Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6457 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. II, 09/03/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 09/03/2021), n.6457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25373-2019 proposto da:

K.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONIO

ORPELLO, presso il cui studio a Cremona, corso Campi 3,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso

del 29/7/2019;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il DECRETO n. 3738/2019 del TRIBUNALE DI BRESCIA, depositato

il 11/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3/11/2020 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con il decreto in epigrafe, dichiaratamente comunicato l’11/7/2019, ha respinto l’impugnazione che K.D., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

K.D., con ricorso notificato il 12/8/2019, ha chiesto, per sei motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, senza svolgere alcuna attività istruttoria, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente erano del tutto generiche, soffermandosi, tuttavia, solo su alcune dichiarazioni laddove, al contrario, avrebbe dovuto quanto meno interpretare complessivamente il verbale della Commissione e disporre d’ufficio gli strumenti previsti dalle legge, come il libero interrogatorio o l’acquisizione di documenti, per verificare la fondatezza delle sue dichiarazioni.

1.2. Il motivo è, per la prima parte, inammissibile per mancanza di specificità della censura. Il ricorrente, infatti, pur lamentando l’apprezzamento che il tribunale ha fatto del verbale recante le dichiarazioni da lui rese nel corso della sua audizione innanzi alla commissione territoriale, non ne ha riprodotto, in ricorso, il contenuto, quanto meno nei suoi tratti essenziali, rendendo, così, impossibile a questa Corte la verifica diretta, e cioè senza l’accesso diretto agli atti del giudizio di merito, della fondatezza della censura.

1.3. La censura, per il resto, è infondata. In effetti, in tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente il quale, infatti, ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018). Il richiedente, invero, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ed, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora lo stesso, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 8367 del 2020, in motiv.; Cass. n. 15794 del 2019; conf., Cass. n. 19197 del 2015).

La valutazione d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente – che deve, però, avere riguardo non già ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti ma piuttosto al profilo decisivo e centrale del racconto (cfr. Cass. n. 10908 del 2020) – costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 27503 del 2018) che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze, dedotte in giudizio, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una differente ricostruzione dei fatti idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente fossero generiche e che lo stesso non fosse credibile. Ora, a fronte di tale apprezzamento, del quale il tribunale ha esposto le ragioni in modo nient’affatto apparente o contraddittorio, il ricorrente non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, pur se dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una diversa pronuncia a lui favorevole, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio.

Ed è, peraltro, noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b): senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (che, nella specie, non risulta essere stata specificamente dedotta innanzi al giudice di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2736 c.c., comma 2 e dell’art. 240 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha deciso senza aver preliminarmente deferito al richiedente il giuramento suppletorio sulle persecuzioni subite nel suo Paese d’origine e la violenza generalizzata che sussiste nel relativo territorio nonchè sulle attività di studio e di lavoro che il richiedente ha svolto in Italia.

2.2. Il motivo, nella parte in cui non è assorbito dal rigetto del primo, è del tutto inammissibile. Il richiedente, infatti, lamenta, in sostanza, la mancata assunzione di un mezzo di prova, quale il giuramento suppletorio, del quale, tuttavia, non dimostra la richiesta o la sollecitazione innanzi al giudice di merito. Il mezzo di prova in questione, del resto, presuppone che la parte, cui è deferito, abbia la piena capacità di disporre del diritto controverso (artt. 2737 e 2731 c.c.), laddove, al contrario, il diritto d’asilo, che costituisce l’oggetto del giudizio di protezione internazionale, è senz’altro indisponibile da parte di chi se ne affermi titolare richiedendo la relativa protezione.

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, la violazione del D.Lgs. n. 257 del 2001, art. 14, lett. a), b) e c), la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e il D.L. n. 113 del 2018, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4, 28 e 32, del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato tanto nella parte in cui il tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la concessione della protezione sussidiaria, senza aver compiuto gli atti istruttori necessari per acquisire, d’ufficio, le informazioni necessarie a conoscere la situazione del Paese d’origine del richiedente, caratterizzato da instabilità politica e violenza generalizzata, quanto nella parte in cui il tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente, senza, tuttavia, considerare la mancanza in Mali di qualsiasi garanzia per i diritti umani e la situazione di generalizzata carestia che comporta un evidente vulnus degli interessi di rango primario di qualsiasi persona che si trova nel relativo territorio, nonchè l’inserimento del richiedente nel contesto sociale italiano per aver svolto attività di studio e di lavoro.

3.2. Il motivo, per la prima parte, è assorbito dal rigetto del primo, mentre, nelle residue censure, è infondato.

3.3. Il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, in effetti, una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020).

Il giudice, però, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

Nel caso di specie, il tribunale, indicando le fonti internazionali consultate, ha ritenuto, in fatto, che il Mali, pur presentando alcune criticità, non evidenzia una situazione di violenza generalizzata.

Si tratta di un apprezzamento che il ricorrente non ha censurato per il mancato esame di uno o più fatti decisivi dei quali abbia specificamente indicato, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la puntuale deduzione nel corso del giudizio di merito, lamentando, piuttosto, la valutazione, asseritamente erronea, che il tribunale ha svolto delle risultanze istruttorie.

D’altra parte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019): non certo alle decisioni di merito che, con riguardo allo stesso Paese d’origine del richiedente, abbiano ritenuto, in forza delle prove ivi acquisite, il contrario.

3.4. La protezione umanitaria, infine, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

3.5. Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente.

Si tratta di un apprezzamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive a suo tempo dedotte innanzi al giudice di merito: che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato.

3.6. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, però, il tribunale, con apprezzamento in fatto rimasto incensurato, ha, in sostanza, escluso, non potendo derivare nè dalla conoscenza della lingua italiana, nè dallo svolgimento di un’attività lavorativa, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra di aver dedotto nel giudizio di merito (Cass. n. 8367 del 2020).

4.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1, lett. A), n. 2, della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato, e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato senza aver esercitato d’ufficio i suoi poteri istruttori.

4.2. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo.

5.1. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 10 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non ha considerato che lo straniero, a norma dell’art. 10 Cost., è titolare di un vero e proprio diritto soggetto al riconoscimento dell’asilo tutte le volte in cui, nel suo Paese, si trova nell’effettivo impedimento all’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, a prescindere dalla sussistenza del presupposto richiesto dalla Convenzione di Ginevra, vale a dire la persecuzione subita o il ragionevole timore di poterla subire.

5.2. Il motivo è infondato. Questa Corte, invero, ha più volte ribadito che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/Ce del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per cui non sussiste alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (Cass. n. 10686 del 2012; Cass. n. 16362 del 2016).

6.1. Con il sesto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza aver considerato che nel Paese d’origine del richiedente sussiste una situazione di violenza generalizzata.

6.2. Il motivo è assorbito dal rigetto del terzo.

7. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

8. Nulla per le spese di lite, in mancanza di controricorso da parte del ministero.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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