Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6454 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. II, 09/03/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 09/03/2021), n.6454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24034/2019 R.G. proposto da:

O.H., rappresentato e difeso dall’avv. Serena Brachetti,

con domicilio in Perugia, Via XIV Settembre n. 69;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente-

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 410/2019,

depositata il 24.7.2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.9.2020 dal

Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.H. propone ricorso in sette motivi, illustrati con memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 410/2019.

Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

Il ricorrente aveva proposto istanza di protezione internazionale, esponendo di provenire dall’Edo State (Sud Nigeria), ove aveva lavorato come saldatore; di esser stato costretto ad abbandonare il paese di origine dopo la morte del padre, avendo subito minacce di morte dal fratello maggiore per questioni ereditarie; di essersi allontanato dalla Nigeria anche a causa dell’assenza di condizioni minime di sicurezza, giungendo in Italia.

Il tribunale ha respinto la domanda, mentre, con sentenza n. 410/2019, la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile l’appello, rilevando che la pronuncia di primo grado era stata comunicata al difensore costituito in data 18.9.2017 e che l’impugnazione era stata proposta il 10.2.2018, oltre il termine di trenta giorni decorrente dalla suddetta comunicazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 10, art. 327 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, sostenendo che la Corte distrettuale abbia erroneamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello, facendo decorre il termine per impugnare dalla comunicazione dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., mentre, ai fini della validità della decisione, era necessaria anche la successiva notifica, mai effettuata al difensore del ricorrente, per cui l’appello era stato correttamente proposto nel termine di cui all’art. 327 c.p.c..

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4, comma 2, e la carenza di motivazione su un punto decisivo della lite, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per aver la Corte di merito omesso di rilevare che il ricorrente non era stato sentito dalla Commissione territoriale in composizione collegiale, ma da un singolo componente, con conseguente illegittimità del provvedimento amministrativo di diniego della domanda.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 13 Direttiva 2005/85/CE, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, art. 156 c.p.c., comma 2, art. 162 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4, comma 2, art. 35, comma 2, e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 10, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la Corte d’appello omesso di rilevare che la notifica del provvedimento della commissione territoriale era stato redatto solo in lingua italiana, senza accertare se il destinatario fosse in condizione di comprenderne il contenuto, per cui, in mancanza di traduzione, detta notifica era da ritenersi inesistente.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, ratificata con L. n. 722 del 1954, L. n. 39 del 1990, art. 1,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè l’erronea, apparente, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza negato lo status di rifugiato, ritenendo che il racconto dell’interessato non fosse credibile, benchè questi avesse spiegato i motivi della fuga ed il timore di essere ucciso per ragioni ereditarie, dovendo il giudice procedere ad un necessario approfondimento istruttorio quanto al regime successorio vigente nel paese di origine, da cui sarebbe stato possibile desumere che il ricorrente, e non il fratello adottivo, aveva titolo alla successione.

Il quinto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il vizio di motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, per aver il giudice di merito omesso di considerare che il ricorrente aveva deciso di non denunciare il parente da cui aveva ricevuto minacce, temendo per la propria incolumità, evidenziando il rischio cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio, sicchè era doveroso indagare sulla situazione giudiziaria in Nigeria e sulla possibilità di ottenere tutela nel paese di origine, possibilità che, dalle informazioni ricavabili da fonti qualificate, era sicuramente da escludere.

Il sesto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, l’omessa, contraddittoria ed apparente motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la Corte di merito negato la protezione sussidiaria senza verificare d’ufficio la sussistenza, nella zona di provenienza (Edo State), di un clima di violenza indiscriminata determinata dall’azione di gruppi terroristici, attestata da informazioni desumibili da fonti accreditate.

Il settimo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e la motivazione omessa, apparente, contraddittoria su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza ritenuto che la vicenda dedotta in giudizio avesse carattere meramente familiare e non rientrasse tra i presupposti per la concessione della protezione internazionale, senza tener conto di quanto dichiarato in sede di audizione personale, ossia che il ricorrente, nel tentativo di difendersi da un’aggressione, aveva riportato lesioni personali, necessitando di un intervento ortopedico per le quali era in lista di attesa in Italia, non potendo essere operato in Nigeria.

L’ottavo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza negato la protezione umanitaria senza tener conto del rischio che il ricorrente fosse esposto a fatti di vendetta privata, ad attentati terroristici o altri atti di violenza, e che, inoltre, non poteva ottenere le cure di cui avrebbe bisogno, avendo ormai reciso ogni legame familiare.

Con la memoria illustrativa, il ricorrente ha infine chiesto la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ragione della condizione di vulnerabilità generata dall’eccezionale emergenza sanitaria scaturita dalla diffusione del virus Covid 19.

2. Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Non è oggetto di contestazione, e risulta comunque dall’esame degli atti processuali, che il provvedimento appellato è stato comunicato in data 18.9.2017 al difensore che assisteva il ricorrente in primo grado, il quale era stato anche autorizzato ad accedere agli atti depositati telematicamente.

L’appello doveva esser proposto nel termine di trenta giorni dalla suddetta comunicazione, ai sensi dell’art. 703. quater c.p.c., non trovando applicazione il termine lungo ex art. 327 c.p.c. e non essendo affatto obbligatoria la notifica dell’ordinanza, trattandosi di adempimento facoltativo che rileva ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione solo ove effettuata prima della predetta comunicazione (Cass. 16893/2018, in tema di protezione internazionale; Cass. 22119/2016.

Mediante l’introduzione dell’art. 702 quater c.p.c., applicabile ai giudizi di protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, nel testo applicabile ratione temporis, il legislatore ha difatti – inteso derogare alla disciplina di cui all’art. 326 c.p.c..

Come già evidenziato da questa Corte, la norma speciale non tende ad escludere il termine lungo, bensì insorge da una ratio del tutto diversa: mentre il termine breve (art. 326 c.p.c., comma 1) decorre, di norma, per effetto dell’impulso di controparte che proceda alla notifica, il rito sommario delinea un procedimento caratterizzato dalla celerità e dalla semplificazione delle regole processuali.

Pertanto, la decorrenza del termine ex art. 702 quater c.p.c. non è affidato solo all’iniziativa della parte interessata a stabilizzare la decisione, ma anche all’attività dell’ufficio che abbia comunicato l’ordinanza appellata.

In conclusione, se l’ordinanza è emessa in udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace ma non è presente, non vi sarà comunicazione, perchè ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, l’ordinanza si ritiene conosciuta. Il termine per proporre appello decorre, in tal caso, dalla data dell’udienza.

Nel caso invece in cui l’ordinanza sia stata emessa fuori udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace, il termine per impugnare decorre dalla comunicazione o dalla notifica, se anteriore. Nel caso, infine, in cui l’ordinanza è emessa in udienza o fuori udienza e la parte interessata ad appellarla è contumace, si profila la seguente alternativa: o la parte vittoriosa attiva la decorrenza del termine breve mediante la notifica dell’ordinanza, o viene applicato il termine lungo ex art. 327 c.p.c. (Cass. 32961/2019; Cass. 16/3/2018).

Correttamente, quindi, la Corte di Perugia ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, avendo la cancelleria comunicato il provvedimento alla parte costituita che aveva interesse ad appellare la decisione.

Il rigetto del primo motivo rendere inammissibili le altre censure, che propongono profili di merito ormai preclusi dalla statuizione in rito adottata dalla Corte distrettuale.

Il ricorso è – in definitiva – inammissibile.

Nulla sulle spese, stante la mera resistenza del Ministero.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quateri, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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