Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6457 del 17/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 17/03/2010), n.6457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

M.A.R. TP. MAGAZZINI ALIMENTARI RISPARMIO TRAPANI S.R.L. in persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 16 presso lo STUDIO DI

CONSULENZA GIURIDICO TRIBUTARIA, rappresentata e difesa dagli

Avvocati LUCISANO CLAUDIO e LUPI RAFFAELLO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PALERMO, depositata il 01/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato PAOLA ZERMAN, che nel

riportarsi ai motivi di ricorso ne chiede l’accoglimento;

uditi per il resistente gli Avvocati RAFFAELLO LUPI e CLAUDIO

LUCISANO, che hanno chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

A seguito di verifica degli uffici finanziari di Palermo presso la MAR TP s.r.l.(Magazzini Alimentari Risparmio Trapani), facente parte con altre società del gruppo FINMAR S.p.A. e sulla base del relativo p.v.c., datato 26.6.1997, l’Ufficio II.DD. di quella città notificava, in data 3.11.1999, a detta società un avviso di accertamento con il quale si rettificava per l’anno d’imposta 1993, il reddito imponibile ai fini I.R.Pe.G. ed I.LO.R. da una perdita di L. 1.289.5323.000 a L. 439.028.000 con le conseguenti sanzioni per L. 1.200.000 ed, in particolare, omessi ricavi di vendita per L. 838.313.000, calcolati in base ad un ricarico calcolato del 7,80% invece di quello del 4,46% dichiarato in bilancio, e desunto dalle fatture di acquisto di circa 3000 articoli, emesse dalla capogruppo incaricata degli approvvigionamenti, nonchè omessa contabilizzazione del corrispettivo per cessione di locazione di azienda ad altra società dello stesso gruppo.

Avverso detto atto la contribuente adiva la C.T.P. di Palermo, lamentando l’illegittimità e l’infondatezza dei rilievi, facendo in particolare anche riferimento alla C.T.U. disposta dal GIP del Tribunale di Palermo nel corso di un procedimento penale instaurato sugli stessi fatti e conclusosi con decreto di archiviazione.

Resisteva l’Ufficio. La C.T.P. accoglieva il ricorso decidendo sul merito e, su gravame di parte fiscale, la C.T.R. della Sicilia confermava la sentenza di primo grado richiamandosi alle considerazioni della perizia penale ed affermando l’illegittimità del metodo seguito dall’Ufficio per accertamento, basato sulla media aritmetica delle medie ponderali, senza individuare le merci maggiormente rappresentative e senza tenere conto della particolare situazione aziendale. Quanto all’omessa contabilizzazione del corrispettivo per cessione di locazione di azienda ad altra società dello stesso gruppo la riteneva del tutto irrilevante sia ai fini I.V.A. che delle imposte dirette.

Avverso detta decisione propongono ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze sulla base di tre motivi. Resiste la società MAR TP s.r.l. con controricorso, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per tardività.

Diritto

Con la prima censura l’A.F. deduce la violazione dell’art. 654 c.p.p., per avere la C.T.R. attribuito valore probatorio sia al decreto di archiviazione che alle affermazioni contenute nella C.T.U. di quel procedimento, obliterando il fatto che il giudizio tributario è autonomo rispetto alle risultanze di quello penale, tanto più che nella specie la C.T.U. era stata disposta dal Pubblico Ministero e non dal giudice e che il procedimento si era concluso con decreto di archiviazione e non con sentenza.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., nonchè omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. fatto proprie le deduzioni della contribuente sulla base di mere enunciazioni senza che la società avesse fornito prove contrarie o avesse svolto un calcolo alternativo e senza spiegare le ragioni per le quali aveva ritenuto che il calcolo del ricarico eseguito sulla media aritmetica delle medie ponderali fosse irrispettoso dei metodi della ponderazione.

Con l’ultima censura si lamenta la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 1, 6, comma 1, lett. f), art. 81, comma 1, lett. h), e comma 2, e art. 87, nonchè omessa motivazione, per avere la C.T.R. del tutto immotivatamente ritenuto irrilevante l’omessa contabilizzazione del corrispettivo per cessione di locazione di azienda ad altra società dello stesso gruppo, senza peraltro neppure fare riferimento alla spiegazione errata data dalla C.T.U. penale basata sull’affermazione della mancanza di danno da parte dell’Erario perchè all’omessa contabilizzazione del ricavo vi era stata l’omessa esposizione da parte della società conduttrice del relativo costo, mentre tale condotta deve ritenersi del tutto contraria alle statuizioni sopra indicate.

E’ necessario esaminare, in via pregiudiziale, l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata da parte resistente. Tale eccezione è infondata.

Infatti, dall’esame del timbro dell’Ufficiale giudiziario completo della relativa sottoscrizione mediante sigla, posto sul margine destro del frontespizio del ricorso, si rileva chiaramente la data di consegna dell’atto, 17 luglio 2006, ultimo giorno utile per la notifica del ricorso che, pertanto, è tempestiva, essendo ormai principio più volte enunciato da questa Corte di legittimità che:

“A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ., e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3″ nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anzichè a quella, antecedente, della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario”, deve ritenersi già operante nel diritto positivo, senza bisogno di un nuovo intervento da parte del giudice delle leggi, un principio generale secondo il quale – qualunque sia la modalità di trasmissione – la notifica di un atto processuale, almeno quando essa debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, per il notificante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario nel relativo procedimento vincolato, senza quindi che possa influire negativamente per la parte il mancato tempestivo perfezionamento della medesima notifica, ove non a lei imputabile” (cfr., ex multis, cass. civ. sent. n. 6906 del 2004), senza, peraltro, che occorra una specifica dichiarazione dell’Ufficio ricevente quando dal timbro si rileva sia la data di consegna che la firma dell’ufficiale giudiziario, come nella specie.

Occorre, inoltre, preliminarmente, dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze in quanto lo stesso nel presente procedimento è privo di legittimazione processuale, non essendo stato parte nel giudizio di appello dal quale deve intendersi tacitamente estromesso (cass. civ sentt. nn. 9004/2007, 22889/2006), come è dato rilevare anche dall’epigrafe della sentenza impugnata, ove il gravame risulta proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di (OMISSIS), in data 13.121.2002.

A seguito della riforma dell’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, sono state istituite le Agenzie fiscali e, pertanto, a partire dal 1^ gennaio 2001 (data d’inizio dell’operatività di detti enti), la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero od agli uffici periferici dello stesso non più esistenti a seguito dell’intervenuta riforma.

Si compensano le relative spese, dato che la costituzione del Ministero non ha aggravato la difesa erariale e che la giurisprudenza citata si è formata in epoca successiva all’introduzione del presente ricorso.

Quanto al merito, il ricorso deve ritenersi fondato.

Il primo motivo è infatti da accogliere in quanto la sentenza nel valutare le risultanze emerse durante il procedimento penale svoltosi in ordine agli stessi fatti, ha enunciato un principio di diritto inesistente avendo attribuito al decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Palermo ed alle risultanze della C.T.U., redatta in sede di incidente probatorio, un “valore probatorio e certificativo dell’inesistenza delle violazioni contestate”, anche se nel successivo periodo ha in parte attenuato detta affermazione, riportando l’opinione espressa dal giudice di primo grado che aveva affermato che dette risultanze non hanno efficacia vincolante, ma che comunque “gli elementi posti a base dell’archiviazione assumono nel giudizio tributario fondamentale importanza tale da impedire che gli elementi addotti dall’ufficio possano essere ritenuti precisi e concordanti in quanto mere presunzioni.”.

Tale affermazione non è condivisibile. E’, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte, espresso in relazione a sentenze penali passate in giudicato, nella specie, neppure sussistenti, dato che il procedimento de quo si è esaurito con un decreto di archiviazione, quello secondo cui: “Ai sensi dell’art. 654 c.p.p., – la quale aveva portata modificativa del D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25 – l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. A causa del mutato quadro normativo, quindi, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare.” (Cfr., ex multis, cass. civ. sent. n. 109045 del 2005).

Nella specie non risulta dalla pronuncia impugnata che il giudice tributario abbia eseguito un’autonoma valutazione dei risultati acquisiti in ambito penale, limitandosi ad aderire supinamente a dette risultanze.

Anche il secondo motivo va accolto.

Infatti la C.T.R. nel ritenere illegittimo il metodo di accertamento, seguito dai verbalizzanti e condiviso dall’Ufficio, perchè basato sul calcolo della media aritmetica delle varie medie ponderali, non da atto delle ragioni per le quali detto sistema non sia da ritenere attendibile limitandosi ad affermazioni astratte. Nella specie, peraltro, non è stata eseguita una semplice media aritmetica legittima solo quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando esista una notevole differenza di valore tra i diversi articoli ed i tipi di merce presentino una percentuale di ricarico molto variegata, ma i verificatori hanno eseguito l’effettiva ponderazione nel calcolo dei ricarichi applicati ai vari prodotti ed, allo scopo di unificare tali diverse risultanze, hanno eseguito la media aritmetica sulle medie ponderali. Tale sistema di calcolo può essere o meno condivisibile, ma in caso di contrasto di opinione è dovere del giudice che ritiene di discostarsi da tale sistema, rappresentare in modo chiaro non solo le ragioni per le quali tali risultanze siano da considerarsi inattendibili, ma anche sulla base di quali criteri non abbia ritenuto rappresentativi i beni sui quali siano state estrapolate tali medie.

Peraltro le altre ragioni riportate dalla C.T.R. per giustificare l’inattendibilità dell’accertamento (tre x due, promozioni sottocosto, entità dei deterioramenti, ecc.), andavano provate dalla contribuente, non potendo darsi per scontate tali circostanze, pur rientrando le stesse nella merceologia dei magazzini di grande distribuzione. Su tale ultima considerazione la C.T.R. fa un affermazione apodittica senza riportarsi ad alcuna prova che sia stata fornita dalla società verificata.

Anche l’ultima censura è infondata.

L’affermazione, peraltro completamente immotivata, contenuta in sentenza, che l’omessa contabilizzazione del ricavo dell’affitto di un ramo di azienda concesso ad altra società appartenente allo stesso gruppo, fosse irrilevante sia ai fini I.V.A. che delle II.DD. è contraria a qualunque principio del diritto tributario, perchè tale importo andava comunque contabilizzato e ricompreso nell’imponibile per le imposte dirette, non potendosi neppure condividere, l’opinione espressa dal C.T.U. in sede penale ma neppure ripresa dalla C.T.R. che tale omessa registrazione sarebbe stata compensata dalla mancata esposizione del corrispondente costo da parte della società conduttrice. E’ infatti principio basilare del diritto tributario che ogni soggetto debba dare conto delle proprie entrate con la corrispondente facoltà, ove prevista per legge, di esporre in detrazione i costi riconoscibili.

Tutto ciò premesso e dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso deve essere accolto e la causa rinviata per un nuovo esame alla luce dei principi sopra esposti presso altra sezione della C.T.R. della Sicilia, che provvederà anche al governo delle spese di questa fase di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze e compensa le relative spese. Accoglie quello dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Tributaria, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010

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