Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6445 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. II, 09/03/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 09/03/2021), n.6445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24126-2019 proposto da:

A.F.M., rappresentato e difeso dall’avvocato IACOPO

CASINI ROPA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il provvedimento n. cronol. 8754/2019 del TRIBUNALE di

ANCONA, depositato il 02/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.F.M. – cittadino del Bangladesh – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Ancona avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese per motivi economici in quanto doveva aiutare economicamente la famiglia rimasta in Patria.

Il Tribunale di Ancona ebbe a rigettare l’opposizione, ritenendo il racconto reso dal richiedente asilo, bensì, credibile ma non lumeggiante persecuzione alcuna ovvero l’esposizione a specifico pericolo in caso di rimpatrio; osservando che non concorreva situazione socio-politica di violenza generalizzata nel Bangladesh e ritenendo che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva dedotto elementi fattuali che consentivano d’individuare condizioni per accogliere detta domanda.

Avverso detto decreto l’ A.F. ha proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente vocato, ha depositato solo nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da A.F. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n 7155/17.

In limine deve la Corte rilevare l’inammissibilità dei documenti versati unitamente al ricorso per cassazione poichè non conformi alla previsione ex art. 372 c.p.c., comma 2.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione delle disposizioni della Convenzione di Ginevra e degli D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e segg. e D.Lgs. n. 25 del 2008, nonchè vizio di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, poichè il Collegio dorico non ha esaminato adeguatamente le sue dichiarazioni e così rilevato che comunque era perseguitato ancorchè dai parenti.

La censura appare generica eppertanto inammissibile posto che si compendia nel mero richiamo al proprio narrato, circa le ragioni dell’espatrio, senza svolgere specifica critica alla statuizione del Tribunale, se non l’osservazione astratta che anche le persecuzioni poste in essere da privati possono configurare fattispecie sussumibili nelle figure sintomatiche previste dalla Convenzione di Ginevra, senza anche confrontarsi con la motivazione resa dal Tribunale, che aveva escluso detta situazione nel caso particolare.

Va poi osservato come il vizio motivazionale non figura più tra i vizi di legittimità previsti dall’attuale formulazione del disposto ex art. 360 c.p.c. e come la denunzia di omesso esame sia rimasta priva della specifica indicazione del fatto decisivo del quale è stata omessa la valutazione.

Con la seconda ragione di doglianza il ricorrente deduce violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè vizio di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto il Tribunale anconetano non ha attivato la facoltà officiosa istruttoria per assumere informazioni utili a sensi dell’art. 14 cit.; non ha tenuto conto della situazione d’instabilità socio-politica del Bangladesh e dello stato di crisi economica, siccome invece rilevato da altri Tribunali esaminando le domande di suoi concittadini.

La censura svolta risulta generica poichè si limita a contrapporre alla puntuale statuizione, resa al riguardo dal Tribunale, propria tesi alternativa, fondata sulla valutazione delle medesime informazioni utilizzate dai Giudici marchigiani, così sollecitando questa Corte di legittimità ad un apprezzamento circa il merito della questione controversa.

Il Collegio dorico, invece, ha puntualmente esaminato la situazione socio-politica del Bangladesh sulla scorta delle informazioni acquisite da rapporti redatti da Enti internazionali all’uopo preposti e specificatamente indicati nel decreto, ponendo in evidenza le criticità e motivi d’instabilità della situazione del Bangladesh, soprattutto in dipendenza degli scontri tra attivisti degli avversi partiti opposti, ma ha pure sottolineando come detta situazione non poteva definirsi siccome connotata da violenza diffusa secondo l’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

Dunque, non solo, il Tribunale ha esercitato la sua facoltà istruttoria di acquisire utili informazioni, ma ha valutato le stesse in modo logico e puntuale, sicchè la mera contestazione della parte, ancorchè confortata dall’opinione di altri Tribunali in merito a diverse e specifiche condizioni di altri cittadini bengalesi, configura la genericità del motivo di doglianza.

Anche in relazione a detta censura devono richiamarsi le osservazioni dianzi fatte con riguardo al vizio motivazionale ed all’assente indicazione del fatto decisivo di cui fu omessa la valutazione.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32 e D.P.R. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè vizio di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, poichè erroneamente il Tribunale ha rigettato la sua domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, concorrendone le ragioni alla luce dell’insegnamento di legittimità evocato nel ricorso.

In particolare l’ A.F. lamenta che la ” Corte d’Appello ” – così nel ricorso – non abbia eseguito scrutino specifico della concorrenza in capo suo di condizioni di vulnerabilità in relazione alla sua specifica situazione personale, siccome dettagliata in causa, ed abbia omesso di valutare i dati afferenti il suo inserimento sociale e l’inumana condizione cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio.

Detta argomentazione critica non si confronta con la puntuale motivazione resa dal Collegio dorico al riguardo e si fonda, anche, sulla prospettazione di fatti nuovi senza anche precisare – ai fini dell’autosufficienza del motivo – come e quando gli stessi furono sottoposti al Tribunale, nonchè sulla prospettazione dell’omesso esame dei trascorsi lavorativi del ricorrente contraria all’evidenza della motivazione.

Difatti il Tribunale ha puntualmente esaminato la questione che il richiedente asilo era dedito a lavoro, ancorchè a tempo determinato, mettendo in evidenza – conformemente all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte – come detto solo dato non assumeva dirimente rilievo, posto che l’ingresso in Italia per motivi di lavoro non è materia regolata dalla disciplina sulla protezione internazionale bensì da altra apposita normativa, che non può essere aggirata mediante l’utilizzo dell’istituto in questione.

Inoltre il Collegio dorico ha motivatamente escluso la concorrenza di condizione di vulnerabilità in capo al ricorrente, e ciò anche alla luce delle sue condizioni economiche e familiari in Patria, operando così pure la prescritta comparazione. Di conseguenza in assenza di uno specifico confronto critico con la motivazione esposta dal Tribunale la doglianza appare generica ed inammissibile.

Anche in relazione a detta censura va richiamata l’osservazione, ut supra, circa l’inconsistenza della denunzia di vizio motivazionale.

Con la quarta ragione di critica il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.P.R. n. 286 del 1998, art. 19 nonchè vizio di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, posto che deve esser verificata l’applicabilità della nuova normativa introdotta con L. n. 32 del 2018 per la parte che amplia la possibile tutela del richiedente asilo.

A parte l’osservazione che alcuna critica specifica viene mossa ad una statuizione adottata dal Tribunale nel decreto impugnato, è insegnamento di questa Suprema Corte che la nuova disciplina, in tema di protezione speciale, non può trovar applicazione in relazione alle domande di protezione proposte prima della sua entrata in vigore, come quella di specie – Cass. SU n 29459/19.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione degli Interni poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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