Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6441 del 13/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.13/03/2017),  n. 6441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21975-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, CF.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA

PULLI ed EMANUELA CAPANNOLO;

– ricorrente –

contro

V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIOVANNI

RANDACCIO 1, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO MUSA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI FASANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 872/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte d’Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di prime cure – che, pur riconoscendo il diritto all’indennità di accompagnamento, aveva rigettato la domanda di pensione sul rilievo della mancata dimostrazione del requisito socio-economico – ha ritenuto provato il requisito reddituale attraverso la certificazione dell’Agenzia delle entrate prodotta in appello ed ha riconosciuto il diritto di V.F. alla pensione di inabilità civile, con decorrenza dal 1.2.2010, condannando l’Inps al pagamento della prestazione in oggetto;

che di tale sentenza l’INPS chiede la cassazione affidando l’impugnazione ad unico motivo di ricorso, cui ha opposto difese, con controricorso, il V., laddove il Comune di basano è rimasto intimato;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

che viene denunziata dall’INPS violazione di plurime disposizioni di legge, deducendosi che l’assistito non aveva indicato nel ricorso introduttivo di primo grado, nè depositato contestualmente, i documenti relativi al possesso dei requisiti socio-economici, prodotti solo nel grado d’ appello, incorrendo così nella decadenza del diritto alla loro produzione;

che ritiene il Collegio si debba pervenire al rigetto del ricorso, perchè manifestamente infondato;

che questa Corte ha avuto modo di affermare (cfr. Cass. 14692/2012) che “nel giudizio che abbia ad oggetto la contestazione di un provvedimento di revoca del beneficio assistenziale basato esclusivamente sulla sopravvenuta insussistenza del requisito sanitario, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti ex lege richiesti, non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia posta a fondamento della revoca, giacchè la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non dà luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda (cfr., anche, tra le tante, Cass. 12.1.2009 n. 392, Cass. 20.2.2009, n. 4254, Cass. 7.3.2010 n. 11075, Cass. 24.2.2015 n. 3688, Cass. 20.3.2014 n. 6590), ma che, in senso contrario, Cass. 19.7.2006 16542, con riferimento ad una ipotesi di conferma della permanenza del requisito sanitario in sede di accertamento in giudizio della legittimità dell’originaria revoca della prestazione, ha negato che oggetto del giudizio potesse ritenersi ex art. 149 disp. att. c.p.c. quello della – successiva – insorgenza del diritto alla prestazione (cfr., in senso conforme alla pronuncia da ultimo richiamata, Cass. 26.1.2009 n. 1839);

che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, il requisito del limite reddituale rappresenta elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la cui prova è a carico del soggetto richiedente, non potendo qualificarsi lo stesso, quindi, come mera condizione di erogazione del beneficio, accertabile in sede extragiudiziale (cfr, ex plurimis, sia pure con riguardo all’assegno di invalidità civile, Cass., nn. 4067/2002; 13967/2002; 14035/2002; 13046/2003; 13279/03; 13966/2003; 14696/2007; 22899/2011);

che deve rilevarsi, inoltre, in linea con la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, che nel rito del lavoro, in base al combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., n. 5, e art. 415 c.p.c., comma 1, (che stabiliscono l’obbligo del ricorrente di indicare specificamente i mezzi di prova di cui intende avvalersi e di depositare unitamente al ricorso i documenti ivi indicati) e dell’art. 437 c.p.c., comma 2 (che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova, fra i quali devono annoverarsi anche i documenti), l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi dalla vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo) (cfr., da ultimo Cass. 15.1.2015 n. 547);

che l’irreversibilità dell’estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello, pur trovando tale rigoroso sistema di preclusioni un contemperamento, ispirato all’esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del ridetto art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa;

che tali poteri, peraltro, sono da esercitare pur sempre con riferimento a fatti, allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 8202/2005; 11922/2006; 14696/2007);

che, nel caso di specie, deve condividersi il rilievo dell’assistito secondo cui il thema decidendum (il ripristino della prestazione revocata per insussistenza del requisito sanitario) è delineato dalla ritenuta sussistenza, da parte della Corte di Lecce, del requisito socio economico quanto meno per l’anno 2010, anno in cui era intervenuta la revoca della prestazione per motivi unicamente sanitari, che avrebbe giustificato una censura di diverso contenuto;

che, infatti, la documentazione relativa ai redditi utili ad integrare il requisito economico della prestazione di cui è stato chiesto il ripristino, pure se inerente a circostanze già deducibili e dimostrabili all’atto del deposito del ricorso di primo grado, è stata acquisita dalla Corte territoriale nell’esercizio di poteri officiosi di cui agli artt. 421-437 c.p.c., in linea con quanto ritenuto da Cass. 6753/2012, secondo cui, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento;

che la Corte territoriale, ha si fondato la propria decisione su documenti tardivamente prodotti, ma nel contempo ha valorizzato la presunzione che alla data della intervenuta revoca, nel febbraio del 2010, l’assistito doveva essere certamente in possesso del requisito reddituale, sicchè non si è discostata dagli enunciati principi di diritto; che, pertanto, in difformità alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

che, quanto alle spese del giudizio, le stesse seguono la soccombenza dell’istituto dispositivo; che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna l’istituto ricorrente al pagamento, in favore della parte costituita, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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