Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6461 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. un., 06/03/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 06/03/2020), n.6461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30302-2018 proposto da:

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MARTINO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO CARLEO e

ASTOLFO DI AMATO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 146/2018 della CORTE DEI CONTI – TERZA SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 09/05/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che conclude per la declaratoria d’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

G.V. ricorre, con atto notificato dal 22/10/2018 ed articolato su due motivi, per la cassazione della sentenza n. 146 del 09/05/2018 della Corte dei conti (terza sezione giurisdizionale centrale d’appello), che ha respinto il suo appello avverso la condanna inflittagli – con sentenza n. 24 del 09/01/2015 – dalla sezione giurisdizionale per la regione Lazio della medesima Corte, a titolo di colpa grave ed in via sussidiaria rispetto ad altri convenuti ( L.V. e D.G.S., oltre alla società percettrice del contributo), al risarcimento di una quota – quantificata nel 3,5% del totale e quindi in Euro 835.782,57 – del danno arrecato all’Erario per l’indebita percezione di ingenti somme a titolo di contributi per l’editoria ex lege n. 250 del 1990 da parte della scarl International Press (d’ora in avanti anche solo IPS);

in particolare, era rimasto accertato che detta società aveva indebitamente percepito la somma di Euro 23.879.502,00 dal 2000 al 2011, attraverso artifizi e raggiri posti in essere dai litisconsorti L.V. e D.G.S., quali la creazione di società cartiere, la realizzazione di attività fittizie come quella di c.d. strillonaggio per l’aumento della diffusione del quotidiano “(OMISSIS)”, o la formazione di fatture false per operazioni inesistenti; e che il G. era corresponsabile per avere egli, quale componente della Commissione per l’editoria istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, espresso pareri su pratiche di richiesta di quel contributo che lui stesso aveva istruito, collaborando attivamente con l’altro convenuto L.V. e l’IPS al fine di presentare la relativa domanda;

la qui gravata sentenza, definito in rito il coevo appello del L. e qualificata irrilevante la mancata riassunzione nei confronti della IPS, nelle more fallita, ha, per quel che qui ancora rileva e prima di confermare la sentenza di primo grado e la condanna del G. a titolo di equità e per colpa grave in via sussidiaria – al pagamento di somma pari al 3,5 % dell’intero danno, cioè Euro 835.782,57:

– dapprima ribadito la giurisdizione del giudice contabile, per la sussistenza di un rapporto di servizio del G., inteso quale relazione funzionale caratterizzata dall’inserimento dell’agente nell’apparato organico e nell’attività dell’ente pubblico e suscettibile di rendere il primo compartecipe dell’operato del secondo (con richiamo ai principi espressi, tra le altre, da Cass. Sez. U. n. 21546 del 2017);

– poi, ha escluso la non corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione all’originaria richiesta del P.M. di condanna del G. a titolo di dolo, accolta invece, mediante mera riqualificazione dei medesimi fatti (e “dequotazione” del titolo di responsabilità), a titolo di colpa grave per la violazione, accertata come sussistente, dell’obbligazione di diligenza del professionista ex art. 1176 cpv. c.c. nella verifica dei requisiti per l’ammissione ai contributi all’editoria della società che ben conosceva e di cui possedeva le informazioni necessarie per verificare la veridicità o meno delle certificazioni rilasciate in qualità di intraneus di quella;

al ricorso resiste con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei conti; e, disposta la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, il Pubblico Ministero ed il ricorrente depositano, rispettivamente, conclusioni scritte – nel senso dell’inammissibilità del ricorso – e memoria ai sensi del terz’ultimo e del penultimo periodo di tale disposizione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorrente articola due motivi, dei quali occorre esaminare subito, per l’evidente carattere pregiudiziale, il secondo, di difetto di giurisdizione della Corte dei conti per insussistenza di qualsiasi rapporto di servizio: come si evincerebbe già solo dal fondamento della condanna sul riscontro di una negligenza del professionista, pur non essendo stato destinatario dei finanziamenti contestati, nè in alcun modo beneficiario o fruitore dei medesimi, ma anzi essendo rimasto solo un mero socio della società CCE srl, erogatrice di servizi alla International Press scarl e soprattutto niente più che uno solo dei ventiquattro componenti della Commissione per l’Editoria che era intervenuta nelle procedure per l’erogazione dei contributi, pertanto a sua volta vittima delle attività truffaldine del L. e del D.G. per conto della IPS;

il motivo è infondato: il concreto e determinante inserimento dell’odierno ricorrente nell’apparato dell’ente pubblico finalizzato all’erogazione delle risorse erariali discende dall’univoca circostanza della sua partecipazione, sia pure in uno ad altri, all’organismo che ha espresso pareri sulla spettanza del contributo, ma, come adeguatamente sottolineato: sul punto, attiene al merito della pretesa risarcitoria e non alla giurisdizione – con conseguente incensurabilità in questa sede di ogni valutazione al riguardo da parte del giudice munito di giurisdizione – la valutazione del carattere determinante della caratterizzazione specifica, rispetto agli altri, delle circostanze di avere o dovere avere avuto personale approfondita conoscenza delle reali condizioni della richiedente per avere contribuito all’istruttoria delle relative pratiche, come pure dell’entità concreta dell’apporto causale nella formazione della volontà dell’organo collegiale;

in particolare, quanto ai contributi per l’editoria, questa Corte ha già statuito che rientra nella giurisdizione della Corte dei conti l’azione per il danno arrecato all’erario dall’erogazione indebita di quelli, attesa la funzione pubblicistica che perseguono (Cass. Sez. U. ord. 22/11/2019, n. 30526);

ancora, la giurisdizione contabile bene sussiste in relazione ai voti espressi dai componenti di organi collegiali, specificando la normativa in materia che la responsabilità si ascrive, in caso di condotte consistenti in provvedimenti di organi collegiali, a coloro che in seno a questi hanno votato a favore, ai sensi della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 1-ter;

infine, la partecipazione necessaria al procedimento che ha portato all’erogazione indebita integra di per sè l’instaurazione di un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione cui è demandata la cura degli interessi perseguiti con l’erogazione (Cass. Sez. U., ord. 05/06/2018 n. 14436), poichè quella condotta è immancabilmente integrativa dell’attività istruttoria della P.A. erogante e costituisce quindi uno degli indefettibili presupposti dell’erogazione stessa, poi rivelatasi non dovuta;

pertanto, il secondo dei motivi di ricorso è infondato, sussistendo la giurisdizione del giudice contabile alla stregua del seguente principio di diritto: “sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità contabile per indebita percezione di contributi a carico dell’erario, proposta nei confronti di uno dei componenti di un organismo pubblico che abbia concorso all’erogazione anche solo esprimendo sulla spettanza di quei contributi pareri poi rivelatisi infondati o basati su artifizi o raggiri, riguardando il merito la corretta individuazione della ragione del concorso (nella specie, colpa grave del componente dell’organo collegiale in qualità di professionista a conoscenza delle reali condizioni della società istante cui si riferiva il parere, per avere personalmente contribuito ad istruirne la pratica) o della misura dell’apporto causale tramite il voto favorevole alla deliberazione dell’organo collegiale”;

il primo dei motivi del ricorso censura invece la gravata sentenza per “eccesso di potere giurisdizionale per evidente stravolgimento delle regole del processo contabile, in particolare delle regole dettate dal combinato tra gli artt. 2, 4, 7, 86 e 101 codice giustizia contabile – nonchè dell’art. 99 c.p.c. e ss. e art. 112 c.p.c. (nonchè, con riguardo alla normativa previgente, R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 1 e 45). – Individuazione (ossia: creazione) di una fattispecie processuale non prevista dalla legge. – Manifesta denegata giustizia in ragione dell’evidente contrasto della pronuncia con l’art. 111 Cost. e con gli artt. 6 e 13 CEDU”: e ciò in quanto la “dequotazione” del titolo di responsabilità sarebbe operazione non prevista dalla normativa del processo ed in particolare di quello contabile, soprattutto per la sostanziale differenza tra le due ipotesi di responsabilità, quella ipotizzata ed istruita dal Procuratore Generale e quella ritenuta invece dai Collegi giudicanti di primo e di secondo grado;

il motivo è, peraltro, inammissibile, perchè anche un eventuale error in procedendo (o, a tutto concedere, un error in iudicando de iure procedendi, sempre ammesso – questione che si lascia impregiudicata – che integri tanto il riconoscimento di responsabilità colposa in luogo di quella dolosa a fatti costitutivi invariati, ove non siano da applicare, come nella specie non lo sono, i rigorosi principi del diritto penale) si mantiene entro i limiti interni della giurisdizione del giudice speciale già per la tradizionale interpretazione della norma costituzionale (su cui v., per tutte: Cass. Sez. U. 04/10/2012, n. 16849; Cass. Sez. U. 06/06/2002, n. 8229), senza che rilevi la più restrittiva ancora lettura datane da Corte Cost. n. 6 del 2018;

nè consente di giungere a diverse conclusioni la prospettazione, svolta anche nella memoria, della gravità della violazione processuale, in relazione al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (e non pure a principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo esclusivamente per il diritto penale, cui quella stessa esclude possa ricondursi la responsabilità contabile, descritta come una species di ordinaria azione civile risarcitoria) ed alle altre violazioni del codice di rito contabile: tutte infrazioni, beninteso se non altro nella prospettazione della parte, che rimangono errores in procedendo (o, a tutto concedere, in iudicando de iure procedendi) e, in quanto tali, del tutto interni ai limiti della giurisdizione e, pertanto, insindacabili in sede di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost., comm a 8;

il ricorso, inammissibile il primo motivo ed infondato il secondo, va pertanto rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, attesa la natura di parte soltanto formale del Procuratore della Repubblica presso la Corte dei conti (fin da Cass. Sez. U. 18/12/1985, n. 6437; con orientamento costantemente ribadito, fino a, fra le ultime, Cass. Sez. 27/06/2018, n. 16878, ovvero Cass. Sez. U. 19/11/2019, n. 30007);

infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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