Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 645 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 12/01/2017, (ud. 26/09/2016, dep.12/01/2017),  n. 645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17555-2014 proposto da:

REGIONE PUGLIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente della

Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO

CACCIAPAGLIA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L.C.D., elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MICHELE LENOCI, giusta procura notarile del (OMISSIS),

allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEDE

DISTACCATA di TARANTO, emessa il 07/04/2014 e depositata il

11/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;

udito l’Avvocato Michele Lenoci, per il controricorrente, che chiede

sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In ordine al procedimento recante il numero di R.G. 17555 del 2014 è stata depositata la seguente relazione: ” C.L.C.D. adiva la Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto per ottenere la riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Taranto aveva rigettato l’opposizione avverso un’ingiunzione di pagamento di Euro 36.144,44 emessa nei suoi confronti dalla Regione Puglia.

La Corte territoriale accoglieva l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglieva l’opposizione e revocava l’ingiunzione di pagamento, argomentando come segue:

– il giudice di prime cure ha fondato il proprio convincimento ritenendo: (a) la piena valenza probatoria della confessio del C.L. in ordine alla commissione del reato di cui all’art. 640 bis c.p. (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e della conseguente sentenza penale resa in sede di procedimento speciale ex art. 444 c.p.c., presupponendo questa un accertamento positivo della responsabilità dell’opponente e (b) che, conseguentemente, la Regione ha legittimamente fondato l’indebito sulla sentenza penale ed è esonerata dall’onere di fornire ulteriori riscontri probatori;

– riguardo la valenza probatoria da attribuirsi alla sentenza ex art. 444 c.p.p. si ritiene di condividere il più recente orientamento intermedio, espressione del principio secondo cui la sentenza di patteggiamento non è ontologicamente qualificabile come pronuncia di condanna, traendo origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene all’imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità (Cass. 8421/2011); tale sentenza – pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile – contiene pur sempre un’ipotesi di responsabilità di cui il giudice non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare (Cass. n. 23906/2007; n.26263/2011; n. 9456/2013), dovendo, pertanto, decidere accertando autonomamente i fatti illeciti e le relative responsabilità, valutando la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti unitamente alle altre risultanze (Cass. nn. 23025 e 26250 del 2011); – dalla documentazione prodotta dall’opponente emergono delle incongruenze tra quanto dichiarato nell’istanza di concessione del premio e quanto accertato in sede penale;

– dalle risultanze istruttorie, tuttavia, risulta accertata l’effettiva consistenza delle superfici viticole di cui alla domanda presentata per l’ottenimento del premio comunitario, come da verbale del sopralluogo eseguito nel 1990 dal funzionario dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Taranto e nessun procedimento penale risulta avviato a carico di detto funzionario;

– ne discende che, non essendovi prova della falsità dell’attestazione del p.u., anche valutando gli atti del procedimento penale e la stessa sentenza di patteggiamento, sulla scorta delle complessive risultanze processuali non vi sono sufficienti elementi per ritenere provata l’inesistenza dei vigneti e la condotta delittuosa costituente presupposto della revoca e della pretesa di rimborso.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Taranto proponeva ricorso per cassazione la Regione Puglia, affidandosi ad un unico motivo: violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 444 e 445 c.p.p., per essersi la Corte discostata, senza motivare, dall’orientamento giurisprudenziale per cui la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito e soprattutto non aver valutato attentamente le prove a carico degli indagati che avrebbero dovuto portare a conclusioni diametralmente opposte. Sostiene in particolare, il ricorrente, che la Corte erroneamente abbia ritenuto non avviato alcun procedimento a carico del funzionario dell’Ispettorato, nonostante dalla documentazione prodotta e sottoposta all’esame dello stesso Collegio risultasse l’esatto contrario. In particolare, viene evidenziato, che tale procedimento non risultava avviato alla luce delle informazioni fornite al giudice di prime cure dalla Cancelleria del Tribunale di Taranto solo perchè erano stati richiesti gli atti relativi al procedimento a carico del C.L. (al quale era stato attribuito altro numero di R.G. e Gip diverso rispetto a quelli del funzionario).

Peraltro, l’odierno resistente non ha mai spiegato le ragioni che lo avevano indotto alla richiesta di patteggiamento non avendo mai negato i fatti a base dell’imputazione.

Resisteva con controricorso C.L.C.D..

Il ricorso appare inammissibile.

Lamenta il ricorrente la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto processuale disciplinanti il rito speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, per non avere la Corte di appello motivato circa le ragioni per le quali la sentenza resa ex art. 445 c.p.p. non potesse fare stato nel procedimento civile, costituendo quest’ultima, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito.

Sfugge ad una simile censura la ratio decidendi della sentenza impugnata: il Giudice di secondo grado, infatti, ha tenuto conto del procedimento penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. e della sentenza resa in tale sede – richiamando peraltro la stessa giurisprudenza che il ricorrente assume come non osservata – e valutando le risultanze istruttorie, in maniera analitica, ha ritenuto non provata la condotta delittuosa del C.L..

E’, pertanto, tale valutazione comparativa delle prove disponibili ad avere fondato il convincimento del giudice dell’appello circa l’accoglimento del ricorso ed è su questa che dovevano focalizzarsi le censure del ricorrente e non sull’interpretazione delle norme processuali in materia di patteggiamento.

L’ulteriore profilo relativo ai procedimenti penali avviati anche a carico dei funzionari regionali, sia pure inserito nell’unico motivo di ricorso rubricato come violazione di legge, lamenta in realtà l’omesso esame della documentazione portata all’esame del Collegio e spiega le ragioni per le quali tali procedimenti non risultavano dalle informazioni fornite al Giudice di prime cure.

La censura, tuttavia, difetta radicalmente di specificità riferendo, in modo del tutto sommario, di note e numeri di R.G. comprovanti quanto dedotto dal ricorrente, con conseguente violazione delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Si propone pertanto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1″.

Il Collegio letta la memoria adesiva di parte contro ricorrente, condivide integralmente la relazione depositata e dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore della parte contro ricorrente da liquidarsi in Euro 3000 per compensi ed Euro 100 per esborsi oltre accessori di legge.

Si dà atto che sussistono le condizioni del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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