Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6435 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/03/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 06/03/2020), n.6435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14874-2014 proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTORINO

LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati ANDREA SGUEGLIA, UGO

SGUEGLIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10200/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2013 R.G.N. 9139/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 10200, resa in data 4 novembre 2013, la Corte di appello di Roma confermava la decisione del Tribunale capitolino che aveva accolto la domanda proposta, nei confronti del Ministero degli affari esteri, da T.G. – già dipendente del MIUR, poi transitata nei ruoli del Ministero convenuto – volta all’inclusione nell’assegno ad personam della retribuzione personale docenti (RPD), con condanna del MAE alla restituzione delle somme a tale titolo trattenute;

riteneva la Corte territoriale che, al momento del passaggio, l’Amministrazione fosse tenuta a conservare alla dipendente il trattamento economico goduto presso il Ministero di provenienza e quindi, a prescindere dallo svolgimento dell’attività di docenza, anche l’importo corrisposto ai sensi dell’art. 7 del c.c.n.l. Comparto scuola del 15 marzo 2001, che costituiva una componente della retribuzione dotata dei caratteri di fissità e continuità;

richiamava precedenti della stessa Corte romana con riguardo al carattere innovativo della previsione della L. n. 246 del 2005, art. 16 che aveva aggiunto al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, il comma 2 quinquies, prevedente espressamente l’applicabilità al dipendente trasferito per mobilità del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione (diposizione che riteneva applicabile solo alle mobilità realizzatesi dopo l’entrata in vigore della legge di modifica);

riteneva condivisibile anche l’assunto del Tribunale circa la non riassorbibilità dell’assegno in questione ritenendo che l’espressione altre analoghe disposizioni di cui alla L. n. 537 del 1993, norma disciplinante il passaggio di carriera di cui all’art. 202 T.U, approvato con D.P.R. n. 3 del 1957 consentisse di estendere la prevista non riassorbibilità anche in tutti i casi di passaggio da un’amministrazione all’altra;

2. avverso tale sentenza il MAE ha proposto ricorso affidato a quattro motivi;

3. T.G. ha resistito con;

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, della L. n. 246 del 2005, art. 16 anche nella parte in cui aggiunge il comma 2 quinquies al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, dell’art. 1406 c.c.;

censura la sentenza di secondo grado per avere ritenuto che la fattispecie in esame costituisca un’ipotesi di cessione del contratto ex art. 1406 c.c., ciò, in base a quanto previsto dalla L. n. 246 del 2005, art. 16 che ha sostituito l’espressione cessione del contratto alle parole passaggio diretto, contenute nell’originaria formulazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30;

assume che, ratione temporis, occorra fare riferimento al testo storico dell’art. 30 in questione e che non possa attribuirsi alla L. n. 246 del 2005, art. 16 natura retroattiva e comunque ricorda che la L. n. 246 del 2005, art. 16, comma 1 oltre a sostituire le parole passaggio diretto con cessione del contratto, ha aggiunto, al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 il comma 2 quinquies, il qual dispone “salvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione”;

pertanto, dalla complessiva nuova formulazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 si evince che il legislatore nell’introdurre l’istituto della cessione del contratto, ha cercato di evitare che ciò comportasse un onere troppo elevato per il bilancio dello Stato, prevedendo, quindi, che il trattamento economico e giuridico sia esclusivamente quello previsto dai contratti vigenti nel comparto dell’Amministrazione di destinazione con la conseguenza che nessun assegno personale ereditato dal precedente servizio alle dipendenze del MIUR potrebbe essere attribuito;

2. con il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 della L. n. 266 del 2005, art. unico, comma 226, nonchè delle norme dei contratti collettivi del comparto scuola (art. 7 c.c.n.l. 15/3/2001 e art. 50 c.c.n.l. 26/5/1999);

rileva che non potesse essere inclusa nell’assegno la retribuzione professionale docenti, trattandosi di un compenso di natura accessoria che presuppone l’effettiva prestazione dell’attività didattica;

4. con il terzo motivo il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1408 c.c., comma 1;

sostiene l’erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale circa l’inclusione della retribuzione professionale docentì nel trattamento economico garantito in caso di trasferimento sotto il profilo dell’inconfigurabilità di un obbligo di erogazione a carico dell’Amministrazione di provenienza per risultare questa, nell’ipotesi considerata dalla Corte dell’intervenuta cessione di contratto, liberata dalle sue obbligazioni;

4. il medesimo convincimento è censurato dall’Amministrazione ricorrente con il quarto motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione del divieto di reformatio in peius nonchè delle previsioni della contrattazione collettiva, sotto il profilo dell’inconfigurabilità di un tale divieto a fronte di erogazioni connesse allo svolgimento effettivo di specifiche mansioni;

5. le questioni di diritto poste dai motivi di ricorso sono state più volte sottoposte all’esame di questa Corte (cfr. fra le tante Cass. nn. 30909, 13259 e 10145 del 2018; nn. 17773 e 169 del 2017; Cass. 9917, 10063, 12442 del 2016, Cass. da 24724, 24729, 24889, 24890, 24949, 25017, 25018, 25160, 25245, 25246 del 2014) che, a partire dalla sentenza n. 24724/2014, ha affermato, in estrema sintesi, che: a) il passaggio diretto, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 nella sua formulazione originaria, è riconducibile all’istituto civilistico della cessione del contratto, sicchè detto passaggio è caratterizzato dalla conservazione dell’anzianità e dal mantenimento del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza; b) la L. n. 246 del 2005, art. 30 non ha natura di norma interpretativa per cui lo stesso, privo di efficacia retroattiva, non trova applicazione alle procedure di mobilità espletate antecedentemente alla sua entrata in vigore; c) il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi erogati al prestatore di lavoro, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita; d) secondo le previsioni del c.c.n.l. del comparto scuola la retribuzione professionale docenti costituisce un compenso fisso e continuativo, in quanto corrisposto in misura non variabile e per dodici mensilità, e va quindi incluso nell’assegno personale, non potendo l’esclusione essere giustificata dal rilievo che il compenso fosse finalizzato alla valorizzazione professionale della funzione docente; e) in caso di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, il mantenimento del trattamento economico, collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento, opera nell’ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento; f) infatti, in assenza di diversa specifica indicazione normativa, il divieto di reformatio in peius giustifica la conservazione del trattamento più favorevole, attraverso l’attribuzione dell’assegno ad personam, solo sino a quando non subentri, per i dipendenti della amministrazione di destinazione (e quindi anche per quelli transitati alle dipendenze dell’ente a seguito della cessione) un miglioramento retributivo, del quale occorre tener conto nella quantificazione dell’assegno, poichè, altrimenti, il divario sarebbe privo di giustificazione; g) non è applicabile alla fattispecie la regola della non riassorbibilità dell’assegno, contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, riferibile alla diversa ipotesi, ormai residuale, dei passaggi di carriera disciplinati dal D.P.R.;

6. corretta è stata allora la decisione impugnata con riferimento all’inclusione nell’assegno ad personam della retribuzione professionale docenti (sul punto della ritenuta non riassorbibilità di tale assegno non vi è censura da parte del Ministero);

rispetto alla suddetta questione dell’inclusione gli scritti difensivi del Ministero non prospettano argomenti che possano indurre a disattendere l’orientamento sopra citato, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento dei principi affermati, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

7. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;

8. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

9. non può trovare applicazione nei confronti dell’Amministrazione dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che la stessa, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Ministero ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi agli avv.ti Andrea Sgueglia e Ugo Sgueglia, antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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