Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6435 del 04/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6435 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 28546-2014 proposto da:
INTESA SANPAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO TOSI,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
BONGIORNO CALOGERO, quale erede di BONGIORNO
VINCENZO, ANTONEILI SANDRO, COSTANTINI CARLO,
COSTANTINI BEATRICE, quali eredi di COSTANTINI PIETRO,
BONANNO ANGELINO, BARBIERI FORTUNA, BINETTI
MICHELE, ALBANO MASSIMO, BALDARI FRANCO,
BALDARI GIUSEPPE, BALDARI ANGELA, TAPPERI

Data pubblicazione: 04/04/2016

ADDOLORATA, quali eredi di BALDARI CROCIFISSO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, rappresentati e difesi
dall’avvocato GIUSEPPE FERRARO, giusta procura speciale a
margine del controricorso;

nonché contro
FENIZIA EMMA, AIELLO LIA, ANGELINI ERALDO,
ANGELONI 1.,UCIANA, ARMENI MARCELLO, BOV1 CESARA,
CARBONE LUISA, CARDOSA ALDO, GASOLI SANDRA,
CHICOLI ALFREDO, CONIGLIO VITO, DAINELLI
LOREDANA, DE ANNA MARIA, RIGGIO BIANCA,
PASCALINO CONCETTA, ANTINOI,FI LAURA, ANTINOLFI
GIUSEPPE, NTINOLFI MASSIMO, BONGIORNO
MARGHERITA, RUSSO ROBERT;
– intimati avverso la sentenza n. 6587/2013 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 15/10/2013, depositata 11 23/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 16
dicembre 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente
relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza impugnata, dichiarava
Inammissibile il gravame proposto nei confronti di Brunetti Attilio e
rigettava il gravame proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. contro la
sentenza resa dal Tribunale di Napoli che, in accoglimento della
domanda proposta da Fenizia Emma e da altri litisconsorti, tutti ex
Ric. 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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– controricorrenti –

dipendenti del Banco di Napoli e collocati in quiescenza con decorrenza
anteriore al 31/12/1990, aveva condannato la Intesa Sanpaolo s.p.a. al
pagamento, in favore dei suddetti, delle differenze economiche sul
trattamento pensionistico per il periodo dal gennaio 1994, con
riferimento agli importi indicati in ricorso.
Il diritto dei ricorrenti traeva titolo da una precedente sentenza di primo

perequazione

automatica

delle

pensioni,

come

disciplinato

anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. 30/12/1992, n. 503.
Tale sentenza era stata confermata in grado di appello dal Tribunale di
Napoli; successivamente le Sezioni Unite della Cassazione, con
sentenza n. 9024/2001, avevano cassato con rinvio la sentenza
d’appello, riconoscendo tuttavia il diritto dei pensionati al mantenimento
del regime perequativo aziendale, ove cessati dal servizio prima del
31.12.1990 e limitatamente al periodo 1°.1.1994-26.7.1996. La Corte
d’Appello di Napoli, nel giudizio di rinvio, aveva riconosciuto il diritto dei
pensionati a conservare il suddetto regime perequativo aziendale
relativamente al periodo 1°.1.1994-26.7.1996, condannando per l’effetto
la Sanpaolo Imi spa (incorporante del Banco di Napoli spa) alla
corresponsione dei

relativi

aumenti di

pensione.

L’ulteriore

impugnazione era stata rigettata da questa Corte con sentenza
n.19937/2004, con conseguente formazione del giudicato.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre Intesa Sanpaolo
s.p.a. (quale incorporante di Sanpaolo !mi s.p.a.), prospettando cinque
motivi di impugnazione.
Resistono con controricorso i pensionati o gli eredi degli stessi indicati
in epigrafe, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Con il primo motivo, la società deduce la nullità della sentenza e del
procedimento per violazione degli art -t. 132 e 171 c.p.c. per omessa
indicazione dei sig.ri Concetta Pascalino, Laura Antinolfi, Giuseppe
Antinolfi e Massimo Antinolfi quali eredi di Antinolfi Tommaso nell’epigrafe
della sentenza, nonché per omessa dichiarazione di contumacia.

Ric. 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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grado, che aveva loro riconosciuto il diritto di conservare il sistema di

Con secondo articolato motivo, il ricorso lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2099 c.c. in relazione agli artt. 9 e 11
digs. n. 503/92, come interpretati autenticamente dall’ari. 1 comma 55
legge n. 243/04: a riguardo la società ricorrente deduce che, per il
periodo successivo a quello su cui si è formato il precedente giudicato
(in sostanza dall’agosto 1996 in poi) deve trovare applicazione la norma

forza della quale, come chiarito da consolidata giurisprudenza di
legittimità, il sistema di perequazione automatica aziendale è abrogato,
per tutti i pensionati (ante e post 31.12.1990), a far data dal gennaio
1994; conseguentemente — prosegue il ricorso – in relazione al diritto di
conservare, successivamente al luglio 1996, gli aumenti perequativi
ottenuti in virtù del sistema previgente, non venendo in rilievo il principio
di intangibilità del giudicato né il divieto di bis in idem, la pretesa
azionata avrebbe dovuto essere decisa alla luce di tale norma di
interpretazione autentica e non già in base alla regula iuris affermata
dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9024/2001, come sostituita ab
origine dalla normativa di interpretazione autentica; ciò si spiega —

conclude il ricorso – in quanto il diritto alla conservazione dell’assegno
perequativo non è parte integrante del giudicato, bensì un diritto
conseguente che permane, rebus sic stantibus, solo insieme con il
permanere della relativa fonte costitutiva.
Con il terzo motivo, viene denunziata omessa pronuncia con riferimento
al motivo d’appello concernente l’eccepita infondatezza delle pretese
avanzate da Riggio Bianca, che non poteva avere maturato alcuna
spettanza perequativa iure hereditatis per il periodo 1994-1996,
essendo il suo dante causa deceduto il 12.9.1993.
Con il quarto motivo, viene dedotta omessa pronuncia con riferimento
al motivo di appello concernente l’eccepita compensazione delle
eventuali differenze perequative con quanto indebitamente corrisposto
per l’anno 1993 in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli
20787/1999 e con il quinto motivo, in subordine, lamenta omessa
esame circa un fatto decisivo per il giudizio relativamente alle differenze
Ric. 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 55 legge n. 243/04, in

perequative per l’anno 1993, già erogate dalla società, per l’ipotesi che
si fosse ritenuto che la Corte si era pronunciata sul capo dell’appello
concernente la compensazione tra le differenze perequative liquidate
per l’anno 1993.
Il primo motivo di ricorso è da disattendere. Ed invero, ove si configuri
come errore materiale la mancata indicazione nell’epigrafe della sentenza

contenuti nella sentenza di appello non sono rimediabili in sede di
legittimità, ma soltanto con il procedimento di correzione ex artt. 287 e ss.
cod. proc. civ. da attivarsi presso la Corte di merito che ha emesso la
sentenza (cfr. Cass. n. 28712 del 30 dicembre 2013; Cass. n. 9968 del 12
maggio 2005; Cass. n. 4677 dell’8 maggio 1998).
In ogni caso, anche in ipotesi di inconfigurabilità di un tale errore nella
dedotta omissione, per il principio della ragione più liquida (che,
imponendo un nuovo approccio interpretativo con la verifica delle
soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello
tradizionale della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il
profilo di evidenza a quello dell’ordine di trattazione delle questioni cui
all’art. 276 c.p.c., con una soluzione pienamente rispondente alle
esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche
costituzionalizzata – cfr., in termini espressi, Cass. 11 novembre 2011,
n. 23621 e, indirettamente, sulle conseguenze di tale postulato in
materia di giudicato implicito, Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20932;
Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; Cass., sez. un., 18 dicembre
2008, n. 29523; Cass. 16 maggio 2006, n. 11356) la censura deve
essere respinta sulla base della soluzione della questione posta con il
secondo motivo, assorbente, pur se logicamente subordinata, senza
che sia necessario esaminare previamente tutte le altre.
Il secondo motivo è infondato, dovendosi dare continuità — in
particolare – all’indirizzo già espresso da questa S.C. con le sentenze n.
19825/11 e n. 20975/09. A tal fine si premetta che sul problema della
perequazione automatica delle pensioni integrative del personale del
Banco di Napoli si è formata una giurisprudenza costante, sulla base
Ric. 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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impugnata del nominativo indicato, è sufficiente osservare che gli errori

della quale i lavoratori collocati a riposo prima del 31.12.90 conservano
il diritto all’integrazione, diritto che sopravvive alla legge n. 421/1992 ed
al dig,s. n. 503/1992. Tale regime perequativo termina il 26.7.1996: in tal
senso cfr.,

ex aliis,

Cass. nn. 9023 e 9024 del 2001, cui la

giurisprudenza successiva si è uniformata, con giudicato formatosi
anche in relazione agli odierni intimati (il che è pacifico inter partes).

intervenuto l’art. 1 co. 55 legge n. 243/2004, che ha stabilito che la
normativa sopra richiamata deve intendersi nel senso che la
perequazione automatica delle pensioni, come prevista dall’art. 11 clIgs.
n. 503/1992, si applica al complessivo trattamento percepito dai
pensionati di cui all’art. 3 d.lgs. n. 357/1990. La suddetta norma di
interpretazione autentica ha superato il vaglio di legittimità costituzionale
(v. Corte cost. n. 362/2008) sotto diversi profili sollecitato da questa
stessa Corte Suprema, sicché è da escludersi una pur limitata
sopravvivenza del sistema di perequazione automatica.
Tuttavia tale norma di interpretazione autentica non è idonea a
rimuovere gli effetti del giudicato (né essa dispone espressamente la
caducazione dei giudicati già formatisi e dei loro effetti futuri: nulla di
tutto ciò si legge nel cit. art. 1 co. 55 legge n. 243/04).
Si tenga presente che il giudicato, proprio perché destinato a fissare la
regola del caso concreto, partecipa della stessa natura dei comandi
giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero
fatto.
Come insegna costante giurisprudenza di questa S.C., qualora due
giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto
giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in
giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione
giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad
un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la
premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel
dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto
accertato e risolto, pur ove il successivo giudizio abbia finalità diverse
Ric. 2014 n. 28546 sez. ML ud. 16-12-2015

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Successivamente al consolidarsi della giurisprudenza di questa S.C. è

da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo e ciò
riguarda anche i rapporti di durata (Cass. S.U. 16.6.2006 n. 13916; conf.
Cass. 4.12.2006 n. 25681; Cass. 22.4.09 n. 9512), come quelli dedotti
nell’odierna controversia.
Sempre in virtù di antica e costante giurisprudenza, in ordine ai rapporti
giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che ne costituiscono il

accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate
ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame
e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle
già risolte con provvedimento definitivo. Pertanto, quest’ultimo produce
effetti anche nel tempo successivo alla propria emanazione, con l’unico
limite di fatti nuovi che modifichino il contenuto materiale del rapporto o
il relativo regolamento pattizio (cfr. Cass. 16.8.2004 n. 15931; Cass. n.
19426/2003; Cass. n. 16959/2003; Cass. n. 3230/2001; Cass. n.
15178/2000; Cass. n. 9548/97).
Nel caso di specie non solo non vi è alcun fatto nuovo che abbia
modificato il contenuto materiale del rapporto o il relativo regolamento
pattizio (tale non essendo il summenzionato ad. 1 co. 55 legge n.
243/04, che – proprio perché di mera interpretazione – non ha alcuna
attitudine innovativa), ma la retroattività di una norma di interpretazione
autentica incontra il limite del giudicato, limite connaturato
all’ordinamento in quanto posto a custodia di quel principio di
separazione dei poteri che costituisce cardine indefettibile di ogni
democrazia costituzionale.
Una diversa opzione ricostruttiva sarebbe costituzionalmente
impraticabile per lesione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
(letto in chiave a quello di certezza del diritto), del principio di
separazione dei poteri (artt. 101 cpv. e 104 co. 1° Cost.) e dell’art. 117
Cost. attraverso la norma interposta dell’ad. 1 prot. Protocollo aggiuntivo
n. 1 alla CEDU come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo, secondo la quale i diritti pensionistici costituiscono un bene
ai sensi, appunto, dell’ad. 1 del Protocollo n. 1 aggiuntivo alla
Ric. 2014 n. 28546 sez ML – ud. 16-12-2015
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contenuto (come nel caso di specie), sui quali il giudice pronuncia con

Convenzione (si vedano, ad esempio, le sentenze della Corte EDU
Lakiéevie e altri c. Montenegro e Serbia; Grudié c. Serbia; PejZiò c.
Serbia; Stefanetti e altri c. Italia).
Sempre avuto riguardo alla sopravvenienza di una normativa incidente
sulla disciplina in base alla quale il giudicato si è formato, deve
considerarsi che il fondamento del giudicato sostanziale – che si realizza

(art. 324 c.p.c.), incide sul diritto fatto valere (art. 2909 c.c.) e che
risponde al generale principio della certezza del diritto – è quello di
rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate (per le
quali è stata individuata ed applicata la corrispondente regula iunS) ai
successivi mutamenti della normativa di riferimento, anche con riguardo
allo ius superveniens che contenga norme retroattive.
Ne consegue, con riferimento ai limiti cronologici del giudicato
sostanziale, che la sopravvenienza di una legge interpretativa che
contraddica l’interpretazione recepita nella sentenza irrevocabile la
rende “erronea”, ma non ne compromette il valore, che è indipendente
dall’esattezza della statuizione con essa resa. Infatti un giudicato — e
ciò è dirimente – per quanto in ipotesi “erroneo”, resta pur sempre
giudicato, con tutta la propria capacità espansiva nei successivi rapporti
fra le medesime parti, nei limiti oggettivi sopra ricordati.
Pertanto, sebbene l’intangibilità del giudicato riguardi solo quanto sia
stato oggetto del giudicato stesso, con esclusione di quanto non fosse
deducibile nel giudizio in cui esso si è formato, tale non deducibilità non
può ricollegarsi alla mera sopravvenienza di una norma che, senza
introdurre una nuova azione, si sia limitata ad interpretare
autenticamente una disposizione precedente (cfr,

ex allis, Cass. n.

1583/2010; Cass. n. 18339/2003; Cass. n. 4630/2000; Cass. n.
12701/1995; Cass. 8797/1995).
Del resto, l’intangibilità del giudicato sostanziale non solo prevale sullo

ius superveniens e sulle norme di interpretazione autentica, ma
impedisce la caducazione, ab origine, delle norme su cui il giudicato si
fonda per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale delle
Ric. 2014 n_ 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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quando la decisione, oltre ad essere passata formalmente in giudicato

stesse, costituendo – appunto — il giudicato, al pari di altre situazioni
giuridiche consolidate in conseguenza di eventi che l’ordinamento
giuridico riconosca idonei a produrre tale effetto, uno dei limiti che
incontra l’efficacia retroattiva della decisione di illegittimità costituzionale
(cfr., fra le numerose in tal senso, Cass. n. 4766/1999; Cass. n.
7057/1997; Cass. n. 891/1996; Cass. n. 1860/1983; Cass. S.U. n.

L’applicazione di tali principi al caso in oggetto fa sì che la norma di
interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 55, legge n. 243/04,
che non contiene previsione alcuna di caducazione dei giudicati
sostanziali già formatisi, non è suscettibile di incidere, nel caso
concreto, in relazione alle situazioni giuridiche già oggetto di sentenza
definitiva passata in giudicato.
Né può ritenersi che tale norma di interpretazione autentica venga ad
incidere sugli effetti futuri del giudicato sostanziale, posto che, giusta
l’interpretazione resane dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr,

e

pluribus, Cass. n. 16206/2009; Cass. n. 22700/2006), la stessa non
introduce una nuova disciplina della normativa di riferimento, destinata
ad esplicare la propria efficacia sui rapporti giuridici di durata a cui si
applica; conformemente alla propria natura interpretativa, essa individua
soltanto la corretta portata precettiva della normativa già esistente, la
stessa, cioè, sulla base della quale si è formato il giudicato sostanziale.
Ne consegue che quest’ultimo ha cristallizzato il maturato pensionistico
per il periodo considerato, che resta insensibile, anche nei suoi effetti,
alla successiva norma di interpretazione autentica contenuta nel cit. art.
1 co. 55 legge n. 243/04 e che, pertanto, deve essere riconosciuto nella
sua entità (con le eventuali variazioni legate alla dinamica perequativa
legale, non essendo più applicabile quella aziendale) anche per i ratei
successivi (cfr., tra le tante, Cass., n. 20975/2009; 10825/2011 e, da
ultimo, Cass. 5708/2015, 5705/2015, Cass. 5704/2015, Cass.
5248/2015; Cass. 6006/2015, alla cui motivazione ci si riporta).
Il terzo motivo, che è articolato in conformità al principio di
autosufficienza, riportandosi integralmente il contenuto della censura
kic 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
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1707/1963).

sulla quale il giudice del gravame ha omesso di rendere ogni pronuncia,
è fondato, riscontrandosi la dedotta omissione. Pertanto, avendo la
Corte del merito violato i dettami di cui all’art. 112 c.p.c., la pronuncia
deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata
alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che procederà
alla disamina dell’indicato motivo di gravame riferito alla posizione della

cassazione.
Il quarto ed il quinto motivo, che riguardano la questione della
compensazione con somme pretesamente ancora dovute dagli appellati
e l’omessa pronunzia in ordine all’eccezione in tale senso formulata
dalla società, sono inammissibili in quanto formulati in modo
inconferente rispetto al contenuto della decisione, che afferma che gli
stessi intimati hanno dedotto, secondo quanto risultante dai conteggi
redatti per le differenze reclamate dal 1994, l’intero importo liquidato con
la sentenza n. 20787/99, indebitamente riconosciuto a titolo di differenze
pensionistiche in relazione all’anno 1993, rilevando altresì che nessuna
prova era stata neanche fornita in ordine all’avvenuta esecuzione della
detta sentenza.
Per le esposte considerazioni, si propone l’accoglimento del terzo
motivo, il rigetto del secondo e l’inammissibilità degli altri, la cassazione
della decisione in relazione al motivo accolto ed il rinvio alla Corte di
appello di Napoli in diversa composizione”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio. Intesa Sanpaolo s.p.a. ha depositato memoria ai sensi
dell’ari. 380 bis, comma 2°, c.p.c..
In via preliminare, deve darsi atto che la notificazione del ricorso per
cassazione non si è perfezionata nei confronti di Antinolfi Massimo, erede
di Antinolfi Tommaso, come osservato in memoria dalla ricorrente, che ha
chiesto il rinvio della causa a nuovo ruolo per provvedere alla
rinnovazione di tale notificazione.

kic, 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015
-10-

Riggio, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di

Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover disattendere la richiesta,
condividendo i principi già espressi da questa Corte, che qui si
richiamano.
Si è invero affermato che il rispetto del diritto fondamentale ad una
ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175
e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di

certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività
processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura
dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio
del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla
partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui
sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti.
Si è quindi ritenuto che, in caso di ricorso per cassazione inammissibile o
infondato (come è quello in esame, alla luce delle considerazioni sopra
svolte), appare superflua la fissazione del termine per la rinnovazione
della notifica ai fini dell’integrazione del contraddittorio, pur potendone
sussistere i presupposti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe,
oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la
definizione del giudizio di cassazione e senza un concreto beneficio per
la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass., ord., sez.
un., 22 marzo 2010, n. 6826; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2723; Cass., 17
giugno 2013, n. 15106).
Nella specie va ritenuto superfluo, per quanto detto, disporre la
rinotifica del ricorso ad Antinolfi Massimo, come richiesto dalla ricorrente
e rinviare a tal fine la causa a nuovo ruolo.
Il Collegio ritiene, per il resto, di condividere integralmente il contenuto
e le conclusioni della riportata relazione, pervenendo al conseguente
accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo e dichiarati
inammissibili gli altri.
La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la
causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità
(limitatamente al ricorso nei riguardi della Riggio), alla Corte di appello
Ric. 2014 n. 28546 sez. ML – ud. 16-12-2015

ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano

di Napoli, in diversa composizione, per l’esame della posizione della
Riggio, in base alle censure prospettate in sede di gravame sulle quali la
Corte del merito non si è pronunciata.
Per tutti gli altri pensionati, per i quali la causa è definita nel presente
giudizio nei sensi sopra indicati, deve disporsi la condanna della
ricorrente al pagamento, nei confronti delle parti costituite, delle spese

disponendosi nei confronti delle altre parti rimaste intimate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo relativo alla posizione di Riggio
Bianca, rigetta il secondo e dichiara l’inammissibilità degli altri, cassa in
relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in
diversa composizione, per la regolamentazione anche delle spese del
presente giudizio in relazione alla posizione della Riggio.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti dei
controricorrenti, che liquida in euro 100,00 per esborsi, euro 4000,00 per
compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al
rimborso delle spese generali in misura del 15%. Nulla nei confronti
delle parti rimaste intimate.
Roma, 16 dicembre 2015
il Presidente
o Curzio

del giudizio di legittimità nella misura indicata in dispositivo, nulla

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