Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6458 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. II, 09/03/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 09/03/2021), n.6458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22839-2019 proposto da:

S.I., rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIA FORLINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 142/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I. – cittadino del Bangladesh – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Ancona avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese – dapprima verso la Libia e, quindi, verso l’Italia – poichè aveva allacciato relazione sentimentale con ragazza di famiglia agiata e tale rapporto era ostacolato, poichè egli proveniente da famiglia povera, dai germani della ragazza, i quali lo picchiarono e minacciarono di morte se non interrompeva detta relazione.

Il Tribunale di Ancona ebbe a rigettare l’opposizione, ritenendo che dal racconto reso non si configurava alcuna fattispecie concreta rientrante nelle ipotesi disciplinate dalla normativa sulla protezione internazionale – persecuzione di natura privata -; osservando che non concorreva situazione socio-politica di violenza generalizzata in Bangladesh e ritenendo che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva dedotto elementi fattuali che consentivano l’accoglimento di detto tipo di protezione – non vulnerabile ed attività svolte nell’ambito del circuito dell’accoglienza.

Avverso detta ordinanza lo S. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Ancona, che rigettò l’impugnazione osservando come dal racconto reso non erano configurabili ragioni per ricondurre la sua situazione in una delle ipotesi di protezione poichè il suo espatrio fondato su condizione di disagio economico e l’attività di minaccia posta in essere dai germani della ragazza, con cui aveva relazione sentimentale, mai portata all’esame dell’Autorità competenti, sicchè la questione rimaneva confinata nel privato.

Inoltre il Collegio dorico con relazione alla situazione socio-politica del Bangladesh, anche in riferimento alla zona in cui il ricorrente abitava, evidenziava come questa non risultava connotata da violenza diffusa, siccome attestato dalle fonti indicate specificatamente dal Tribunale; mentre, con relazione alla protezione umanitaria, rilevava come non risultava dedotta condizione di vulnerabilità e nemmeno elementi adeguati a lumeggiare effettivo inserimento sociale in Italia dell’appellante.

Avverso detta sentenza lo S. ha interposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente vocato, ha depositato solamente nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dallo S. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n 7155/17.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione delle norme D.L. n. 13 del 2017, ex art. 4, comma 3, in relazione all’art. 25 Cost. ed art. 28 c.p.c., poichè il Collegio dorico ha omesso di dichiarare ex officio la propria incompetenza per territorio, risiedendo egli in provincia di Teramo, con conseguente competenza funzionale del Tribunale di L’Aquila, stante l’applicabilità del rito ex art. 737 c.p.c., introdotto dal citato decreto legge.

La censura articolata risulta patentemente priva di fondamento posto che il presente procedimento non risulta regolato dalla nuova disciplina processuale pervista ex D.L. n. 13 del 2017 – competenza in grado unico del Tribunale – bensì dal rito processuale in precedenza stabilito, D.L. n. 13 del 2017, ex art. 21, comma 2, siccome convertito in legge.

La disciplina processuale, posta dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, individuava il Giudice competente per territorio in ragione della località in cui venne presentata la domanda di protezione, la stessa esaminata in sede amministrativa ed adottato il relativo provvedimento da parte della Commissione territoriale, nella specie pacificamente Ancona.

Dunque la competenza in forza della disciplina processuale, effettivamente applicabile nella specie, risulta all’evidenza bene incardinata e l’argomento critico patentemente privo di pregio.

Con la seconda ragione di doglianza lo S. lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3, 5 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 e correlate norme della disciplina comunitaria, poichè la Corte marchigiana ha ritenuto poco rilevanti le sue dichiarazioni ed omesso la valutazione della reale situazione socio-politica del Bangladesh.

In particolare il ricorrente rileva come la Corte dorica fondi la sua statuizione circa la natura privata della riferita persecuzione su erroneo apprezzamento delle sue dichiarazioni – mai ha affermato d’esser espatriato perchè pressato dai creditori per la restituzione della somma di denaro mutuata – poichè ebbe sempre a sostenere d’essere sfuggito alle pressioni morali e fisiche poste in atto dai germani della ragazza, con cui aveva una relazione sentimentale.

Quindi lo S. rileva come anche la persecuzione privata assume rilievo ai fini della normativa sulla protezione internazionale allor quando lo Stato non appare in grado di dar protezione ai suoi cittadini e ciò non risulta esaminato dalla Corte dorica anche mediante attivazione dei suoi poteri officiosi.

Infine il Collegio distrettuale, ad opinione del ricorrente, ha pure omesso di assumere adeguate informazioni circa la situazione esistente in Bangladesh, che avrebbero corroborato il suo racconto circa la rigidità sociale in relazione alle condizioni economiche e il disinteresse manifestato dall’Autorità di Polizia per le angherie poste in essere, in detto contesto tradizionale, da persone di posizione agiata verso soggetti più poveri.

Con il terzo mezzo d’impugnazione lo S. rileva violazione delle medesime norme già indicate in relazione alla seconda doglianza, nonchè omesso esame di fatto decisivo, posto che il Collegio dorico ha escluso il ricorrere delle fattispecie D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) b), senza acquisire effettive informazioni – anche officiosamente – circa l’effettiva capacità e volontà dei Poteri pubblici di contrastare il tipo di pressioni morali e fisiche cui egli era sottoposto dai fratelli della ragazza – di famiglia agiata – con la quale aveva allacciato relazione sentimentale.

I due motivi d’impugnazione attinendo alla medesima questione possono essere trattati congiuntamente ed appaiono inammissibili poichè generici.

Il Collegio dorico – se anche errato il richiamo al prestito non restituito – ha tuttavia posto specificatamente in evidenza che il richiedente asilo adduceva a motivo del suo espatrio le angherie – culminate anche nel suo sequestro per un limitato lasso di tempo – poste in essere nei suoi riguardi dai fratelli della ragazza di famiglia agiata, con la quale aveva allacciato una relazione sentimentale, poichè già promessa ad altri e lui di condizione economica e sociale inferiore.

Tuttavia proprio con riguardo a detta situazione la Corte distrettuale ha ritenuto non configurarsi una situazione di persecuzione rientrante nelle previsioni della disciplina sulla protezione internazionale adottata sulla scorta della Convenzione di Ginevra del 1951 – Cass. sez. 2 n 23281/20.

Difatti il Collegio marchigiano ha evidenziato come lo S. nemmeno abbia allegato d’essersi rivolto all’Autorità statuale per porre fine a detta illecita condotta da parte dei persecutori e come nemmeno dalle informazioni dedotte dalle fonti internazionali allegate dall’appellante risultava concorrere alcuna delle ipotesi poste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

La Corte territoriale inoltre ha messo in risalto come le fonti evocate dallo S. a conforto della sua critica si palesano temporalmente anteriori alle informazioni specificatamente utilizzate dal Tribunale per indagare sulla medesima questione, fonti cui la Corte dorica ha operato espresso richiamo.

A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente si limita ad enfatizzare l’erroneo richiamo ad affermazioni non sue – dato comunque irrilevante come dianzi visto ad affermare che le Autorità di Polizia non intervengono in ordine alla persecuzione di cui fu vittima poichè socialmente tollerate, ma senza indicare fonti dalle quale tale sua asserzione risulta confortata, mentre i Giudici anconetani hanno espressamente richiamato le informazioni riguardo la situazione socio-politica del Bangladesh tratte da fonti internazionali affidabili ed aggiornate.

Inoltre, significativamente, lo S. non si confronta con l’osservazione, di assoluto rilievo, fatta dalla Corte dorica che egli nemmeno affermò di essersi – inutilmente – rivolto all’Autorità, così non superando la conclusione che le angherie – asseritamente subite da parte di privati – configurassero persecuzione comunque riconducibile all’inerzia dell’Autorità statuale.

Con la quarta doglianza lo S. deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e comma 1 bis, e art. 5, comma 6 e delle norme della CEDU e della Costituzione in quanto il Collegio anconetano ha erroneamente rigettato la sua domanda di godere della protezione umanitaria in contrasto con la disciplina legislativa e l’insegnamento di legittimità in materia.

La censura mossa appare generica in quanto si compendia nel richiamo astratto ai principi fondanti l’istituto e ad arresti di questo Supremo Collegio per concludere apoditticamente che i Giudici d’appello non avrebbero ben applicato la norma ex art. 19 – ragioni di non espulsione – e la disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in tema di riconoscimento della protezione umanitaria.

Viceversa la Corte dorica ha puntualmente esaminato i dati fattuali in atti e rilevato come lo S. non prospettava un’effettiva condizione personale di rischio di grave lesione dei diritti fondamentali, siccome già esaminato in relazione alla richiesta di protezione internazionale – vulnerabilità oggettiva -, nè personali ragioni di vulnerabilità soggettiva.

Inoltre la Corte territoriale ha puntualmente esaminato le deduzioni difensive afferenti la prova d’inserimento sociale e messo in rilievo come non lumeggiavano affatto un tanto, poichè ogni attività dedotta risultava svolta nell’ambito del circuito dell’accoglienza, come già segnalato dal Tribunale.

Parte impugnante non si confronta con detta specifica motivazione di rigetto della sua domanda, limitandosi ad argomentazione astratta per giungere all’apodittica conclusione che la Corte di merito ha errato nell’applicare la normativa in tema.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione degli Interni poichè non costituita ritualmente.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

 

 

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