Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6439 del 17/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 17/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 17/03/2010), n.6439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24034-2006 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONCA

D’ORO N. 184/190, presso lo studio dell’avvocato DISCEPOLO MAURIZIO,

che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.LLI GEMIGNANI & C. DI GEMIGNANI GIUSEPPE & RENATO S.N.C.,

(in breve

F.LLI GEMIGNANI S.N.C.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso

lo studio dell’avvocato ANTONAZZO FRANCO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati RADICCHI CRESCENTINO, MOROSINI

GIANCARLO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 26/04/2006 r.g.n. 604/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato ARCA FRANCESCO per delega DISCEPOLO MAURIZIO;

udito l’Avvocato MOROSINI GIANCARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per, il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 10 febbraio 1995, C.I. adiva il Giudice del Lavoro di Pesaro avanzando numerose domande nei confronti della Ditta F.lli Gemignani in materia di indennità da risoluzione unilaterale del contratto di agenzia, pagamento provvigioni indebitamente trattenute, risarcimento danni ed A inibitoria alla non costruzione di forni per cinque anni.

Esponeva, in fatto, di avere stipulato in data (OMISSIS) un contratto di agenzia per la vendita, su tutto il territorio nazionale e (OMISSIS), di forni a legna ed accessori, contenente la postilla secondo la quale i contributi Enasarco e Firr sarebbero stati a carico della stessa e, in caso di sua rinuncia al mandato di agenzia dopo 6 mesi, il sig. R.E., proprio marito, si sarebbe impegnato a non commercializzare forni per i successivi 5 anni con correlativo obbligo, in caso di inadempienza, di versare la somma di L. 30 milioni. L’intervento nel contratto anche del R. trovava la sua ragione giustificatrice, secondo l’esponente, nel fatto che era stato proprio quest’ultimo a proporre alla ditta F.lli Gemignani di produrre un certo tipo di forno a legna da lui stesso ideato. I rapporti proseguivano, poi, con contestazioni reciproche e con due riduzioni della zona, finchè nell’ (OMISSIS) la Gemignani aveva interrotto unilateralmente il mandato di agenzia.

La ricorrente chiedeva, dunque, il pagamento di tutte le provvigioni maturate nel 1994, della somma di L. 111.529.00 a vario titolo calcolata, di tutte le indennità derivanti dalla risoluzione unilaterale del rapporto per colpa della proponente e previste dalla contrattazione collettiva e civilistica, il risarcimento dei danni derivanti dalla detta risoluzione, nonchè l’emissione di ordine alla Gemignani di non produrre forni per 5 anni con comminatoria del risarcimento del danno. Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando in foto quanto richiesto dalla ricorrente, chiedendo il rigetto della domanda e avanzando domanda riconvenzionale. In particolare, la convenuta eccepiva la nullità del contratto di agenzia simulatamene stipulato con la C., ma, in realtà, facente capo al marito di costei, R.E., non iscritto al Ruolo degli Agenti di Commercio istituito ex L. n. 316 del 1968.

Chiedeva, dunque, la chiamata in causa del R. ed, in via riconvenzionale, avanzava domanda di restituzione di tutte le somme percepite a titolo di compenso dal R., detratte le spese, a seguito della dichiarazione di nullità del contratto di agenzia.

In via subordinata contestava la fondatezza delle richieste avversarie, deducendo la legittimità dell’anticipato recesso, determinato dalle gravissime inadempienze imputabili all’agente.

Autorizzata la chiamata in causa di R.E., questi si costituiva, deducendo di essere il progettista del forno prodotto dalla ditta F.lli Gemignani e di avere ottenuto in cambio da questa la stipula del contratto di agenzia a nome della moglie C.I., reale titolare del mandato.

Eccepiva, peraltro, l’inammissibilità della prova testimoniale richiesta dalla convenuta, non potendosi la simulazione del contratto provare con testimoni e chiedendo, a sua volta, l’accertamento della paternità delle ideazioni e modifiche tecniche e la conseguente repressione degli atti di concorrenza sleale attuati o minacciati dalla Gemignani.

A tali deduzioni replicava la ditta Gemignani contestando ogni rapporto inventivo o progettuale del R. ed eccependo l’incompetenza funzionale del giudice del lavoro.

Il Tribunale, espletata istruttoria testimoniale, con sentenza del 28- 5-2004 respingeva le domande avanzate dalla C.; respingeva altresì le domande riconvenzionale proposte dalla convenuta e dal chiamato in causa e compensava le spese di lite.

A sostegno della decisione osservava che la C. non aveva fornito la prova della spettanza delle provvigioni reclamate e che non poteva essere accolta la richiesta dell’appellante di ordine di esibizione della documentazione comprovante dette spettanze, e di espletamento di consulenza tecnica in mancanza degli elementi per la determinazione del quantum.

Il Tribunale negava inoltre la indennità di clientela, per non risultare la C. iscritta alle organizzazioni stipulanti gli ARC del 1992, che prevedevano tale indennità. Negava ancora la sussistenza della giusta causa del recesso mancando sufficienti elementi probatori in proposito, e così pure la domanda risarcitoria discendente dalla clausola di impegno a non produrre per cinque anni il forno a legna di cui al contratto di agenzia intercorso tra le parti. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre C. I. con tre motivi.

Resiste la F.lli Gemignani & C. di Gemignani Giuseppe e Renato snc con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la C., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 210 e 61 e segg. c.p.c., vizio di motivazione per contraddittorietà e illogicità sul punto decisivo relativo all’ammissione della consulenza tecnica e all’ordine di esibizione della documentazione contabile, contesta l’assunto della Corte di Appello secondo cui il Giudice di primo grado avrebbe giustamente ritenuto inammissibile l’ordine di esibizione documentale “perchè indeterminato ed avente funzione meramente esplorativa” ed ugualmente ritenuto inammissibile la consulenza contabile poichè “non sarebbero neppure identificati gli elementi sui quali la quantificazione doveva essere effettuata”.

Tale assunto – ad avviso della ricorrente – sarebbe erroneo non essendo stata formulata una domanda generica relativa a documentazione non specificata essendo stata chiesta – nulla di più facilmente individuabile ed individuato- tutta la documentazione contabile inerente il rapporto in oggetto. A ciò era da aggiungersi che la stessa non aveva altro mezzo per assolvere l’onere probatorio se non quello di richiedere l’esibizione dei documenti che non erano nella sua disponibilità e conseguentemente chiedere una consulenza tecnica per la quantificazione di quanto alla stessa dovuto. La sua richiesta, pertanto,era stata erroneamente disattesa dai Giudici di merito.

Il motivo è privo di fondamento.

Giova, al riguardo, premettere come la giurisprudenza di questa Corte non sia univoca in ordine alla questione relativa alla possibilità di censurare, mediante il ricorso per Cassazione, i provvedimenti, positivi o negativi, emessi dal giudice di merito sulla richiesta di esibizione.

Infatti, pur sulla base di un comune presupposto circa la ritenuta discrezionalità del relativo potere esercitato da detto giudice, secondo un primo orientamento sarebbe sempre esclusa, anche in assenza di motivazione, la possibilità di impugnazione (ex plurimis, Cass. 2 settembre 2003, n. 12782; Cass. 12 settembre 2003, n. 13443;

Cass. 12 dicembre 2003, n. 19054; Cass. 24 marzo 2004, n. 5908), mentre, secondo altro orientamento, il provvedimento dovrebbe sempre essere sorretto da una motivazione sufficiente e sarebbe, altrimenti, censurabile in cassazione (tra le tante, Cass. 17149/08; Cass. 12611/03).

Questo secondo orientamento appare all’odierno Collegio preferibile, tenuto conto delle conclusioni cui perviene la giurisprudenza di questa stessa Corte in ordine al controllo di legittimità sull’ammissione dei mezzi di prova, le quali debbono ritenersi valide anche riguardo all’esibizione ex art. 210 c.p.c., nel senso esattamente che, se si ritiene che l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione possono consistere anche nella mancata ammissione di tali mezzi, quando questi sono diretti a dimostrare punti decisivi della controversia (Cass. 30 maggio 1987, n. 4817; Cass. 21 ottobre 1992, n. 11491; Cass. 30 agosto 1995, n. 9208), è coerente ritenere che il mancato ordine di esibizione di un documento si traduca in un vizio della sentenza quante volte la Suprema Corte, in sede di controllo, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice cui è riservato l’apprezzamento della relativa istanza, riconosca che il ragionamento svolto da detto giudice si riveli incompleto, incoerente o irragionevole.

Nella specie, il Giudice di appello, muovendo dalla considerazione che oggetto del motivo di appello erano le differenze delle provvigioni relative al periodo intercorrente dal 1993 al 30-6-1993 nonchè quelle spettanti alla C. sulle vendite dalla stessa effettuate, ha ritenuto non giustificato che l’agente, che aveva visitato i clienti e raccolto i relativi ordini, non fosse in grado neppure di indicare quali acquirenti aveva contattato e quindi quali affari aveva direttamente procurato.

A sostegno di tale motivazione ha richiamato lo specifico consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di agenzia secondo cui l’agente che reclama il pagamento di provvigioni maturate ha l’obbligo di dimostrare gli affari da lui promossi e la loro regolare esecuzione, trattandosi dei fatti costitutivi del diritto azionato;

l’ordine di esibizione alla preponente dei documenti relativi a tali affari, che può essere chiesto dall’agente in forza del suo diritto ad ottenere un estratto delle scritture contabili, stabilito dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 2, ha funzione di strumento istruttorio residuale e può pertanto essere utilizzato solo se la prova del fatto non è acquisibile “aliunde” e se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative; esso dunque presuppone la individuazione preventiva degli affari e dei documenti stessi, o almeno la individuabilità di questi ultimi (Cass. 8310/2003;

13721/2002 e 7855/2004).

Lo stesso dicasi per la mancata nomina del richiesto consulente contabile, giustificata dal Giudice a quo anche sotto il profilo della mancata identificazione degli elementi sui quali la quantificazione sarebbe dovuta essere effettuata. Così argomentando, la sentenza si è adeguata al principio, affermato da questa Corte, secondo il quale il provvedimento che disponga, o meno, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata, non potendo detto giudice rifiutare con argomentazioni di stile e prive di reale consistenza il ricorso ad essa (Cass. 16 aprile 2008 n. 10007).

La congruità e correttezza di siffatte argomentazioni impongono, pertanto, il rigetto della esaminata censura.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e ss. c.p.c., del principio generale della disponibilità delle prove e delle norme di diritto relative alla valutazione delle prove prodotte dalle parti, contesta la pronuncia della Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza della giusta causa del recesso della preponente.

Più in dettaglio, la ricorrente sostiene che, nell’impugnare la sentenza di primo grado, la propria difesa aveva chiaramente denunciato che la motivazione del giudice pesarese era interamente basata sulla documentazione prodotta dalla F.Ili Gemignani senza che i fatti in essa contenuti fossero stati accertati e senza che il Giudice avesse preso adeguata visione della copiosa corrispondenza intercorsa tra le parti in causa.

Anche tale motivo non può trovare accoglimento.

Sul punto la Corte d’appello ha osservato che i singoli episodi contestati dalla preponente all’agente, dei quali il primo Giudice aveva ritenuto la sussistenza sulla base del compiuto esame della documentazione in atti, non erano stati “controbattuti” dall’appellante, che si era limitato a lamentare che i fatti fossero stati addebitati alla agente e non alla preponente e che fosse stata data alla documentazione di quest’ultima una valenza maggiore rispetto a quella data alla documentazione della agente.

Ha osservato ancora la Corte che i fatti addebitati all’agente, analiticamente elencati nella sentenza gravata, si evincevano dalla lettura dei documenti prodotti dalla parte appellata, convenuta in primo grado, contenenti corrispondenza proveniente dai clienti (Eagle Word Service, Artigian Pietra ed altri) o atti di R.E. che confermavano i suddetti episodi, sui quali nessuna spiegazione o controdeduzione aveva addotto la agente, neppure in grado di appello.

Va in proposito rammentato che – come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare (cfr., in particolare, tra le tante, Cass. sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045) – il vizio di motivazione – quale è quello che nella sostanza viene denunciato – non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello auspicato dalle parti, perchè spetta solo al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dall’ordinamento. Ne consegue che il giudice di merito è libero di formarsi il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le risultanze processuali e di confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificamente non menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

In questa prospettiva, pertanto, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione del giudice del merito non deve tradursi in un riesame del fatto o in una ripetizione del giudizio di fatto, non tendendo il giudizio di cassazione a stabilire se gli elementi di prova confermino, in modo sufficiente, l’esistenza dei fatti posti a fondamento della decisione.

Il controllo, dunque, non ha per oggetto le prove, ma solo il ragionamento giustificativo. Esso ripercorre l’argomentazione svolta nella motivazione dal giudice del merito a sostegno della decisione assunta e ne valuta la correttezza e la sufficienza.

Nel giudizio di cassazione, quindi, anche sotto il profilo della mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione il riesame nel merito è inammissibile (Cass. 9 maggio 1991 n. 5196).

Va soggiunto che la ricorrente ha altresì omesso di riprodurre il contenuto della documentazione e delle deposizioni ritenute rilevanti, contravvenendo a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, ove, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa (ex plurimis, Cass. 13 gennaio 1997 n. 265; v.

anche Cass. 12 settembre 2000 n. 12025; Cass. 11 gennaio 2002 n. 317).

Con il terzo motivo di gravame, la ricorrente denuncia contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della motivazione della sentenza nella parte in cui non ha accolto la domanda proposta dalla sig.ra C.I. volta ad ottenere il risarcimento del danno quantificato nello stesso contratto di agenzia nella somma di L. 30.000.000 e conseguente alla produzione dei forni a fuoco continuo da parte della società F.lli Gemignani per i cinque anni successivi alla risoluzione del contratto in violazione della previsione contrattuale.

Sennonchè la motivazione adottata dalla Corte di Appello di Ancona non presenta sotto alcun profilo i vizi denunciati, avendo detta Corte chiarito sul punto che in nessuna parte dell’atto introduttivo di primo grado l’agente aveva dedotto che la preponente avesse proseguito o stesse proseguendo, dopo il recesso dal rapporto di agenzia, nella produzione e commercializzazione dei forni. Pertanto, la convenuta preponente non era tenuta a contestare un fatto non allegato dalla parte attrice; con ciò avallando l’assunto del primo Giudice secondo cui la parte ricorrente non aveva dimostrato nè chiesto di provare la prosecuzione della produzione e commercializzazione dei forni in questione.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 45,00 oltre 2.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010

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