Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 646 del 12/01/2018

Cassazione civile, sez. I, 12/01/2018, (ud. 27/06/2017, dep.12/01/2018),  n. 646

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con contratto dell’8 gennaio 2002, il Comune di Castel Volturno, in esecuzione della Delib. n. 60 del 2001, affidò alla S.p.A. E.Co.Quattro, la gestione del servizio integrato rifiuti, come definito nell’apposito POS (Progetto Integrato Servizio) predisposto dalla medesima Società, per il compenso annuo di Euro 3.285.647,91, che sarebbe stato coperto mediante apposita tariffa da istituirsi da parte del Comune. Iniziata l’esecuzione del contratto, con Delib. 26 marzo 2002, n. 12, venne approvato il Regolamento, in forza del quale il Gestore avrebbe provveduto alla riscossione della Tariffa, e vennero dettati tempi e modalità di approvazione del Piano Tariffa di Previsione, al contempo, prevedendosi che, in caso di sua mancata approvazione entro il 31 maggio, il Comune avrebbe garantito con fondi propri la copertura dei costi di servizio. In considerazione del ritardo nell’approvazione del Piano Tariffa, il Comune versò, quindi, l’importo di Euro 1.537.404,00 (pagamento autorizzato con delibera del maggio 2002) e successivamente si impegnò a sottoscrivere deleghe di pagamento onde consentire l’accensione del mutuo presso la Cassa DD.PP. Tale impegno non fu assolto dal Comune, che, con delibera del 30.11.2002, approvò il piano tariffa per il 2002, e, con Delib. 16 aprile 2003, n. 16 approvò il disciplinare Gestione Tariffa Ciclo Integrato Rifiuti, in forza del quale il Gestore avrebbe sopportato i costi, salve le previste anticipazioni del Comune; stabilì, inoltre, che il saldo negativo sarebbe stato recuperato mediante riscossione delle Tariffe nell’anno 2003, e che, al termine del 2004, le anticipazioni del Comune sarebbero state destinate alla costituzione di un fondo di garanzia.

In esecuzione di detta delibera, l’Ente erogò, nel maggio 2003, la somma di Euro 1.000.000,00, quale anticipazione del servizio prestato nel 2003, diffidò il gestore ad attuare il POS 2003 (approvato con Delib. 16 aprile 2003, n. 18) e gli comunicò l’avvio del procedimento di risoluzione contrattuale, per i riscontrati disservizi. Ciononostante, il 30.6.2003, fu sottoscritto dalle parti un contratto integrativo, che, nel prevedere la sanatoria delle anomalie di gestione del primigenio rapporto, affidò al gestore, pure, il servizio FORSU (frazione organica RSU assimilati).

Con nota del 28.8.2003, il Comune comunicò, poi, l’avvio di un nuovo procedimento di risoluzione contrattuale, mentre la Società manifestò la volontà di promuovere il giudizio arbitrale, indi, con provvedimento del 23.12.2003, il Comune dispose la risoluzione del contratto originario e di quello aggiuntivo, provvedimento che fu impugnato dalla Società innanzi al TAR Campania. Frattanto, il costituito Collegio arbitrale, con lodo del 12.10.2005, in parziale accoglimento dei quesiti posti, condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 6.163.266,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, per la maggiore onerosità delle prestazioni e i danni riconducibili ad inadempienze del Comune, oltre al pagamento del costo del giudizio arbitrale, che sospese, in relazione ad alcune delle voci richieste, in attesa della definizione del giudizio amministrativo.

Il Comune impugnò, sulla scorta di tre motivi, il lodo innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che, nel contraddittorio con la (OMISSIS) S.p.A. (già E.Co.Quattro), poi dichiarata fallita, con sentenza del 27.3.2012, rigettò l’impugnazione. Per quanto interessa, la Corte territoriale ritenne, anzitutto, infondata la prima censura – con cui si contestava la ritenuta inadempienza sia nell’approvazione del regolamento comunale della Tariffa e del Piano tariffario, che per l’omessa prestazione di garanzie volte al conseguimento del mutuo dalla Cassa DDPP – evidenziando che non sussisteva alcuna contraddittorietà, neppure in relazione ai limiti derivanti dall’impugnazione dell’atto di risoluzione innanzi al GA, nella motivazione del lodo, ampiamente argomentato circa l’indipendenza dei pregiudizi connessi ai riconosciuti inadempimenti del Comune dall’esito di quel giudizio, inadempimenti che non potevano, poi, direttamente apprezzarsi in sede rescindente. Nè del resto sussistevano i presupposti per la sospensione dell’intera controversia, non versandosi in ipotesi di questione per legge non compromettibile, nè essendo provata la pendenza del giudizio, il quale, come dedotto in seno alla comparsa conclusionale, era, anzi, stato definito con sentenza del TAR Campania n. 2534 del 2008. In relazione al secondo motivo, la Corte considerò che la dedotta violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 1660 c.c., comma 2, era inammissibile, perchè attinente al merito ed, in parte, generica, e ribadì che la pregiudizialità amministrativa non era ravvisabile, per il diverso oggetto dei due giudizi (legittimità del provvedimento di risoluzione contrattuale l’uno e diritto alla copertura dei costi del servizio reso fino a tale pronuncia, l’altro). I giudici a quo ritennero infondate le violazioni di legge evidenziando che, secondo la decisione arbitrale, anche a voler considerare il gestore inadempiente in riferimento ad alcune obbligazioni, le anomalie erano state sanate per effetto del contratto integrativo del 30.6.2003, mentre l’esclusione della sanatoria degli inadempimenti del Comune era stata ampiamente illustrata in seno al lodo, rilevarono, infine, che gli ulteriori profili erano inammissibili, perchè involgenti apprezzamenti di merito su elementi fattuali, in parte, neppure sottoposti all’esame del Collegio arbitrale.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il Comune di Castel Volturno con nove articolati mezzi, resistiti con controricorso dal Fallimento (OMISSIS) S.p.A.. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1 e 3 c.p.c. e art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4. In base alla natura del rapporto concessione di pubblico servizio – ed al tipo di domande formulate, la giurisdizione a conoscere dell’intera vicenda, in base alla L. n. 205 del 2000, art. 7 sia nel testo antecedente la declaratoria d’incostituzionalità di cui alla sentenza n. 204 del 2004, sia nel testo successivamente riformulato, apparteneva alla giurisdizione del GA.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Premesso che, alla stregua del vigente assetto normativo, quale risulta a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalità del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, (come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7) pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, le controversie in tema di concessione di pubblico servizio sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ad eccezione di quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (vedi ora art. 133, comma 1, lett. c, del CPA), va rilevato che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 27336 del 2008; Cass. S.U. n. 19808 del 2008; Cass. S.U. n. 3518 del 2008; Cass. S.U. n. 21585 del 2013), la L. n. 205 del 2000, art. 6 che ha introdotto anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la facoltà di avvalersi di un arbitrato rituale di diritto per la soluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi, non pone una norma sulla giurisdizione, ma risolve un problema di merito, giacchè, estendendo la possibilità di deferire ad arbitri le controversie aventi ad oggetto, come nella specie, diritti soggettivi/devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, investe la validità ed efficacia del compromesso e della clausola compromissoria, che, in precedenza, in base all’art. 806 c.p.c., non potevano essere stipulati.

1.3. A tale stregua, la circostanza che la clausola compromissoria, contenuta nel contratto n. 2 del 2002, avrebbe limitato il deferimento in arbitri delle sole controversie riservate al giudice ordinario (id est relative ad indennità, canoni e corrispettivi) e non anche quelle sugli altri diritti, devoluti al giudice amministrativo, non solo, è del tutto generica (non avendo il ricorrente trascritto il tenore della clausola) ma è preclusa, ex art. 817 c.p.c., non constando che il Comune abbia sollevato la relativa questione innanzi agli arbitri, nè che abbia censurato in tal senso il lodo innanzi alla Corte d’Appello, che non ha trattato della questione (il richiamo alla contestazione che sarebbe stata effettuata a pag. 50 dell’atto d’impugnazione, è del tutto insufficiente al riguardo).

1.4. Resta da aggiungere che l’impugnazione dei lodi arbitrali rituali deve esser sempre proposta dinanzi alla Corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato, ai sensi dell’art. 828 c.p.c., unica disposizione diretta alla determinazione del giudice cui spetta giudicare su detta impugnazione, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ordinario, siccome giudice naturale dell’impugnazione del lodo, qualora accolga l’impugnazione, ha anche il potere-dovere, salvo contraria volontà di tutte le parti, di decidere nel merito, ai sensi dell’art. 830 c.p.c., comma 2, a nulla rilevando che la controversia sarebbe stata affidata, ove non fosse stata deferita in arbitri, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. SU 05/07/2013 n. 16887).

2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell’inadempimento contrattuale di esso Comune rispetto a talune obbligazioni (ritardo ingiustificato nell’approvazione del Regolamento e del Piano Tariffa, mancato rilascio di garanzie, onde ottenere il mutuo) e lo abbia condannato al pagamento della somma di Euro 6.163.266,00, oltre rivalutazione ed interessi, nonostante nelle more della decisione del giudizio d’impugnazione fosse stato escluso, con sentenza del TAR Napoli n. 2534 del 2008, in sede di giurisdizione esclusiva ed ormai passata in giudicato, tale suo inadempimento alle medesime obbligazioni e fosse stato posto in evidenza che, mediante la Delib. Consiliare n. 16 del 2003, l’Amministrazione avesse dato atto dell’esecuzione di anticipazioni, ed avesse previsto un regime transitorio per porre rimedio alla situazione di iniziale difficoltà e così superare problematiche carenze di liquidità, da compensarsi attraverso specifici meccanismi di recupero. Su tale giudicato la sentenza aveva taciuto, erroneamente ritenendo diversi l’oggetto dei due giudizi.

3. Col terzo motivo, il quarto ed il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 295 c.p.c., per non avere i giudici a quo ritenuto illegittima, in relazione ai tutti e tre i motivi d’impugnazione, la mancata sospensione del giudizio arbitrale relativamente a tutti i quesiti ad esso sottoposti, onde evitare il conflitto di giudicati.

3.1. I predetti motivi, che vanno congiuntamente esaminati, perchè tra loro connessi, sono fondati per le seguenti considerazioni.

3.2. Il giudizio amministrativo avverso l’atto di risoluzione dei contratti stipulati inter partes è stato definito, com’è incontroverso, con sentenza n. 2534 in data 24 aprile 2008 del TAR Napoli, passata in cosa giudicata per mancata impugnazione, sentenza che era stata depositata nel giudizio innanzi alla Corte d’Appello, unitamente alla comparsa conclusionale del 27 aprile 2010, e successivamente offerta al contraddittorio, in quanto, come si legge a pag. 17 della decisione impugnata, la causa era stata rimessa sul ruolo per discussione orale all’udienza del 19.11.2010, era, poi, stata nuovamente assegnata a sentenza il 29.6.2011 ed, infine, posta in decisione all’esito della discussione orale intervenuta il 14.12.2011.

3.3. La sentenza del TAR, dopo aver qualificato il rapporto inter partes quale fattispecie concessoria e non appalto (tale era stata definita dalla sentenza del Consiglio di Stato che aveva rilevato trattarsi di un caso di giurisdizione esclusiva, in quanto la stipulazione dei contratti 2/02 e n. 41/03 trovava fondamento nella deliberazione consiliare n. 60 del 2001) ed aver rilevato un quadro complessivo di generale difficoltà di gestione del servizio, sia con riferimento all’andamento dell’attività quotidiana di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, sia con riguardo alle difficoltà finanziarie conseguenti alla mancata entrata a regime del sistema tariffario, ha escluso che tale situazione fosse imputabile alle scelte ed al comportamento assunto dal Comune, ed ha disatteso l’eccezione d’inadempimento formulata dalla Eco Quattro S.p.A., evidenziando che andavano imputate alla stessa Società le conseguenze di scelte rivelatesi inidonee al mantenimento degli impegni presi con l’assunzione del servizio. I giudici amministrativi hanno, anzitutto, evidenziato che erano note fin dall’origine sia la carenza di liquidità e di idonee fonti di finanziamento, sia le difficoltà di entrata a regime del sistema tariffario, subordinato prima all’approvazione dell’apposito regolamento consiliare, poi del piano tariffario (la prima volta restituito dal Comune alla Società per la sua difformità in eccesso rispetto ai valori indicati nel POS), ed hanno, poi, considerato che: “ferma restando la natura pattizia e volontaria degli impegni assunti, non può la società ricorrente ora dolersi di una situazione di difficoltà finanziaria ad essa ben nota già al momento dell’assunzione del servizio, imputando poi all’Amministrazione, come causa decisiva dell’inadempimento, l’aver questa assunto un atteggiamento scarsamente collaborativo rispetto a forme alternative di finanziamento, quali il mutuo ed il factoring; ciò, in quanto si tratta comunque di rimedi successivi e comunque si deve tenere conto del fatto che l’Amministrazione pubblica non opera nel medesimo regime di libertà negoziale e con le logiche proprie dell’imprenditore privato, essendo maggiormente vincolata ad esigenze di liquidità e di gestione di bilancio e finanziarie, che mal si conciliano con l’assunzione di impegni finanziari che la possano esporre, foss’anche nel solo ruolo di garante (cfr. parere tecnico allegato alla Delib. Consiliare 16 aprile 2003, n. 16). Ma ciò che assume decisiva rilevanza ai fini della condotta delle parti e segnatamente del Comune rispetto alle esigenze finanziarie del servizio è quanto previsto dalla Delib. Consiliare 16 aprile 2003, n. 16 (adottata nello stesso giorno di quella n. 18 avente ad oggetto l’approvazione del POS per il 2003), con cui, nel dare atto dell’esistenza di una situazione di anomalia nella gestione del rapporto contrattuale a causa del differimento dell’attività di riscossione della tariffa per il 2002, l’Amministrazione afferma espressamente di avere eseguito anticipazioni nel corso di tale anno per consentire alla società ricorrente di svolgere al meglio il servizio; inoltre, con lo stesso provvedimento, nell’approvare il Disciplinare Gestione Tariffa, viene introdotto all’art. 19 un regime transitorio con cui si pone rimedio alla situazione di difficoltà iniziale del primo biennio, attraverso forme di anticipazione volte a superare problematiche carenze di liquidità, poi da compensarsi attraverso meccanismi di recupero che attingono al sistema tariffario una volta a regime”. Il GA ha, quindi, aggiunto che la Eco Quattro S.p.A. non poteva di certo ritenersi soggetto del tutto supino rispetto a tale situazione, in quanto la stessa operava “in una logica di tipo imprenditoriale e come tale ispirata a principi e comportamenti propri della libertà negoziale e dell’assunzione dei rischi connessi all’attività professionale svolta”, talchè non si comprendevano “le ragioni per le quali la ricorrente non sia stata essa stessa ad attivarsi prontamente e responsabilmente per la risoluzione di un rapporto di cui assumeva l’insostenibilità per mancanza di equilibrio sinallagmatico, preferendo piuttosto aggravarne le condizioni di esecuzione, così finendo per assumersene tutte le ricadute finali, da ultimo subendo la quasi inevitabile decisione dell’Amministrazione pubblica di volersi essa svincolarsi dal contratto”, escludendo, infine, sia la responsabilità del Comune per omessa vigilanza su sversamenti incontrollati ed ingombranti, che non avrebbero comunque mai potuto “determinarne l’impossibilità di prosecuzione come invece sostenuto dalla società ricorrente”; sia che l’omessa tempestiva presentazione del Piano Tariffe del 2004 fosse stata preclusa dalla mancata disponibilità di dati censuari aggiornati.

3.4. Essendo, a tale stregua, rimasta esclusa l’esistenza di responsabilità contrattuali del committente, l’avallo di una statuizione differente era preclusa alla Corte territoriale, che, piuttosto che disquisire circa i presupposti della sospensione del giudizio arbitrale o circa la congruenza della motivazione addotta in seno al lodo per affermare l’autonomia delle poste risarcitorie da inadempimento del Comune rispetto a quanto dibattuto in seno al giudizio amministrativo (il cui oggetto, come espressamente affermato dal TAR, non era affatto la legittimità del provvedimento di risoluzione, che è stato adottato dal Comune “su un piano di sostanziale equiordinazione con il gestore”, ma il diritto della Società alla prosecuzione del contratto di servizio, che è stato escluso), avrebbe dovuto arrestarsi alla constatazione dell’avvenuto giudicato di segno diverso rispetto a quello reputato dagli arbitri, ed avrebbe dovuto valutarne la portata e le refluenze sul lodo con cognizione piena, tenuto conto che il giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata (anche in questa sede di legittimità) alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge.

4. L’impugnata sentenza va, in conclusione, cassata, restando assorbite le ulteriori censure, con cui si è dedotta la violazione di legge ed insufficienza della motivazione per avere la Corte: omesso di considerare le carenze del servizio prestato ex adverso, l’avvenuta irrogazione di sanzioni per circa Euro 2.500.000, e l’accollo di ulteriori oneri finanziari – per conferimenti in discarica – per fronteggiare gli inadempimenti del gestore; per avere ritenuto che l’efficacia sanante del contratto n. 43 del 2003 si estendesse anche agli inadempimenti successivi del gestore; per aver riconosciuto l’importo di Euro 661.090,47 a titolo di compenso per l’attività di accertamento, riscossione e contenzioso, che era stato demandato al gestore per effetto del contratto aggiuntivo n. 43 del 2003, ma che era stata svolta da essa Amministrazione; per aver liquidato costi aggiuntivi riferiti un incremento non previsto dei quantitativi di rifiuti da smaltire, che era smentito da documentazione formatasi in epoca successiva alla conclusione del giudizio arbitrale ed erroneamente non ritenuta indispensabile ai fini della decisione.

5. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, valuterà, in conclusione, l’impugnazione al lume del giudicato inter partes e provvederà a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie i motivi secondo, terzo, quarto e quinto, assorbiti gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2018

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