Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6458 del 13/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.13/03/2017),  n. 6458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21973/2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dell’avvocato

CLEMENTINA PULLI, unitamente agli avvocati EMANUELA CAPANNOLO e

MAURO RICCI;

– ricorrente –

contro

G.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

LIBIA 58, presso lo studio dell’avvocato PIETRO FERRI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6312/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 10 settembre 2014, la Corte di appello di Roma, riformando la decisione del Tribunale di Rieti, riconosceva il diritto di G.I. all’assegno di invalidità a decorrere dal 1 settembre 2006 e condannava l’INPS al pagamento dei ratei di detta prestazione nonchè alle spese di lite;

che per la cassazione della decisione propone ricorso l’INPS sulla base di un unico motivo cui la G. resiste con controricorso mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo violazione si deduce violazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 11 e 13, art. 2967 c.c. e degli artt. 345, 414, 416, 421, e 437 c.p.c., per avere il giudice di appello ammesso la produzione di documenti relativi al requisito cd. reddituale, non prodotti dalla ricorrente in primo grado evidenziandosi, altresì: che la G. era decaduta dalla facoltà di produrre detta documentazione e che non sussistevano i presupposti per l’ammissione di ufficio della stessa, stante la carenza di allegazioni, nel ricorso di primo grado, in ordine al requisito reddituale; che l’impugnata sentenza non conteneva alcun riferimento all’altro requisito costitutivo richiesto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, nel testo sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35 (il mancato svolgimento di attività lavorativa);

che la G. si è difesa sostenendo che la prova del reddito riferito all’anno precedente ed a quello in corso alla data della domanda amministrativa era stata fornita con la dichiarazione sostitutiva di atto notorio allegata al ricorso di primo grado non essendo stato, infatti, possibile produrre la certificazione dell’Agenzia delle Entrate relativa a tale periodo per essere ancora in corso il termine per la presentazione della denuncia fiscale;

che il motivo è fondato alla luce del principio secondo cui “nel rito del lavoro, in base al combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., n. 5 e art. 415 c.p.c., comma 1 (che stabiliscono l’obbligo del ricorrente di indicare specificamente i mezzi di prova di cui intende avvalersi e di depositare unitamente al ricorso i documenti ivi indicati) e dell’art. 437 c.p.c., comma 2 (che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova, fra i quali devono annoverarsi anche i documenti), l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi dalla vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento) o chiamata in causa del terzo); l’irreversibilità dell’estinzione del diritto) di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello; tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento, ispirato all’esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del ridetto art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa; poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse” (cfr. e multis, Cass. sezioni unite nn. 8202/2005; Cass. n. 11922/2006; Cass. n. 14696/2007);

che, dunque, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa; che, pertanto, non ricorrono i suddetti presupposti, allorchè la parte sia incorsa in decadenze per la costituzione in giudizio in primo grado e non sussista, quindi, alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato (Cass. n. 5878 del 2011);

che, nel caso di specie in cui la documentazione reddituale presa in esame dalla Corte territoriale è stata prodotta in grado d’appello, non ricorrono le indicate condizioni in presenza delle quali sarebbe stato possibile l’ammissione dei nuovi mezzi di prova, essendo gli stessi inerenti a circostanze già deducibili e dimostrabili all’atto del deposito del ricorso di primo grado e la cui produzione non era stata resa necessaria dall’evolversi dalla vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione di prime cure e non potendo considerarsi elemento idoneo a sollecitare l’attivazione dei poteri officiosi, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà riferita al requisito reddituale, allegata al ricorso di primo grado dovendosi escludere che tale dichiarazione configuri una “risultanza probatoria” ai fini dell’esercizio dei poteri officio (come chiarito dal costante orientamento di questa Corte, secondo il quale non è dato connettere alcun significato probatorio, neppure indiziario, al contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio prevista dalla L. n. 15 del 1968, art. 4, cfr., tra le altre, Cass. n. 10191 del 2010, n. 12131 del 2009, n. 2637 del 2006, n. 5321 del 2006, n. 15306 del 2004 n. 7299 del 2004, S.U. n. 5167 del 2003, S.U. n. 10503 del 1998);

che la Corte di merito, dunque, dando ingresso e rilevanza alla prova documentale tardivamente prodotta, ha operato in modo difforme dai richiamati principi di diritto;

che, per quanto esposto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata con decisione nel merito – ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – di rigetto della originaria domanda;

che le spese relative ai gradi di merito vanno compensate tra le parti in considerazione dell’alterno esito degli stessi mentre quelle afferenti il presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della G. e vengono liquidate in favore dell’INPS nella misura di cui al dispositivo; nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa tra le parti le spese relative ai gradi di merito e condanna G.I. alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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