Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6466 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 28/02/2022), n.6466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

ARAM s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante geom. R.R., rappresentata e difesa per

procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati Francesco

Mantovani, e Francesco Corvasce, elettivamente domiciliata presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, viale delle Milizie n. 48;

– ricorrente –

contro

G.U.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 38 della Corte di appello di Milano,

depositata il 9.1.2017.

Udita la relazione della causa svolta dal relatore Dott. Mario

Bertuzzi nella camera di consiglio del 7.12.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 38 del 9.1.2017 la Corte di appello di Milano rigettò l’appello proposto dalla ARAM s.r.l. per la riforma della sentenza di primo grado, che aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso su ricorso della odierna ricorrente nei confronti di G.U. per il pagamento del saldo prezzo di lavori dati in appalto, quantificando il credito residuo dell’impresa, detratti gli acconti versati ed i costi necessari per l’eliminazione dei vizi riscontrati, in Euro 4.523,00, credito che dichiarava interamente compensato in ragione dei danni subiti dall’opponente per la limitazione del diritto di godimento dell’immobile causato alla controparte. La Corte distrettuale motivò tale conclusione, per quanto qui ancora interessa, affermando, nel disattendere il relativo motivo di gravame, che l’errore del primo giudice di non avere considerato, ai fini della quantificazione del credito dell’appaltatore, l’importo dovuto dal committente a titolo di iva, costituiva un mero errore materiale, emendabile, ai sensi degli artt. 287 c.c. e ss., con la correzione della sentenza, che per l’effetto emendava, condannando in dispositivo il G. al pagamento, previa esibizione della fattura, dell’importo a titolo di iva sul corrispettivo di Euro 19.373,00; respinse altresì la censura della appellante che aveva dedotto che la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla controparte avrebbe dovuto essere disattesa in quanto strettamente connessa alla domanda della parte stessa di risoluzione del contratto, che invece era stata rigettata, rilevando che l’art. 1668 c.c. fa salvo, comunque, il diritto del committente al risarcimento dei danni anche a prescindere dalla declaratoria di risoluzione del contratto di appalto.

Per la cassazione di questa decisione ricorre, con atto notificato 27. 3. 2017, la s.r.l. ARAM, sulla base di due motivi.

L’intimato G.U. non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, e nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, assumendo l’erroneità della decisione della Corte territoriale nell’avere qualificato come mero errore materiale la mancata considerazione da parte della sentenza di primo grado, ai fini della quantificazione del credito dell’impresa, dell’importo dovuto dal committente a titolo di iva, pur essendo esso compreso nella somma portata dal decreto ingiuntivo opposto e nell’avere conseguentemente disposto la correzione sul punto della sentenza impugnata. Sostiene il ricorso che l’errore denunziato non aveva natura materiale e non era pertanto suscettibile di correzione e che la conclusione accolta della Corte di appello l’ha portata a rigettare il corrispondente motivo di appello e quindi a liquidare le spese a carico dell’appellante in ragione della sua totale soccombenza, nonché a dare atto della sussistenza a suo carico dell’obbligo di pagamento di una somma pari al contributo unificato.

Sotto altro profilo la ricorrente assume la nullità della sentenza impugnata per insanabile contraddittorietà delle soluzioni accolte, in quanto, da un lato, ha rigettato l’appello e quindi confermato in toto la decisione di primo grado, dall’altro, l’ha riformata, condannando l’appellato al pagamento di un importo ulteriore a titolo di iva.

Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha respinto il motivo di gravame che lamentava, ai fini della determinazione del credito dell’impresa appaltatrice, che il giudice di primo grado non avesse tenuto dell’intero importo da essa preteso in sede monitoria, ma del solo corrispettivo espunto dall’iva, sulla base del presupposto che l’errore avesse natura di errore materiale, come tale emendabile in applicazione della procedura di correzione di cui agli artt. 287 e ss., dando quindi seguito, nel dispositivo, alla correzione della sentenza impugnata, con condanna dell’appellato al pagamento dell’ulteriore importo. La soluzione così accolta appare palesemente errata, atteso che l’errore del primo giudice denunziato dall’appellante non integrava un errore materiale, per omissione o di calcolo, configurabili laddove si riscontri un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione4n grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento (Cass. n. 16877 del 2020; Cass. n. 4319 del 2019; Cass. n. 572 del 2019), ma un errore di giudizio, attenendo alla determinazione del quantum della pretesa creditoria formulata dalla parte opposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Con riferimento all’errore di calcolo, emendabile con la procedura di correzione, questa Corte ha del resto, in numerose pronunce, precisato che esso non è ravvisabile nell’ipotesi in cui l’errore cada sui presupposti numerici dell’operazione, il quale si risolve invece in un vizio logico della motivazione (Cass. n. 2399 del 2018; Cass. n. 795 del 2013; Cass. n. 4859 del 2006).

Sotto altro profilo la statuizione impugnata è errata anche perché non ha osservato e dato attuazione al principio dell’effetto devolutivo dell’appello, in forza del quale la stessa proposizione di tale mezzo di impugnazione assorbe l’eventuale esistenza di errori materiale della sentenza gravata (Cass. n. 13629 del 2021; Cass. n. 10289 del 2001), con la conseguenza che il giudice di appello deve pronunciarsi sul motivo di gravame e non può limitarsi a correggere la decisione.

Merita aggiungere che il motivo di ricorso in esame appare sostenuto dall’interesse alla rimozione della statuizione impugnata, nonostante che la sentenza di appello abbia condannato l’appellato all’importo dovuto a titolo di iva, per la diretta incidenza della stessa sulla condanna dell’appellante al pagamento delle spese, giustificata in ragione della sua totale soccombenza, nonché ai fini della dichiarata sussistenza del suo obbligo di pagare una somma pari al contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, soltanto in caso di rigetto in toto dell’impugnazione.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1668 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto, in favore del G., il danno per mancato godimento del bene, trascurando di considerare che questi aveva proposto tale richiesta quale diretta conseguenza della domandata risoluzione del contratto di appalto e che quest’ultima domanda era stata respinta dal Tribunale con statuizione passata in giudicato in mancanza di appello incidentale. Sostiene al riguardo il ricorso che tale domanda avrebbe dovuto, in accoglimento del motivo di appello proposto, essere respinta, in quanto strettamente connessa a quella di risoluzione del contratto e che è errato il richiamo da parte della Corte di appello all’art. 1668 c.c., che ha riguardo alla diversa fattispecie in cui il committente, denunziando l’esistenza dei vizi delle opere eseguite dall’appaltatore, agisca per l’eliminazione dei vizi o per la riduzione del prezzo.

Il mezzo è infondato.

Dalla lettura della sentenza risulta che la decisione di primo grado, non investita sul punto dall’appello dell’impresa, aveva ridotto la pretesa della stessa in ragione dei difetti delle opere realizzate, determinando per tale ragione, sulla base dei costi necessari per la loro eliminazione, il corrispettivo dovuto nella minor somma di Euro 4.523,00. Ne discende che il rigetto del motivo di appello, che denunziava l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni in quanto strettamente dipendente da quella, rigettata, di risoluzione del contratto, si sottrae alle censure sollevate, in forza della considerazione che la decisione di primo grado di riduzione del prezzo dell’appalto trovava il suo necessario presupposto nella proposizione da parte dell’opponente della domanda corrispondente di riduzione del prezzo e che detto capo della decisione, non essendo stato investito dall’appello, era comunque divenuto definitivo per effetto del giudicato interno. Tanto è sufficiente a ritenere corretta la decisione sul punto, argomentata proprio dal richiamo alla disposizione di cui all’art. 1668 c.c., che fa salvo, nel caso di azione del committente di riduzione del prezzo in caso di difetti dell’opera, il diritto dello stesso di ottenere il risarcimento del danno in caso di colpa dell’appaltatore.

La sentenza va pertanto cassata in relazione al primo motivo di ricorso e la causa rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per la liquidazione delle spese del giudizio, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA