Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6462 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. un., 06/03/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 06/03/2020), n.6462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 834-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 117, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MORO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MALINCONICO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

e contro

D.N.D.V.A., M.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 383/2018 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 08/10/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso in via principale per

l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto;

udito l’Avvocato Giovanni Malinconico.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lazio convenne, in due distinti giudizi, S.G., sindaco del Comune di (OMISSIS) ed altri, in relazione agli addebiti per danno erariale, consistenti il primo nell’aver fatto dichiarare la decadenza di un assessore, in seguito reintegrato dal giudice ordinario, ed il secondo nell’avere indotto il Comune a promuovere un giudizio civile risarcitorio per diffamazione a mezzo stampa nei confronti della Rai s.p.a., T.A. ed altri, in relazione alla detta vicenda, conclusosi con il rigetto della domanda e la condanna del Comune alle spese di lite.

2. – La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, riuniti i giudizi, con sentenza n. 35/2018 ha condannato S.G. al pagamento, in favore del Comune di (OMISSIS), della somma di Euro 90.000,00 a titolo di responsabilità amministrativa, per avere con colpa grave cagionato danno all’ente proponendo domanda temeraria di risarcimento del danno a nome del Comune nei confronti della Rai s.p.a., T.A. ed altri.

3. – In parziale accoglimento del gravame del S., la prima sezione giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con sentenza n. 383/2018 ha ridotto ad Euro 20.000,00 l’ammontare della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

A tale conclusione la Corte dei conti è giunta sul rilievo che: a) la prima causa fu introdotta con atto di citazione affetto da indeterminatezza, ma la condanna è conseguita al secondo atto di citazione, non viziato, onde la precedente questione resta processualmente irrilevante; b) l’obbligo di pagamento delle elevate spese legali, disposto a carico del Comune dal giudice ordinario in esito all’infondata domanda di diffamazione ivi proposta, costituisce fatto integrante la responsabilità amministrativa per il danno erariale derivatone, essendo stata l’introduzione di quel giudizio connotata da colpa grave e da particolare avventatezza, in quanto semmai la pretesa diffamazione avrebbe potuto riguardare gli amministratori comunali in proprio, ma non l’ente come tale, mentre la causa neppure era stata adeguatamente seguita in Tribunale dal S., peraltro come gli altri indagato in vari procedimenti penali; c) non può parlarsi, quindi, di una scelta discrezionale degli amministratori, riconducibile alla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 1, e successive modificazioni, dovendosi invece stigmatizzare l’irrazionalità ed incongruità della scelta stessa, trattandosi di una lite personale tra persone fisiche, in nessun modo coinvolgente il Comune; d) l’obbligo risarcitorio deve essere ripartito, in parti uguali, tra il S. e gli altri assessori comunali convenuti.

Per la cassazione della sentenza S.G. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

Il Procuratore generale, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi sono proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, deducendo rispettivamente:

1) la violazione della L. n. 20 del 1994, art. 1 come modificato dal D.L. n. 543 del 1996, conv. dalla L. n. 639 del 1996, per violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile e della riserva di amministrazione, in quanto la decisione di proporre un giudizio a nome del Comune costituisce ambito riservato alle scelte discrezionali della P.A.;

2) il diniego di giurisdizione, per non avere dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, pur in presenza della indeterminatezza del contenuto dell’atto di citazione introduttivo del primo giudizio;

3) l’eccesso dai poteri giurisdizionali, per avere deciso la seconda causa, avente petitum e causa petendi uguali alla prima, pur dopo avere esaurito il proprio potere giurisdizionale.

2. – Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Procura generale presso la Corte dei conti, sotto il profilo della mancata precedente proposizione della questione di giurisdizione, con formazione del giudicato implicito.

Infatti, al riguardo deve essere richiamato il principio secondo cui, ai fini della formazione del giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione, è necessaria l’esistenza, nella sentenza di primo grado, di un capo autonomo su di essa impugnabile, ma non impugnato, in appello. Tale situazione non è configurabile in ordine ad una sentenza di primo grado astrattamente affetta da vizio di eccesso di potere giurisdizionale, poichè, nell’ambito del plesso giurisdizionale della Corte dei conti o del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere che si sia determinato, in ipotesi, nel giudizio di primo grado, dovrà essere corretto con l’esperimento delle relative impugnazioni, onde l’interesse a ricorrere alle Sezioni unite sorge esclusivamente rispetto alla sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, amministrativo e legislativo (Cass., sez. un., 17 maggio 2019, n. 13436; Cass., sez. un., 5 aprile 2019, n. 9680; Cass., sez. un., 27 aprile 2018, n. 10265).

3. – Il ricorso è infondato, sotto tutti i profili che propone.

Non è affetta da nessuno dei vizi denunziati la decisione impugnata, la quale ha ravvisato l’integrazione della fattispecie di responsabilità amministrativa nella condotta del sindaco, sopra esposta.

3.1. – Invero, va in primo luogo ribadito il principio, secondo cui la deliberazione degli amministratori comunali di intraprendere un giudizio o di resistervi, con conseguenti esborsi, per l’ente amministrato, per spese processuali che si sarebbero potute evitare, qualora essi avessero agito con prudenza, integra violazione del dovere, degli amministratori stessi, di improntare la propria condotta a principi di correttezza ed efficienza, con conseguente loro responsabilità amministrativa (cfr. Cass. 30 marzo 1990, n. 2609).

Infatti, è principio costante (fra le altre, Cass., sez. un., 5 aprile 2019, n. 9680; Cass., sez. un., 8 maggio 2017, n. 11139) che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione, qualora censuri non già la scelta amministrativa adottata, bensì il modo con il quale quest’ultima è stata attuata, profilo che esula dalla discrezionalità amministrativa, dovendo l’agire amministrativo comunque ispirarsi a criteri di economicità ed efficacia.

Ne deriva che è infondata la questione di difetto di giurisdizione in relazione al preteso sindacato della Corte dei conti su scelte discrezionali della pubblica amministrazione, posto che la contestazione non ha riguardato le scelte proprie del potere discrezionale, ma l’uso del potere in modo non conforme al dovere di diligente cura degli interessi dell’ente, così causando un pregiudizio diretto al patrimonio dell’ente medesimo.

Si deve aggiungere che, come le Sezioni Unite hanno già da tempo affermato (Cass., sez. un., 29 settembre 2003, n. 14488), sulla configurazione di spazi discrezionali, e quindi di aree di insindacabilità, svolgono un essenziale effetto conformatore i principi di economicità e di efficacia L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1 i quali costituiscono un limite alla libertà di valutazione conferita alla p.a. e regole giuridiche di azione.

Tali principi, quindi, costituiscono una regola di legittimità dell’azione amministrativa, la cui osservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale, nel senso che lo stesso comporta il controllo della loro concreta applicazione, essendo lo stesso estraneo alla sfera propriamente discrezionale.

Trattandosi di clausole generali o di concetti giuridici indeterminati, secondo un principio generale dell’ordinamento, la verifica della loro osservanza da parte dell’amministrazione non può, peraltro, comportare un controllo che vada al di là della ragionevolezza.

Anche nell’applicazione di un concetto giuridico indeterminato vi è uno spazio di libertà dell’amministrazione, non sindacabile in sede giurisdizionale, ma tale libertà deve essere rigorosamente distinta da quella relativa all’esercizio di un potere discrezionale, nel quale la norma conferisce all’amministrazione una possibilità di scelta elettiva fra più comportamenti, tutti di pari valore giuridico.

Detti principi sono stati affermati da questa Corte in generale (Cass., sez. un., 18 gennaio 2001, n. 5), riguardo al controllo sull’applicazione di concetti giuridici indeterminati o clausole generali, ritenendosi che il controllo giurisdizionale di legittimità comporta, oltre alla verifica sulla corretta interpretazione, anche quella sulla applicazione.

Pertanto, uno scorretto esercizio del potere di riesame sull’applicazione delle clausole generali richiamate non costituisce affatto invasione della sfera discrezionale, ma error in iudicando non denunciabile in Cassazione quale vizio attinente alla giurisdizione. La verifica della corretta applicazione di una clausola generale non è sindacato di discrezionalità, ma controllo (anche se limitato) di legittimità, per cui il suo esercizio (e cioè la concreta applicazione della regola al caso concreto) non pone un problema di sindacato della discrezionalità amministrativa.

3.2. – Quanto ai pretesi vizi di cui al secondo e terzo motivo, rientra nei limiti interni della giurisdizione il giudizio sulla indeterminatezza, oppure no, della domanda introduttiva, nè esso si traduce in un preteso diniego di giurisdizione, trattandosi semplicemente dell’applicazione delle regole interne al processo; del pari, la decisione di una seconda domanda, pur dopo avere ravvisato la nullità della prima, costituisce null’altro che concreto esercizio dei poteri di quella giurisdizione.

A ciò si aggiunga che la Corte dei conti ha escluso, al contrario dell’assunto del ricorrente – altresì privo dei requisiti dell’art. 366 c.p.c. – l’identità delle domande in detta sede proposte.

3. – In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Non occorre la liquidazione delle spese di lite, essendo la Procura generale parte solo in senso formale.

PQM

La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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