da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione della L. n. 898 del 1986, art. 3, comma 3, nonché la nullità dell’impugnata sentenza, nella parte in cui, con la stessa, non era stata rilevata la sussistenza delle condizioni previste dalla citata norma comportanti la sospensione del giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa in pendenza del procedimento penale relativo agli stessi fatti concretanti anche la contestata violazione amministrativa e fino alla definizione dello stesso.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 161c.p.c. nonché degli artt. 118disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., per aver la Corte di secondo grado ritenuto provata la compartecipazione di esso ricorrente nella commissione della violazione in questione sulla scorta degli elementi raccolti dalla polizia tributaria, condividendo, a tal proposito, le argomentazioni sostenute dal giudice di prime cure, omettendo, tuttavia, di dar conto delle ragioni di detta condivisione e delle critiche che erano state formulate con l’atto di appello.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 5 unitamente all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non avendo la Corte territoriale, con l’impugnata sentenza, motivato sul perché l’illecito in discorso avrebbe potuto essere posto a carico di tutti i presunti concorrenti senza che fosse risultato dimostrato che esso aveva costituito il frutto di una loro comune cooperazione materiale.

4. Con il quarto ed ultimo mezzo il ricorrente ha denunciato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 e della L. n. 689 del 1981, art. 5 in ordine alla non rilevata inesistenza del danno erariale e all’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio circa la mancata valorizzazione degli elementi acquisiti in giudizio dai quali si sarebbe dovuto desumere che il Q. aveva il diritto e tutti i requisiti per poter richiedere il contributo comunitario oggetto della sopravvenuta contestazione.

5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato non sussistendo alcuna ipotesi di sospensione obbligatoria – per pregiudizialità logico-giuridica – del giudizio civile di opposizione a sanzione amministrativa per l’autonomo illecito amministrativo riconducibile alla violazione della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 fondato su diversi presupposti e relativo alla tutela di un bene giuridico differente, tanto è vero che il citato art. 3 prevede l’autonoma instaurabilità del procedimento sanzionatorio amministrativo e il riferimento alla sospensione contenuto nello stesso art. 3, comma 3 non è correlabile (diversamente dalla prospettazione del ricorrente e dal richiamato precedente giurisprudenziale, siccome del tutto apodittico) ad una ipotesi di sospensione obbligatoria automatica, dovendosi ricondurre la sua obbligatorietà sulla base di una impostazione sistematica di ordine generale dalla quale non si può prescindere in via interpretativa – alla sussistenza delle condizioni propriamente risultanti dal disposto dell’art. 295 c.p.c. in combinazione con quello di cui all’art. 654 c.p.p..

E’ stato, invero, precisato nella giurisprudenza di questa Corte (alla quale si è uniformata il giudice di appello nell’impugnata sentenza) che la L. 23 dicembre 1986, n. 898, artt. 2 e 3 prevedono per la medesima fattispecie, rispettivamente, un illecito penale e un illecito amministrativo e, quindi, un’ipotesi di doppia punibilità alla quale va applicato il cumulo materiale fra sanzioni di diversa specie, senza che assuma rilievo che il fatto previsto dall’art. 2 possa eventualmente integrare, in via alternativa, il più grave delitto previsto dall’art. 640-bis c.p., perché ai fini dell’illecito amministrativo rileva solo che il fatto descritto nell’art. 2 citato sia stato commesso, quale che sia la qualificazione giuridica penalistica ad esso attribuita (cfr. Cass. n. 1081/2007 e Cass. n. 19366/2010).

6. Anche la seconda censura è destituita di fondamento e deve essere respinta.

Osserva il collegio che, in effetti, essa si risolve nella contestazione dell’apprezzamento delle risultanze probatorie che la Corte di appello ha preso idoneamente in considerazione ai fini dell’emergenza sia della configurazione della violazione in questione che della responsabilità ascritta al ricorrente, senza affatto “appiattirsi” sulla motivazione del giudice di primo grado che, pur facendo proprie, ha comunque esplicato con un autonomo percorso logico-argomentativo.

Con esso la Corte bolognese ha, infatti, messo in rilievo tutte le circostanze desunte dallo svolgimento istruttorio del giudizio, sia con riferimento ai complessivi elementi evincibili dal processo verbale di contestazione che alla univoca ricostruzione fattuale dell’intera vicenda conducente al riscontro finale – corroborato anche dagli esiti della prova orale – del raggiungimento dello scopo dell’indebita percezione del contributo comunitario oggetto di accertamento. In tal modo, il giudice di appello è pervenuto, in particolare, alla conclusione – sulla base di tali complessive risultanze dell’emergenza dell’interesse e del vantaggio dello S., al quale, mediante la redazione di tutti e tre i preventivi e le altre modalità di realizzazione della condotta ascrittagli, è stata motivatamente attribuita la consapevolezza di porre in essere la vendita della macchina di produzione “Pomac”, risultato che non avrebbe conseguito e non sarebbe stato garantito ove, nel rispetto della vigente normativa, avesse invece provveduto alla redazione di un solo preventivo per il Q., che intendeva presentare la domanda di ammissione al contributo.

7. Pure la terza doglianza è infondata e va, perciò rigettata.

A tal proposito occorre, ancora una volta, evidenziare che la Corte di appello, con motivazione del tutto adeguata, ha accertato che – sulla scorta dei complessivi elementi evidenziati in risposta al precedente motivo – doveva ritenersi raggiunta la prova della compartecipazione dello S. nella causazione dell’illecito amministrativo in discorso, essendo inequivocamente emerso che egli aveva messo a disposizione del Q. preventivi di comodo ed inveritieri, utilizzando allo scopo le tre società da lui amministrate e, quindi, tutte a lui riconducibili. E’ rimasto, quindi, accertato il contributo causale del ricorrente nell’operazione complessiva tesa all’ottenimento indebito del contributo comunitario, senza che occorresse – come adombrato dallo stesso S., ma bastando invece l’accertamento di un ruolo, anche solamente autonomo, ai fini della realizzazione della suddetta operazione l’emergenza di un’univoca prova di un accordo illecito tra tutti i concorrenti, rivolgendosi la L. n. 898 del 1986, art. 2 a “chiunque” contribuisca al conseguimento di tale illecito scopo.

E la giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, rimarcato, che, in tema di sanzioni amministrative, la fattispecie prevista dalla L. 23 dicembre 1986, n. 898, art. 2 (la cui condotta contemplata, infatti, ha – come già rilevato – un’autonoma rilevanza anche ai fini della sanzionabilità in sede amministrativa, ovvero “indipendentemente dalla sanzione penale”, come recita l’incipit del comma 1 successivo art. 3), che consiste nell’indebito conseguimento, per sé o per altri, di aiuti comunitari ottenuti mediante l’esposizione di dati o notizie false, non richiede ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo la presentazione di una domanda contenente dati o notizie false da parte di chi consegue indebitamente i contributi, essendo sufficiente che l’indebita percezione sia conseguente all’esposizione di dati o notizie false, contenute in qualsiasi atto, proveniente o dal beneficiario o – si badi – da un terzo concorrente nell’illecito (qualità rivestita, nel caso di specie, per l’appunto dallo S.).

8. Anche il quarto ed ultimo motivo è da ritenersi infondato poiché – come correttamente rilevato dalla Corte bolognese – ai fini della configurazione della violazione in questione, non assumeva un decisivo rilievo la circostanza che poi il prezzo della macchina raccogli-pomodori acquistata da Q. sarebbe risultato inferiore a quello applicato da altre aziende produttrici, bensì doveva considerarsi determinante l’accertamento della condotta ascritta allo S. finalizzata all’ottenimento del contributo comunitario in forma ed in misura indebite e concretatasi mediante le già specificate modalità, con la presentazione di preventivi non veritieri, siccome non rispettosi nel bando in quanto prodotti da imprese non in regime di concorrenza tra loro, con la conseguenza che il contributo – sulla base dell’attuazione di tale comportamento – non avrebbe dovuto essere corrisposto e non lo sarebbe stato se l’ente erogatore avesse avuto la consapevolezza della falsità dei documenti trasmessi con la richiesta di integrazione della domanda.

9. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta del valore della causa e delle attività compiute dal controricorrente.

Infine, in virtù del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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