Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6439 del 13/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.13/03/2017),  n. 6439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20690-2015 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

RAFFAELE DE FELICE;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempre, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA, 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO

GIUSEPPE CHIELLO, CESARE POZZOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1535/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 26.2.2015, la Corte di appello di Napoli, su gravame della s.p.a. Telecom Italia, in riforma della decisione del Tribunale, che aveva accolto il ricorso proposto da A.M. -riconoscendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti dal 22.4.2008 e condannando la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 10.11.2009 -rigettava la domanda proposta dalla lavoratrice;

che, ritenuto che l’atto di appello possedeva i requisiti richiesti dalla nuova formulazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, la Corte osservava che, in relazione alla causale dedotta, “Gestione delle attività di call center in relazione alle esigenze di carattere organizzativo connesse al riassetto societario del gruppo Telecom”, era stata allegata dalla società una serie di elementi idonei a circostanziare l’esigenza organizzativa de qua e che, in relazione all’esigenza di assolvimento dell’onere probatorio, era stata ammessa prova testimoniale il cui esito era stato favorevole alla società (per difficoltà di carattere tecnico non era stato possibile attuare fino all’anno 2009 il trasferimento del personale proveniente dal (OMISSIS) al call center (OMISSIS), per cui in tale servizio erano stati utilizzati lavoratori interinali e nell’assunzione di lavoratori somministrati la società si era attenuta ai limiti previsti dal CCNL);

che di tale sentenza la A. chiede la cassazione, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui oppone difese, con controricorso, la Telecom Italia s.p.a;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

che, con il primo motivo, viene dedotta violazione o, comunque, erronea applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;

che, con il secondo motivo, viene lamentata violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20, 21 e 27 sul rilievo che la soppressione dell’inciso nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, u.c. ad opera della normativa successiva non abbia determinato l’effetto di rendere irrilevante la menzione, nell’atto, degli elementi essenziali del negozio stipulato tra le parti;

che, con il terzo motivo, viene denunziata violazione e, comunque, erronea applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, commi 3 e 4, art. 21 e art. 27, comma 3, dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c. e art. 12 preleggi, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevandosi che la Corte del merito aveva ritenuto erroneamente ammissibile la prova articolata pure in assenza della sua idoneità a fornire il riscontro della clausola giustificatrice e conferito valore assorbente alle sole giustificazioni dedotte in memoria difensiva rispetto a quanto precisato nel contratto a motivazione dello stesso;

che, con il quarto, si ascrive alla decisione impugnata violazione ed erronea applicazione dell’art. 12 preleggi e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21 nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche quale vizio di motivazione, in relazione al mancato riferimento dei capitoli di prova ammessi al call center di Napoli, ove era addetta la ricorrente, ed in relazione a dedotto travisamento delle dichiarazioni rese dai testi escussi;

che ritiene il Collegio si debba pervenire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso in rapporto al tipo di censure con lo stesso formulate;

che, con riguardo ai rilievi formulati nel primo motivo, questa Corte si è pronunciata sulla specifica questione della portata e della estensione della previsione di cui all’art. 434 c.p.c., comma 1 nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis,) affermando che “la norma, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c. non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono” e che “sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte” (v. Cass. 5.2.2015 n. 2143);

che nella citata pronuncia è stato, poi, anche rilevato “che, con il motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” e che “poichè in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del 2002)”;

che, tuttavia, affinchè possa procedersi a riscontrare mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, è necessario comunque che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.); che non risulta che le prescrizioni poste da tali articoli, sia nella versione antecedente alla novella, sia in quest’ultima, siano state nella specie rispettate, posto che nel presente ricorso, in dispregio dei richiamati criteri di specificità, non vengono trascritti i passaggi della sentenza gravata, ai quali si attribuisce la violazione processuale lamentata, e che non vengono puntualmente illustrati i passaggi argomentativi della stessa con riferimento al contenuto del ricorso in appello ed alla correlata sentenza di primo grado;

che a ciò consegue che non è consentita la comprensione della portata della doglianza, che si rivela inammissibile, rendendo preclusa la fase successiva di accesso all’esame diretto degli atti, in via astratta imposto dalla censura così come formulata;

che tutte le successive censure, che attengono – come già specificato nella esposizione dei motivi – ad un preteso omesso esame della genericità delle causali e ad un errata valutazione delle risultanze istruttorie, presentano evidenti profili di inammissibilità connessi ad una mancanza di sinteticità espositiva sia relativa ai fatti di causa che alla individuazione delle norme di diritto che si assumono violate, che risultano in buona parte sovrapponibili con riguardo a quanto indicato in ciascuno dei motivi di impugnazione;

che, anche a volere superare il precedente rilievo, si ritiene che il secondo motivo non sia idoneo a chiarire in che termini il riferimento ad esigenze organizzative connesse al riassetto societario del gruppo Telecom ed alle ripercussioni che detto riassetto aveva prodotto sul reparto aziendale espletante l’attività di call center si rifletta sulla genericità della causale dedotta, con riferimento alle modifiche normative richiamate in sentenza per i contratti stipulati dopo il 26.10.2004, non precisandosi in quale maniera determinate affermazioni della sentenza di appello siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina, richiamate con riferimento a fattispecie ricadenti temporalmente nell’ambito applicativo del vecchio testo del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21 o in relazione alle quali non era stata affrontata la specifica questione interpretativa del D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 5, comma 1;

che la ricorrente deduce un carente accertamento del giudice del gravarne, che, al contrario, risulta essere stato fondato sull’applicazione di principi generali, validi sia con riferimento alla causale del contratto tra le parti, in relazione a quanto previsto dal legislatore ai fini dell’idoneità della stessa a legittimare il ricorso a tale tipologia contrattuale, sia in relazione alla individuazione del concetto di temporaneità, con riguardo ad ipotesi caratterizzate da complessità delle vicende societarie, che nella specie sono state precisate quanto agli aspetti circostanziali utili a determinare il successivo controllo di effettività, in sede di memoria difensiva, da parte della società;

che, come si è detto, le esigenze dedotte, non fronteggiabili con il ricorso al normale organico, sono state correttamente ritenute ascrivibili nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato ed il riferimento alle stesse ben può costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c legge stessa” (Cass. 21 febbraio 2012, n. 2521);

che anche a livello di verifica della sussistenza in concreto di tali ragioni (cfr. Cass. 8 maggio 2012, n. 6933, cui si rinvia anche per i richiami, Cass. 2521 del 2012 cit., 15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi riportati) e della corrispondenza dell’impiego concreto del lavoratore a quanto affermato nel contratto, che è l’oggetto centrale del controllo giudiziario, la Corte di appello di Napoli ha effettuato la verifica con riferimento alle ragioni indicate dalla società a spiegazione della necessità della vicenda organizzativo – produttiva (trasferimento di parte del personale addetto al servizio call center “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” al servizio call center (OMISSIS), posticipato per difficoltà di carattere tecnico che avevano determinato la necessità di assunzione di personale a termine fino all’anno 2009) ed all’ attinenza delle mansioni svolte dalla A. al progetto riorganizzativo;

che, in particolare, le critiche della ricorrente, svolte nei motivi terzo e quarto, non si appuntano sulla violazione dei parametri normativi che sono alla base di un legittimo ricorso alla somministrazione, quanto, piuttosto), mirano nella sostanza a contestare la valutazione della prova offerta, ritenuta insufficiente e non idonea a comprovare circostanze poste a fondamento del contratto;

che, le censure riguardano tutte valutazioni della Corte d’appello su questioni prettamente di merito: la valutazione della specificità e temporaneità delle esigenze poste a base della scelta di ricorrere al lavoro somministrato; la valutazione della rilevanza dei capitoli di prova; la valutazione della prova testimoniale effettuata; la idoneità della prova a dimostrare che la ricorrente fu assunta per l’esigenza dedotta connessa al riassetto organizzativo conseguito alla fusione per incorporazione della Tim Italia spa in Telecom Italia spa; la valutazione della specificità della relativa contestazione da parte della ricorrente; la valutazione, sempre in tale ambito, della deposizione dei testi escussi; che appare evidente che tutte queste censure, a fronte di una sentenza che ha motivato le sue ragioni in modo puntuale, completo e coerente, concernono il merito della decisione e sono, pertanto, estranee al giudizio di legittimità;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5;

che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo; che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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