Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6459 del 15/03/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 15/03/2018, (ud. 15/12/2017, dep.15/03/2018),  n. 6459

Fatto

Con atto ritualmente notificato P.S. e Q.M.C. citavano a comparire innanzi al tribunale di Grosseto D.V.A..

Deducevano che avevano concesso in prestito talune somme di danaro alla figlia D. e a suo marito, il convenuto; che costui non aveva provveduto alla restituzione, per la quota di sua pertinenza, degli importi mutuatigli.

Chiedevano che il convenuto fosse condannato a corrisponder loro la somma di Euro 24.000,00, oltre interessi e rivalutazione.

Si costituiva D.V.A..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Disposta l’integrazione del contraddittorio, si costituiva P.D..

Deduceva di aver provveduto alla restituzione della quota di sua spettanza; in ogni caso aderiva alla domanda degli attori.

Con sentenza n. 342/2015 l’adito tribunale accoglieva in parte la domanda e condannava D.V.A. a corrispondere la somma di Euro 15.000,00.

Interponeva appello D.V.A..

Resistevano P.S. e Q.M.C..

Non si costituiva P.D..

Con sentenza n. 1889/2015 la corte d’appello di Firenze rigettava il gravame e compensava le spese del grado.

Evidenziava, tra l’altro, la corte che le dichiarazioni rese dal teste P.M. davano riscontro della addotta erogazione delle somme a titolo di mutuo; che nessuna eccezione era stata sollevata in esito alla deposizione di P.M. e la deduzione di un suo interesse alla causa era stata tardivamente formulata in grado d’appello.

Evidenziava inoltre che la comprovata pattuizione di un obbligo restitutorio ostava alla caratterizzazione della causa debendi in guisa di obbligazione naturale.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.V.A.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

P.S. e Q.M.C. non hanno svolto difese.

Del pari non ha svolto difese P.D..

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1813 c.c., e degli artt. 113,115 e 116 c.p.c..

Deduce che la corte di merito ha vagliato solo in parte le dichiarazioni del teste P.M.; che infatti dal complesso delle dichiarazioni da costui rese si evince che la sua deposizione si qualifica come testimonianza de relato actoris e quindi di per sè non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario, e può assurgere a valido elemento di prova se ed in quanto sia suffragata da ulteriori circostanze acquisite al processo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2735 c.c., e degli artt. 113,115 e 116 c.p.c..

Deduce che le dichiarazioni da egli rese al teste P.M., in ordine alla restituzione delle somme asseritamente erogategli dagli attori, non valgono ad integrare gli estremi di una confessione stragiudiziale; che invero ne difettano sia l’elemento soggettivo sia l’elemento oggettivo.

Deduce comunque che la corte distrettuale per nulla ha indagato in ordine alla natura di confessione stragiudiziale delle sue dichiarazioni, sicchè al riguardo ha omesso ogni motivazione.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Il che ne suggerisce l’esame contestuale.

Ambedue i motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.

Testimoni “de relato actoris” sono quelli che depongono e riferiscono circostanze e fatti di cui sono stati informati dallo stesso soggetto che ha proposto il giudizio; testimoni “de relato” in genere sono quelli che depongono e riferiscono circostanze e fatti che hanno appreso da persone estranee al giudizio (cfr. Cass. 15.1.2015, n. 569).

In questi termini è da escludere che P.M. sia testimone de relato o, per giunta, de relato actoris.

Difatti, così come la corte territoriale ha dato puntualmente atto, il teste P.M. ha “riferito almeno due circostanze apprese direttamente” (così sentenza d’appello, pag. 1).

Ossia che aveva ricevuto da D.V.A. una telefonata nel corso della quale il cognato ebbe a ringraziarlo, “in quanto sapeva che i suoceri lo avrebbero interpellato e che se lui non fosse stato d’accordo, non avrebbero fatto tale anticipazione” (così sentenza d’appello, pagg. 1 – 2; in proposito cfr. altresì ricorso, pag. 11).

Ossia che “proprio in sua presenza sia la sorella che il D.V. avevano assicurato che tali somme sarebbero state restituite” (così sentenza d’appello, pagg. 1 – 2).

Non si giustifica pertanto la prospettazione del ricorrente, specificamente veicolata dal primo motivo, secondo cui P.M. ha parlato di “circostanze alle quali non ha assistito personalmente ma che gli sono state riferite dai genitori e dalla sorella” (così ricorso, pag. 12), ovvero, tra gli altri, dagli iniziali attori.

Le summenzionate dichiarazioni testimoniali sono da intendere, al contempo, la prima, in guisa di riscontro – testimoniale – diretto della confessione stragiudiziale resa da D.V.A. al cognato, cioè a soggetto terzo, circa l’erogazione della somma di denaro, la seconda, in guisa di riscontro – testimoniale – diretto della confessione stragiudiziale resa da D.V.A. ai suoceri, in presenza del cognato, cioè alla (contro)parte, circa l’assunzione dell’obbligo restitutorio e dunque circa l’erogazione della somma di denaro a titolo di mutuo.

Si tenga conto che non è pertinente nella fattispecie l’argomentazione del ricorrente secondo cui la confessione stragiudiziale non “può essere oggetto di prova testimoniale” (così ricorso, pag. 13).

Invero non interferisce nel caso de quo la previsione dell’art. 2735 c.c., comma 2, atteso che il contratto di mutuo (al di là del disposto dell’art. 1284 c.c., u.c.) non soggiace all’onere della forma scritta nè ad substantiam nè ad probationem; nè, d’altro canto, esplicano rilievo nel caso di specie i limiti alla prova testimoniale di cui agli artt. 2721 e 2723 c.c..

Ebbene su tale scorta si osserva quanto segue.

Con riferimento alla confessione stragiudiziale fatta da D.V.A. al cognato, questa Corte di legittimità non può che ribadire il proprio insegnamento, a tenor del quale la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non costituisce una prova legale come la confessione giudiziale o quella stragiudiziale resa alla parte o a chi la rappresenta e tuttavia non è valutabile alla stregua di un mero indizio, unicamente idoneo a fondare una presunzione o ad integrare una prova manchevole, essendo invece un mezzo di prova diretta sul quale il giudice può fondare, anche in via esclusiva, il proprio convincimento (cfr. Cass. sez. lav. 11.4.2000, n. 4608; Cass. sez. lav. 25.8.2003, n. 12463; Cass. sez. lav. 27.7.1992, n. 9017).

Con riferimento alla confessione stragiudiziale fatta da D.V.A. ai suoceri – in presenza del cognato – ovvero alla (contro)parte, questa Corte di legittimità parimenti non può che reiterare il proprio insegnamento, a tenor del quale la confessione stragiudiziale resa alla parte o a chi la rappresenta fa piena prova contro colui che l’ha fatta, così come quella giudiziale (cfr. Cass. sez. lav. 20.3.2001, n. 3975), indipendentemente dal fine per il quale la confessione sia resa (cfr. Cass. 25.3.2002, n. 4204).

Per altro verso del tutto irrilevante è la circostanza che la corte d’appello non abbia espressamente qualificato in guisa di confessione stragiudiziale le dichiarazioni rese dal ricorrente e di cui il teste P.M. ha fornito diretto riscontro.

Piuttosto, contrariamente all’assunto del D.V., la corte fiorentina ha puntualmente motivato in ordine all’efficacia probatoria degli esiti istruttori, allorchè ha reputato la testimonianza (di P.M.) “coerente e attendibile” (così sentenza d’appello, pag. 2), in tal modo – implicitamente – assumendo le dichiarazioni confessorie stragiudiziali rese dal ricorrente e al cognato e alla (contro) parte (in presenza del cognato) come, la prima, risultanza istruttoria idonea in via esclusiva a fondare il proprio convincimento, come, la seconda, risultanza istruttoria atta a far piena prova contro il confitente.

E’ indubitabile al contempo che una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, parallelamente, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione (cfr. Cass. sez. un. 25.3.2013, n. 7381).

Nondimeno è innegabile che le dichiarazioni testimoniali di P.M. forniscono riscontro e dell’animus confitendi e del concreto pregiudizio all’interesse del D.V. e del correlato vantaggio per i suoceri, atti a scaturirne.

Al riguardo rileva significativamente che la telefonata che D.V.A. ebbe a fare al cognato, fu determinata dal proposito di ringraziarlo per i suoi “buoni uffici”.

Nè riveste valenza che D.V.A. “nulla ha dichiarato (al cognato) in ordine alle modalità ed ai tempi di restituzione del denaro e degli interessi” (così ricorso, pag. 15).

Il mutuo è intercorso tra stretti congiunti, onde consentire al ricorrente ed alla moglie, l’acquisto dell’abitazione di via (OMISSIS).

Il che, per un verso, avvalora viepiù il titolo – mutuo – dell’erogazione pecuniaria, per altro verso, dà ragione della mancata pattuizione di un termine per la restituzione, in relazione alla quale tuttavia opportunamente soccorre, in chiave integrativa, la previsione dell’art. 1817 c.c., (d’altronde il tribunale, nell’accogliere la domanda, ebbe a fissare ai sensi dell’art. 1817 c.c., il termine per la restituzione: cfr. ricorso, pag. 2).

P.S., Q.M.C. e P.D. non hanno svolto difese.

Nessuna statuizione va assunta nei loro confronti in ordine alle spese.

Si dà atto che il ricorso è datato 4.1.2016.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, D.V.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, D.V.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2018

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