Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6465 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 15/06/2016, dep.14/03/2017),  n. 6465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15010-2013 proposto da:

M.E., (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati LUIGI MICHELE MARIANI, STEFANO BOERO, PAOLO CAMPAGNA giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA DELLA

LIBERTA 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAROLEO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO MASSIMO

TISCORNIA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1240/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 06/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato FRANCESCO CAROLEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.E. conveniva in giudizio G.C., proprietaria dell’appartamento sito in (OMISSIS) per accertare, ai sensi della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 13, comma 5 l’esistenza del contratto di locazione e ricondurlo a condizioni conformi previste dalla legge.

Il Tribunale di Genova, rilevato che nelle more del processo la M. aveva denunciato al Fisco il contratto verbale di locazione ai tini della registrazione dell’atto con conseguente instaurazione, ai sensi del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 3, comma 8, di un nuovo contratto di locazione ad uso abitativo, regolato “ex lege” per quanto concerneva la decorrenza, durata, rinnovo e determinazione del canone, dichiarava cessata la materia del contendere, condannando la ricorrente alle spese di lite.

La Corte d’appello – investita con impugnazione della M. diretta alla riforma del capo relativo alle spese della decisione di prime cure -, con sentenza in data 6.12.2012 n. 1240, rigettava l’appello rilevando che la conduttrice non aveva fornito la prova che la locazione di fatto le fosse stata imposta dalla locatrice, condannandola alle ulteriori spese del grado.

La M. ricorre per cassazione deducendo con due motivi plurime censure di violazione di errori di diritto sostanziale e processuale e vizi di motivazione.

Resiste con controricorso la intimata, eccependo la nullità della procura speciale rilasciata dalla ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dal difensore della ricorrente in data 13.6.2016, e dunque oltre il termine prescritto dalla norma (cinque giorni prima della udienza pubblica 15.6.2016), è tardiva e deve, pertanto essere stralciata.

Occorre preliminarmente esaminare la eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per nullità della procura speciale ex art. 365 c.p.c. rilasciata in calce dalla M..

La procura ad litem è stata rilasciata su “foglio materialmente congiunto” al ricorso, ed entrambi tali atti risultano sottoscritti dall’avv. B.S. (iscritto all’albo speciale per il patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e dall’avv. C.P. (non iscritto al predetto albo speciale), entrambi legali del Foro di Genova.

La procura “ad litem” non reca alcuno specifico riferimento alla sentenza impugnata nè alla fase di cassazione (essendo conferita al difensore dalla parte “ogni più ampia facoltà di legge, ivi comprese quelle di proporre eventuale giudizio di gravame e/o di esecuzione, di chiedere di eseguire misure cautelari e di urgenza, di chiamare terzi in giudizio, di riassumere il giudizio stesso, di transigere, di rinunziare agli atti e accettare l’altrui rinuncia, nonchè di disporre, ove occorra, del diritto in contesa”), ma essendo la sentenza esplicitamente richiamata nella intestazione del ricorso per cassazione, e venendo la procura alle liti a costituire corpo unico con il ricorso, il requisito di specialità prescritto dall’art. 365 c.p.c. può ritenersi idoneamente assolto (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 18468 del 01/09/2014).

Dal tenore della procura ad litem emerge, peraltro, che il “jus postulandi” viene conferito agli “avv. Luigi Michele Mariani del Foro di Milano e Campagna Paolo del Foro di Genova, congiuntamente e disgiuntamente”, non avendo il primo dei due legali sottoscritto nè il ricorso per cassazione, nè la procura ai fini della autentica della firma della parte ricorrente. Trattasi di evidente errore materiale come è dato desumere dalla lettura complessiva dell’atto introduttivo: 1 – nella intestazione del ricorso sono indicate esclusivamente le generalità, il codice fiscale e l’indirizzo PEC dell’avv. Boero e non anche dell’avv. Mariani; 2 – il ricorso è sottoscritto dall’avv. Boero; 3 – nello stesso testo della procura ad litem, predisposto a stampa, è riportato con grafia a mano, nello spazio bianco al punto 9., come titolare del trattamento dei dati l’avv. Boero Stefano e non anche l’avv. Mariani; 4 – la procura ad litem è sottoscritta esclusivamente dall’avv. Boero Stefano che ha anche autenticato la firma della ricorrente, e non anche dall’avv. Mariani; 5 – la spedizione del ricorso per la notifica risulta effettuata ad istanza dell’avv. Boero.

Deve in conseguenza ritenersi che nella indicazione nell’atto di procura ad litem congiunto al ricorso del nominativo dell’avv. Mariani in luogo del nominativo dell’avv. Boero debba riconoscersi un mero errore materiale che non inficia la validità della procura speciale, essendo agevolmente ed inequivocamente identificabile, alla stregua dei considerati elementi estrinseci ed intrinseci dell’atto, nell’avv. Boero Stefano il difensore incaricato della proposizione del ricorso per cassazione e titolare del “jus postulandi”.

Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia cumulativamente vizio per “error in judicando” (L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1 e art. 13, comma 5), vizi di nullità processuale (art. 2697 c.c.) e vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, ed il secondo motivo recante analoga rubrica ad eccezione del solo riferimento normativo del vizio di nullità processuale (artt. 2727 – 2729 c.c.), sono entrambi manifestamente inammissibili.

Premesso che il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009), osserva il Collegio che, se la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) (id est: formulazione di un singolo motivo articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimità allorchè esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), all’errore nell’esercizio dei poteri di governo del processo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) ed ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), così da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimità contestati in rubrica (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), diversamente, il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno delle diverse censure non consenta – come nel caso di specie – di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

Inoltre è appena il caso di aggiungere che gli asseriti errori contestati come vizi di nullità processuale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), non attengono affatto a profili di invalidità della attività del Giudice inerente al regolare svolgimento delle fasi processuali in funzione della sua conclusione sul merito, così come i vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dedotti come violazioni della L. n. 431 del 1998, non evidenziano errori interpretativi o di sussunzione di norme di diritto, ma – come è dato evincere dalla argomentazione svolta nei motivi -, si risolvono, piuttosto, in una critica della valutazione e selezione probatoria compiuta dal Giudice di merito degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, venendo quindi ad investire il piano del merito, sottratto al sindacato di questa Corte e non recuperabile evidentemente attraverso la dedotta violazione della regola sul riparto dell’onere della prova (la Corte territoriale, non ha affatto deciso la controversia invertendo l’onere della prova gravante sulle parti, ma ha invece valutato gli elementi circostanziali emersi dalle risultanze processuali, ritenendo raggiunta la prova che il rapporto locativo “di fatto” non era stato “imposto” dalla proprietaria dell’immobile, avendo inizialmente la M. assentito al differimento della regolarizzazione formale del contratto ed avendo la G., successivamente, invitato la M. a sottoscrivere il contratto).

In ogni caso, quando anche le censure in esame fossero da ricondursi alla denuncia del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le stesse andrebbero egualmente incontro alla dichiarazione di inammissibilità, in quanto, da un lato, appaiono dirette a richiedere alla Corte una nuova rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014), e dall’altro prospettano un vizio di legittimità non più ricompreso nell’elenco tassativo di cui all’art. 360 c.p.c., trovando applicazione alla sentenza impugnata, pubblicata in data 6.12.2012, l’art. 360 c.p.c., comma 1, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito il n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 limitando la impugnazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, rimanendo, pertanto, circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” prescritto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – secondo cui tale requisito minimo di validità della sentenza non risulta soddisfatto soltanto qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile);

che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Ne segue che al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale), il vizio motivazionale sindacabile da questa Corte residua soltanto nell’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che è stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053).

Laddove poi le censure debbano intendersi riferite alla mancata ammissione dei mezzi di prova orale richiesti dalla ricorrente nei gradi di merito, la mancata riproduzione del contenuto del capitolato di prova, determina la inammissibilità dei motivi di ricorso, impedendo di evidenziare: a) il “fatto storico decisivo” che il Giudice avrebbe dovuto considerare ai fini della valutazione della condotta della locatrice volta ad imporre alla conduttrice un rapporto “di fatto”, e che, se dimostrato in giudizio, avrebbe con certezza condotto ad una diversa decisione favorevole alla attuale ricorrente b) la correlativa conducenza delle prove orali non ammesse, e cioè la relazione tra i fatti (eventualmente secondari) oggetto di prova ed i fatti costitutivi del diritto vantato.

Inoltre la ricorrente era tenuta, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ad individuare gli atti del processo nei quali i mezzi di prova erano stati ritualmente richiesti, onde consentire alla Corte – che non ha accesso diretto a tali atti, in considerazione del tipo di vizio denunciato – di verificare in limine l’ammissibilità della censura.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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