Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6462 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/03/2017, (ud. 13/06/2016, dep.14/03/2017),  n. 6462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

V.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, V.

CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VARNIERO VARNIER

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

VA.LU., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

146, presso lo studio dell’avvocato EZIO SPAZIANI TESTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO FORNASIERO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

VA.SP., M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1698/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 31/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato DE MARSI FABRIZIO per delega;

udito l’Avvocato SPAZIANI TESTA EZIO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

I FATTI

Il Tribunale di Padova accolse la domanda proposta da V.S. nei confronti della sorella Lu. – domanda volta ad ottenere la condanna dei convenuti a dare esecuzione ad una convenzione stipulata nell’aprile del 1990, che prevedeva l’obbligo di Va.Lu. di costituire una società fra farmacisti con l’attrice), ovvero in subordine alla liquidazione in suo favore della quota pari al 50% del valore della farmacia – condannando la convenuta al pagamento della somma di 859.000 Euro, quale risarcimento sostitutivo dell’incoercibile esecuzione della detta convenzione negoziale.

La corte di appello di Venezia, investita dell’impugnazione proposta tanto da Va.Lu. che dai suoi genitori (contumaci in prime cure, ed appellanti incidentali sub condicione nel grado), in totale riforma della sentenza di primo grado, accolse il gravame principale, rigettando le domande di V.S.. Avverso la sentenza della Corte lagunare, quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi di censura illustrati da memoria.

Resiste Va.Lu. con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere accolto.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., con conseguente insufficienza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte d’appello interpretato la clausola contrattuale di cui al punto 2 della convenzione del 23.4.1990 letteralmente, senza tener conto della comune intenzione delle parti e del testo complessivo, in violazione del principio di conservazione del contratto.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale, con ragionamento gravemente viziato sul piano logico-interpretativo, ha difatti ritenuto (fornendo, dalle clausola contrattuale in parola, una lettura del tutto avulsa dal testo complessivo della convenzione per la quale è processo) che l’oggetto della promessa di cessione di quota di proprietà dell’azienda fosse indeterminato e indeterminabile.

Viene in tal modo del tutto pretermesso il fondamentale canone interpretativo (destinato a prevalere, per costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice, su quello dell’interpretazione meramente letterale) volto alla necessaria indagine della comune volontà dei contraenti, quale emerge ictu oculi dal coordinamento della clausola in questione con il testo dell’intera convenzione (riportata in seno al motivo di ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza), nonchè dal raffronto tra le espressioni utilizzate dalle parti con la causa concreta del negozio.

A non altra conclusione può giungersi, sul piano logico, nell’interpretare l’espressione “un massimo del 50%” se non a quella che fosse proprio tale percentuale ad indicare la misura (non oltrepassabile) della quota da attribuirsi all’interessata, volta che, dal testo della convenzione, emerge con chiarezza l’intento “di precisare, tutelare e salvaguardare i diritti e gli interessi di tutti i contraenti, ed in particolare quelli delle signore ( M.G. e) V.S..

Scopo evidente e non equivoco perseguito dalle parti – oltre alla funzione di garanzia dell’investimento realizzato con il denaro dei genitori, prevedendo all’uopo l’obbligo di gestione della farmacia in regime di impresa familiare (onde garantire agli stessi la corresponsione dei relativi utili) -, era difatti quello di tutelare, in modo paritario, le due sorelle, quanto all’accesso alla professione ed alla garanzia di una futura attività lavorativa di V.S. ove se ne fossero create le premesse ex lege, poichè soltanto V.L. risultava, illo tempore, già in possesso dei requisiti per l’intestazione della farmacia.

All’espressione “precisazione, tutela e salvaguardia dei diritti e degli interessi di tutti i contraenti, e in particolare quelli…. della signora V.S.”, espressamente menzionati nella convenzione plurilaterale stipulata tra le parti, altro significato non è consentito di attribuire se non quello – attesi anche i rapporti familiari,ed il comprensibile quanto indiscutibile intento di due genitori di riservare un’eguale tutela ad entrambe le figlie – di riconoscere loro una posizione paritaria – non eccedente, appunto, la quota del 50%, – da attribuirsi in futuro alla figlia Sandra, dopo aver intestata l’intera proprietà della farmacia, per evidenti vincoli di legge, alla sola Lu. (come correttamente e condivisibilmente ritenuto dal giudice di prime cure).

Una siffatta interpretazione appare, inoltre, conforme all’ulteriore canone interpretativo volto alla conservazione, e non alla caducazione, degli effetti del contratto, anch’esso violato dalla Corte territoriale.

Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo.

Il motivo è fondato.

La decisione della Corte territoriale, predicativa della inderminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del negozio, è difatti contraddetta dalle in equivoche risultanze documentali prodotte in giudizio dall’odierna ricorrente, testualmente riprodotte in seno al motivo in esame (ff. 22 e ss. del ricorso), contenenti plurime ipotesi di accordo stragiudiziale tra le parti, tutte fondate sulla costante premessa del riconoscimento, in favore di V.S., del suo diritto di ottenere l’inserimento nell’azienda farmaceutica in forma paritaria rispetto alla sorella, precedente e formale intestataria.

Il ricorso è pertanto accolto, e il procedimento rinviato alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra esposti.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Venezia in altra composizione.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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