Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6469 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 22911/2018) proposto da:

Y.H., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avv. Ilaria

Sottotetti, e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco

pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

apposta in calce al controricorso, dagli Avv.ti Antonello Mandarano,

Ruggero Meroni, e Donatella Silvia, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Lepore, in Roma, via Polibio, n.

15;

– controricorrente-

avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 7132/2018 (pubblicata

in data 27 giugno 2018);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso del 27 ottobre 2017 il sig. Y.H. proponeva appello avverso la sentenza n. 9359/2017 adottata dal Giudice di pace di Milano, con la quale era stata rigettata integralmente l’opposizione dal medesimo formulata contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento n. 00016334/2016/8/1/1 della sanzione di Euro 5.018,70, in relazione alla violazione consistita nell’aver esercitato attività di vendita su area pubblica senza autorizzazione, come prevista dalla L.R. Lombardia n. 6 del 2010, art. 21, comma 3, opposizione con cui aveva anche invocato la riduzione dell’irrogata citata sanzione.

Decidendo su tale gravame, l’adito Tribunale di Milano, nella costituzione dell’appellato Comune di Milano, con sentenza n. 7132/2018 (pubblicata il 27 giugno 2018), lo respingeva.

A fondamento di detta decisione il citato Tribunale rilevava, in via preliminare, che non poteva sortire alcun rilievo la circostanza che in un altro procedimento – ancorché recante lo stesso numero identificativo – era stata iscritta a ruolo l’opposizione avente ad oggetto la stessa ingiunzione di pagamento, notificata, però, successivamente (il 4 gennaio 2017), ragion per cui il Tribunale, con autonoma sentenza, aveva disposto l’annullamento di questa seconda ingiunzione, essendosi ormai consumato il potere sanzionatorio in capo all’ente competente (con l’emanazione della prima ordinanza-ingiunzione), così rimanendo legittimamente pendente l’altro, comunque distinto, ricorso avanzato avverso la stessa ingiunzione notificata precedentemente (il 16 novembre 2016).

Indi, premessa la mancata contestazione sulla sussistenza della condotta e sulla responsabilità dell’appellante, il giudice di appello rilevava – in considerazione delle circostanze complessive del fatto – la correttezza della misura (come detto, per Euro 5.018,70) della sanzione inflittagli con l’opposta ordinanza-ingiunzione, ricompresa nei limiti edittali previsti dalla norma di riferimento, non potendosi applicare la sanzione minima di Euro 500,00 siccome riguardante un’altra violazione, diversa da quella oggetto di controversia e contemplata dalla stessa L.R. n. 6 del 2010, art. 27, comma 6.

2. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a due motivi, il predetto Y.H., resistito con controricorso dall’intimato Comune di Milano.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e/o erronea interpretazione dell’art. 39 c.p.c., sostenendo che, poiché con precedente sentenza per l’avvenuta duplicazione dei procedimenti – il Tribunale di Milano aveva, comunque, dichiarato l’annullamento della stessa ingiunzione di pagamento (e relativa alla medesima violazione), non avrebbe potuto più conoscere del merito dell’infrazione amministrativa ascrittagli oggetto dell’altra opposizione, essendone venuto meno l’oggetto per effetto della già intervenuta sentenza di annullamento, così incorrendo nella violazione del principio del “ne bis in idem”.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto la violazione della L.R. Lombardia n. 6 del 2010, art. 27 nonché l’illogicità della motivazione dell’impugnata sentenza, prospettando l’erroneità di quest’ultima laddove non aveva accolto la richiesta di riduzione al minimo della sanzione amministrativa, ritenendo, invece, di confermare quella irrogata siccome contenuta in una misura considerata comunque congrua, sull’assunto che esso ricorrente avesse formulato la domanda subordinata di riduzione non con riferimento al minimo edittale ma alla misura da considerarsi proporzionata e, perciò, adeguata rispetto alla violazione accertata.

3. Rileva, in primo luogo, il collegio che devono essere rigettate le eccezioni del controricorrente circa l’asserita violazione nel ricorso dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, dal momento che esso, invece, risulta rispondente alle prescrizioni di dette norme, essendo stati adeguatamente indicati lo svolgimento sommario dei fatti di causa, i vizi denunciati e i motivi posti a fondamento della loro prospettazione.

4. Ciò chiarito, il primo motivo è da ritenersi infondato.

Con esso è stata prospettata la supposta violazione dell’art. 39 c.p.c., da ricondurre secondo la deduzione del ricorrente – alla mancata dichiarazione di litispendenza tra le due cause identiche (siccome aventi ad oggetto l’opposizione alla stessa ingiunzione di pagamento notificata due volte).

La difesa del ricorrente ha, in sostanza, inteso denunciare la violazione della citata norma processuale sotto il profilo – prospettando un possibile concreto interesse al riguardo – afferente all’illegittimità della sentenza relativa al mancato accoglimento della prima opposizione nonostante la stessa ingiunzione di pagamento notificata successivamente (perciò doppiamente) fosse già stata annullata dallo stesso Tribunale (adito direttamente in primo grado) per la consumazione del potere sanzionatorio in capo al Comune emittente che aveva già adottato una prima ingiunzione di pagamento con riferimento alla stessa condotta integrante la medesima infrazione, con conseguente asserita violazione del principio del “ne bis in idem”.

Rileva il collegio che, in realtà, con la sentenza con cui era stato pronunciato l’annullamento della seconda, ancorché identica, ordinanza-ingiunzione di pagamento notificata al ricorrente, il Tribunale non aveva deciso sul merito della violazione ma si era limitato a dare atto che con l’emissione della prima ingiunzione di pagamento il Comune di Milano aveva già legittimamente esercitato il suo potere sanzionatorio, che, quindi, non avrebbe potuto reiterare mediante l’emissione di una seconda identica ingiunzione, con la derivante necessità dell’annullamento di quest’ultima.

Quindi, nel caso di specie, non sono venuti a verificarsi i presupposti per una possibile violazione del principio del “ne bis in idem” e, quindi, per l’asserita operatività dell’invocato giudicato esterno, siccome la sentenza intervenuta per prima (con riferimento all’opposizione avverso la seconda, ancorché relativa alla medesima infrazione amministrativa, ordinanza notificata all’odierno ricorrente) non aveva per l’appunto deciso sul merito dell’opposizione, ragion per cui legittimamente il Tribunale avrebbe – come poi ha fatto – potuto decidere pienamente sull’opposizione relativa all’ingiunzione di pagamento notificata per prima al ricorrente, ancorché inerente allo stesso fatto concretante la medesima violazione al medesimo contestata.

5. La seconda censura è manifestamente infondata dal momento che, innanzitutto, il Tribunale ha dato correttamente atto che, nel caso di specie, era stata legittimamente contestata al ricorrente la violazione prevista dalla L.R. n. 6 del 2010, art. 27, comma 5 (e non del comma 6) (ovvero quella relativa all’esercizio di un’attività commerciale con occupazione di area pubblica senza autorizzazione e non, invece, quella riconducibile al superamento dei limiti dell’autorizzazione concessa, non essendo stata invero quest’ultima rilasciata) e poi ha preso in considerazione la richiesta di riduzione della sanzione, ritenendo, tuttavia, proporzionata al fatto e alle circostanze (indicate specificamente a pag. 3 della motivazione della sentenza e ricondotte alla gravità dell’infrazione, all’irrilevanza dei motivi economici addotti, al numero degli oggetti messi in vendita e sequestrati e alla condotta del trasgressore) la misura di quella irrogata di Euro 5.018,70, ricompresa nei limiti edittali previsti (individuati nel minimo in Euro 1.500 e nel massimo in Euro 10.000,00), non potendosi, in ogni caso, applicare quella minima invocata di Euro 500,00 edittalmente contemplata con riferimento alla diversa violazione di cui al citato art. 27, comma 6 menzionata L.R., invece, come evidenziato, non costituente oggetto della effettiva contestazione elevata nei confronti del ricorrente.

6. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario ed ulteriori accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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