Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6432 del 13/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.13/03/2017),  n. 6432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3963-2016 proposto da:

D.B.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

e sul ricorso successivo proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANNA RITA MOSCIONI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente successivo –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente al ricorso successivo –

avverso il decreto n. 1380/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

emesso il 18/05/2015 e depositato il 02/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Andrea Sgueglia (delega Avvocato Salvatore Coronas),

per i ricorrenti, che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 1380 del 2.9.2015 la Corte d’appello di Perugia rigettava la domanda ex lege n. 89 del 2001 proposta dagli odierni ricorrenti, ritenendo il carattere almeno parzialmente temerario della lite che essi avevano proposto con ricorso al TAR Lazio nel 1996. Ciò in quanto l’infondatezza della pretesa azionata doveva ritenersi dimostrata già in forza della sentenza n. 63/98 della Corte costituzionale, che aveva escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge che non prevedevano un’immediata omogeneizzazione del trattamento economico tra appartenenti alle Forze Armate e dipendenti della Polizia di Stato. Nè la temerarietà della domanda innanzi al giudice amministrativo poteva considerarsi sopravvenuta a tale sentenza del giudice delle leggi, poichè il ricorso anche per le questioni di fatto appariva essere stato proposto con grande superficialità, omettendo di fornire – come rilevato dalla sentenza TAR – gli elementi fattuali necessari a dimostrare le pretese differenze retributive.

Contro tale decreto sono stati proposti due distinti ricorsi – il primo da R.P.G. ed altri, il secondo da S.G. che vanno trattati congiuntamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è limitato a depositare un “atto di costituzione”.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo del primo ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, commi 4 e 5 e art. 6 CEDU; il secondo lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti; il terzo la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost. (il quarto paragrafo contiene unicamente la richiesta di decisione della causa nel merito).

L’unico motivo del secondo ricorso espone, del pari, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e ss., art. 6 CEDU e art. 111 Cost., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Entrambi i ricorsi e tutti i motivi, in sostanza ed in sintesi, deducono, richiamandosi anche a precedenti di questa Corte, che l’infondatezza della domanda proposta nel giudizio di riferimento o comunque la scarsa probabilità del suo accoglimento non sono di per sè ragioni sufficienti ad escludere il diritto all’equa riparazione; che nello specifico l’oggetto del contendere in quella sede era altro rispetto alla questione di legittimità costituzionale affrontata da Corte cost. n. 63/98.

2. – I ricorsi sono fondati, nei termini che seguono.

Come questa Corte ha avuto modo di osservare, in base alla L. n. 89 del 2001 nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015 a partire dal 1.1.2016, “il diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. nn. 28592/11, 10500/11 e 18780/10), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una pretesa di puro azzardo; b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. nn. 7326/15, 5299/15, 23373/14, non massimate, e 22873/09), che ricorre allorchè lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325/15)”.

“Il comma 2-quinquies, aggiunto alla L. n. 89 del 2001, art. 2 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) convertito in L. n. 134 del 2012, ha previsto, con elencazione da ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della fattispecie”.

“Tra queste (continua a) non rientra(re) quella della manifesta infondatezza della domanda. Intuitiva l’estraneità al caso in esame del comma 2-quinquies cit., lett. da b) ad e) va altresì esclusa sia la previsione di cui alla lett. a), che nega l’equa riparazione alla parte soccombente che sia stata condannata nel giudizio presupposto a norma dell’art. 96 c.p.c., sia quella di cui alla lett. f). Quest’ultima, in particolare, si riferisce ad ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi processuali; e dunque ad una condotta interna al processo e di specifica incidenza sulla sua durata, lì dove, invece, la manifesta infondatezza costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda”.

“Coordinando tra loro il dato positivo attuale (applicabile alla fattispecie) e i precedenti indirizzi di questa Corte, si conferma, dunque, che solo se qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda manifestamente infondata osta al riconoscimento di un’equa riparazione” (così, in motivazione, Cass. n. 18837/15).

Ciò non toglie rilievo, come pure chiarito da questa Corte, alla c.d. temerarietà sopravvenuta, che si realizza quando la consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese sia derivata, rispetto al momento di proposizione della domanda, da circostanze nuove che rendano manifesto il futuro esito negativo del giudizio prima che la sua durata abbia superato il termine di durata ragionevole (Cass. n. 22150/16).

Ma nel caso in esame la Corte territoriale da un lato ha illogicamente escluso la c.d. temerarietà sopravvenuta sulla base di circostanze originarie, quali la superficiale allegazione dei fatti di causa; dall’altro ha ricavato quella originaria dalla mera infondatezza della domanda, derivandola dalla sentenza n. 63/98 della Corte cost. La quale ultima, tuttavia, ha avuto ad oggetto le questioni di costituzionalità del D.L. n. 5 del 1992, art. 3 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991, e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di Polizia), convertito, con modificazioni, in L. n. 216 del 1992, e del D.Lgs. n. 197 del 1995, artt. 3, 4, 13, 14 e 15 (Attuazione della L. n. 216 del 1992, art. 3 in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), mentre nel caso in esame si trattava di una fattispecie simile ma non per questo identica (i ricorrenti sono ufficiali appartenenti alle Forze Armate).

3. – Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio, non ricorrendo le condizioni per la decisione della causa nel merito, ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che si atterrà ai principi di diritto sopra indicati e provvederà anche sulle spese di cassazione.

PQM

La Corte accoglie i ricorsi e cassa il decreto impugnato con rinvio, anche per le spese di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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