Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6468 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. II, 21/03/2011, (ud. 05/11/2010, dep. 21/03/2011), n.6468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 866/2009 proposto da:

SICOD SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 90, presso lo

studio dell’avvocato VACCARO GIUSEPPE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LO CASTRO Andrea, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato ACQUAVIVA CARLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato TAVILLA Maurizio, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 30/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Alle parti è stata comunicata relazione ex art. 380 bis c.p.c., depositata dal consigliere relatore e avente il contenuto che si riporta di seguito, con correzioni e aggiunte solo formali.

“1) Il 1 dicembre 1993 la S. evocava in giudizio la srl Sicod chiedendo che ex art. 2932 c.c., venisse disposto il trasferimento di un immobile sito in (OMISSIS), promessole in vendita con preliminare del 26 giugno 1989. Eccepita la competenza arbitrale, veniva dichiarato il difetto di giurisdizione arbitrale, ma la sentenza del tribunale di Messina veniva annullata dalla Corte d’appello locale, che rimetteva le parti davanti al giudice di primo grado. Riassunto il giudizio con atto notificato il 28 dicembre 2001, il tribunale disponeva il trasferimento della proprietà immobiliare, imponendo alla acquirente il residuo pagamento di L. 310 milioni. La Corte d’appello (con sentenza 30 ottobre 2007) in accoglimento dell’appello proposto dalla S. riduceva detto importo.

Sicod srl ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 2/3 dicembre 2008, affidandosi a due motivi. L’appellante ha resistito con controricorso.

Il ricorso appare inammissibile e manifestamente infondato.

Il primo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo del giudizio. Esso sì chiude con un “quesito di diritto”, impropriamente definito tale, posto che il quesito ex art. 366 bis c.p.c., è previsto in caso di censura riconducibile all’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4 e non nell’ipotesi di denuncia di vizio di motivazione, che richiede invece la specifica indicazione del fatto controverso. Ipotizzando che tale “quesito” possa comunque costituire un momento di sintesi della censura proposta ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ogni caso la formulazione è del tutto inidonea allo scopo.

Essa reca: “Contestata la circostanza circa la prova o meno di un asserito pagamento avvenuta in tutti gli atti di giudizio e anche in grado di appello, il comportamento tenuto dalla parte (Sicod srl) deve essere valutato dal giudice come argomento di prova ex art. 116 c.p.c. e non vale a confermare la linea difensiva incompatibile assunta dalla controparte ( S.)”. Il testo, che sembra riferirsi a una violazione di legge, non traduce adeguatamente la problematica posta nel corpo del motivo. Ivi si sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe affermato che Sicod non aveva contestato i pagamenti effettuati dalla signora S. e portati dalla Corte in detrazione rispetto al residuo prezzo dovuto alla venditrice. Sicod avrebbe infatti sempre contestato sin dal primo atto di costituzione pagamenti diversi da quelli già quietanzati con il preliminare.

La censura per un verso è posta in modo inadeguato per l’incompletezza della sintesi ex art. 366 bis c.p.c., per altro verso è inammissibile, perchè gravemente lesiva del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. A tal fine il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali (o documentali) ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. 11886/06; 8960/06;

7610/06). In particolare dovevano essere riportati e indicati i punti degli atti difensivi – e i relativi specifici contenuti – dai quali si doveva desumere l’avvenuta contestazione degli avvenuti pagamenti.

Si tratta comunque di doglianza non decisiva, giacchè la prova dei pagamenti parziali non è stata tratta soltanto dalla non contestazione di essi, addotta in sentenza a completamento della motivazione sul punto, ma dalla produzione di copie di assegni, con le indicazioni sulla presentazione per l’incasso, e di una ricevuta versata in atti.

2) Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Vi si lamenta che non potevano essere prodotti in grado di appello i documenti da cui la Corte territoriale avrebbe desunto l’esistenza di pagamenti parziali del corrispettivo.

Trattandosi di violazione di norma processuale (relativa alle decadenze nella produzione documentale) doveva essere denunciata a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. 14003/04; 9707/03; 3190/06; 11844/06; 12952/07; 26598/09).

Il quesito è carente quanto alla formulazione, perchè non riferisce puntualmente la fattispecie concreta.

Il motivo è comunque infondato, perchè pretende che sia affermato che la preclusione in grado di appello riguardo alla produzione documentale riguarda anche le cause instaurate nel 1993, cioè prima dell’entrata in vigore nel 1995 del testo novellato dell’art. 345 c.p.c., dovuta alla L. n. 353 del 1990, art. 52. La tesi è sostenuta, anche nel quesito, con riguardo al fatto che la controversia era stata riassunta in data successiva al 1995, a seguito di sentenza dichiarativa di competenza del giudice ordinario.

Trattasi di tesi priva di fondamento, poichè l’atto con cui la causa viene riassunta in primo grado dopo che il giudice di appello, in applicazione degli artt. 353 e 354 c.p.c., ne abbia disposto la rimessione, pur spiegando una funzione introduttiva, non è – a questi fini – equiparabile all’atto di citazione, in quanto interviene in un procedimento già in precedenza instaurato (Cass. 2562/07; 19467/05).

In questo senso è inequivocabile il riferimento all’art. 50 c.p.c., a tenore del quale, a seguito della riassunzione della causa – nella specie risalente a sentenza d’appello che ex art. 353 c.p.c., ha restituito la competenza al tribunale che se ne era spogliato ritenendosi carente di giurisdizione – il processo continua davanti al nuovo giudice. Ne consegue che il regime processuale applicabile in appello era quello delle cause anteriori all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 353 del 1990, che consentiva la produzione di nuovi documenti, ex art. 345 c.p.c. vecchio testo.

3) Il ricorso risulta comunque inammissibile per omessa impugnazione di un’altra ratio decidendi, sufficiente a reggere la decisione (Cass 20118/06; 389/07). Si tratta dell’affermazione del giudice d’appello circa la avvenuta produzione dei documenti di cui si tratta già in primo grado di giudizio (pag. 6 sentenza d’appello, ove poi si soggiunge che la produzione era comunque ammissibile ex art. 345 c.p.c.). Questa parte decisiva della sentenza non è stata oggetto di specifica censura, ditalchè ove anche i primi due motivi fossero ammissibili e fondati, comunque la decisione relativa ai pagamenti parziali si reggerebbe sulla rituale produzione in primo grado della documentazione ritenuta probante”.

4) Il Collegio condivide pienamente la relazione redatta dal consigliere relatore, che ha individuato sia profili di inammissibilità che di manifesta infondatezza dei ricorso. La prevalenza dei primi impone la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione e la condanna di parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione al resistente delle spese di lite liquidate in Euro 4.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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