Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6449 del 13/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 13/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.13/03/2017),  n. 6449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29129/2015 proposto da:

CAI FIRST SPA, C.F. (OMISSIS), in persona dell’Amministratore Unico,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati SIMONETTA FERRO, FRANCESCA VERDURA e TIZIANA LARATTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 493/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 6.6.2015, la Corte di appello di Milano, in sede di rigetto del gravame proposto da CAI FIRST s.p.a., per quel che rileva nella presente sede, confermava la sentenza di primo grado, che aveva disatteso l’eccezione di decadenza sollevata dalla società in ragione della ritenuta applicabilità al caso all’esame del D.L. n. 225 del 2010, art. 2 (cd. decreto Milleproroghe) ed aveva accolto la domanda proposta da D.R.M., accertando la nullità del termine apposto al contratto intervenuto tra le parti il 1.9.2010, la intercorrenza tra le stesse di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla stessa data, condannando la società al ripristino del rapporto ed al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a due mensilità e mezzo della retribuzione globale di fatto;

che, in particolare, la Corte meneghina riteneva la causale del contratto del tutto insufficiente ad evidenziare la necessità dell’assunzione a termine oggetto del contratto ed evidenziava, altresì, l’assoluta genericità dei capitoli di prova articolati, ritenendone l’inidoneità a dimostrare l’effettiva sussistenza di esigenze temporanee dedotte;

che di tale sentenza chiede la cassazione CAI FIRST s.p.a., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui ha opposto difese, con controricorso, la D.R.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, in prossimità della quale la controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata; che viene dedotta, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, ex art. 360 c.p.c., n. 3, rilevandosi che la disposizione del D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54, convertito con modifiche dalla L. n. 10 del 2011, si limita a richiamare espressamente il solo della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 (le ipotesi di impugnazione del licenziamento) e non anche i successivi commi 3 e 4 ed osservandosi che la stessa locuzione “in sede di prima applicazione” non può giustificarsi se non con l’intenzione del legislatore di volersi riferire alle suddette ipotesi di licenziamento;

che si rileva come sarebbe stata necessaria una apposita disciplina diretta a regolamentare la rimessione in termini delle parti che non si fossero attivate in tempo, secondo le indicazioni contenute nella originaria legge (L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4) e la previsione del termine ivi contenuto (23 gennaio 2011);

che, con il secondo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, sul rilievo che “la clausola di durata temporanea inserita in contratto ha richiamato, oltre che le formule generali contenute nell’art. 1 comma 1 del decreto, anche specifiche esigenze aziendali” e che “è, quindi, innegabile che l’assunzione è esplicitamente ricollegata al piano di integrazione delle società del Gruppo”;

che, con il terzo motivo, si lamenta violazione degli artt. 115, 116, 345, 416 c.p.c. e art. 420 c.p.c., comma 5, nonchè dell’art. 2697 c.c., osservandosi che la documentazione prodotta e la prova testimoniale avrebbero fatto emergere un quadro probatorio che avrebbe dovuto condurre la Corte ad altra conclusione in ordine alla verifica della legittimità del contratto a termine impugnato, richiamandosi, in particolare, fatti attinenti ad un progetto di integrazione del Gruppo Alitalia e del Gruppo: Air One che aveva comportato una redistribuzione della dislocazione della flotta del Gruppo ed accordi sindacali, asseritamente depositati in atti, a sostegno della eccezionalità e temporaneità dell’esigenza dedotta di ribilanciamento degli organici in relazione al dedotto processo di riorganizzazione;

che il primo motivo è infondato, avendo questa Corte ritenuto che, con riguardo ai contratti già conclusi alla data di entrata in vigore del Collegato Lavoro – stipulati anche in base alla normativa vigente prima del D.Lgs. n. 368 del 2001 – e con riferimento a quelli i cui termini siano comunque decorsi prima dell’entrata in vigore della L. n. 10 del 2011, possa trovare applicazione la proroga dei termini di decadenza (cfr. Cass. 2494/2015);

che è stato osservato che l’intervento attuato con la L. n. 10 del 2011, pur agendo direttamente soltanto in materia di licenziamenti, ha differito, quale effetto riflesso necessario, al 1 gennaio 2012 anche l’introduzione della disciplina delle decadenze nelle situazioni regolate nei commi 3 e 4, tra cui anche quelle afferenti al contratto a tempo determinato, posto che ha sospeso l’efficacia normativa di quel termine di decadenza di sessanta giorni, strutturalmente diverso da quello previsto dall’abrogato testo della L. n. 604 del 1996, art. 6, che, disciplinato dal comma 1, era stato esteso alle ipotesi di cui ai successi commi 3 e 4, per le quali, in precedenza, l’esercizio dell’azione giudiziaria non era soggetto ad alcuna impugnazione stragiudiziale a pena di decadenza;

che, pertanto, anche per i contratti a tempo determinato, deve intendersi differita all’i gennaio 2012 l’operatività del sistema delle decadenze prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 e anche per essi – va qui ribadito – deve ritenersi che la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguardi tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e dunque non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dal comma 2 del medesimo art. 6 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale (cfr. Cass. 2.7.2015 n. 13563, alle cui argomentazioni si rinvia);

che, in proposito questa Corte, a s.u., n. 4913 del 14.23.2016, ha affermato che “La n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui della L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo questo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza”;

che la Corte di appello di Milano si è attenuta all’enunciato principio ritenendo applicabile il differimento della decadenza, mediante la rimessione in termini, a contratto scaduto 31.12.2010, in relazione all’esigenza – soddisfatta dalla norma di cui del D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54, convertito con modifiche dalla L. n. 10 del 2011, di evitare un pregiudizio per coloro i quali, come la controricorrente, intenzionati a contestare la cessazione del rapporto di lavoro, si trovassero ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza;

che, quanto al secondo motivo, è sufficiente osservare che, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” del termine finale, il che comporta che le stesse debbano essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1931) e che tale scelta, in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), consente di ritenere la disciplina estesa a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi (cfr., in tali termini, Cass. 1931/2011 cit., anche per i riferimenti alla clausola 8, n. 3 “di non regresso” dell’accordo quadro); che, nella specie le ragioni richiamate nel motivo di ricorso ed esaminate dal giudice del gravame correttamente sono state ritenute non connotate da specificità nei scusi voluti da legislatore, indicandosi un non meglio definito processo di riorganizzazione che non viene precisato nei riflessi che lo stesso esplica con riguardo all’esigenza di assunzione da parte della CAI First spa della lavoratrice a termine nello specifico arco temporale;

che, peraltro, i richiamati processi di mobilità del personale, che asseritamente avrebbero dovuto dimostrare l’effettività delle ragioni addotte a giustificazione del termine sono stati enunciati attraverso il richiamo ad accordi sindacali dei quali non si indica la sede di relativa produzione, in dispregio dei principi che regolano l’onere di specificità di riproduzione del relativo testo nel motivo di ricorso e di deposito ai fini della procedibilità del mezzo di impugnazione (v. tra le tante, Cass. 17769/2015);

che la Corte territoriale ha, inoltre, rilevato la genericità della prova per testi, non contenente alcuna specificazione circa la posizione della lavoratrice nell’ambito del complessivo progetto, nè in ordine alla diretta incidenza sulla posizione della stessa nel periodo di assunzione dei dedotti processi di riorganizzazione in atto;

che sono stati, dunque, valutati sia la documentazione prodotta da Poste, sia il contenuto della prova testimoniale come articolata, ritenendosi che la società non abbia assolto l’onere probatorio a suo carico, in quanto si è limitata ad allegare e a chiedere di provare l’esistenza in generale dell’indicato processo riorganizzativo ma ha formulato una prova solo generica dell’incidenza di tale situazione sulla posizione della D.R., non consentendo di ritenere la connessione causale con le ragioni dedotte dell’assunzione a termine;

che la decisione sul punto non risulta scalfita dalle generiche critiche formulate, dovendo anche precisarsi come è jus receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità peraltro, nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito, da ultimo da Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726 – deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova o del contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (v. Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486).

che non rileva, poi, la censura prospettata, nel terzo motivo, con richiamo alla violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio, atteso che, a fronte della deduzione della illegittimità del termine apposto al contratto, è onere della società provare la esigenza organizzativa dedotta, non dovendo tale circostanza essere oggetto di contestazione da parte del lavoratore;

che, quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio e che, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115, 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori;

che nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti, onde le relative doglianze sono mal poste;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato, non rivestendo alcuna incidenza ai fini di una diversa soluzione della controversia i rilievi sull’ammissibilità del ricorso, posto che, a tali fini è essenziale che la procura si rilasciata in epoca anteriore alla notificazione del ricorso (cfr., tra le tante, Cass. 4592/2001), laddove nella specie le diverse date di autentica della procura (anteriore) e del conferimento di quest’ultima (posteriore) sono da interpretare complessivamente nel senso della riferibilità anche al conferimento del mandato della data scritta a penna e che ogni altra eccezione è superata dalle argomentazioni svolte;

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società ricorrente e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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