Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6429 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 09/03/2021), n.6429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29793/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Tecnis s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Sammartino Salvatore, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Siviglia Giuseppe Piero, sito in

Roma, via dell’Elettronica, 20;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sez. dist. di Catania, n. 44/84/13, depositata il 23

ottobre 2013. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio

dell’11 dicembre 2020 dal Consigliere Catallozzi Paolo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, depositata il 23 ottobre 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Tecnis s.p.a. per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione della società, resa per l’anno 2002, e recuperate le maggiori imposte non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto impositivo l’Ufficio aveva contestato l’indebita deduzione di costi relativi ad operazioni ritenute inesistenti;

– il giudice di appello ha confermato la decisione della Commissione provinciale evidenziando che la contribuente aveva presentato valide dichiarazioni integrative, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, per gli anni 2001 e 2002, e che l’errore da cui era affetta la prima dichiarazione integrativa doveva considerarsi sanato con il pagamento dell’importo dovuto e scusabile ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 8;

– ha aggiunto che, in ogni caso, la contestata fittizietà delle operazioni era smentita dall’esistenza dei relativi lavori e dall’avvenuto pagamento delle prestazioni;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso la Tecnis s.p.a.;

Diritto

– quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.. CONSIDERATO

Che:

– con il secondo motivo, esaminabile prioritariamente in applicazione del criterio della ragione più liquida, l’Agenzia denuncia la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108, D.L. 2012, n. 162, art. 8, comma 1, L. 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, e art. 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata ritenuto deducibili i costi in contestazione, pur in assenza della prova dell’effettiva esistenza delle relative operazioni;

– il motivo è inammissibile;

– la Commissione regionale ha affermato che “l’esistenza oggettiva dei lavori eseguiti dall’appellata ed il pagamento degli importi di cui alle fatture contestate, regolarmente quietanzate, porta a superare la supposta fittizietà delle operazioni”;

– ha, in tal modo, accertato che, in relazione alla contestazione effettuata dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo di inesistenza oggettiva delle operazioni, la contribuente abbia offerto dimostrazione dell’effettiva esistenza delle stesse, desunta dal riscontro fattuale della realizzazione dei lavori oggetto di tali operazioni e dal relativo pagamento, oltre che dalla regolare contabilizzazione delle stesse;

– pertanto, la doglianza muove da un presupposto fattuale, avente ad oggetto l’inesistenza oggettiva delle operazioni, che risulta espressamente smentito dal giudice di appello;

– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– con il terzo motivo la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione alla mancata esplicitazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione;

– il motivo è inammissibile;

– infatti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, , conv., con modif., nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame – il vizio di motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria non è più deducibile quale vizio di legittimità, atteso che il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e dell’omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo aì fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., ex multis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

– la resistenza della ratio decidendi rappresentata dalla deducibilità dei costi rende del tutto irrilevante l’esame del motivo residuo con cui si aggredisce l’altra ratio costituita dal perfezionamento del procedimento per l’integrazione degli imponibili per l’anno 2002, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 8, e dalla conseguente preclusione, nei confronti della contribuente, di ogni accertamento tributario per tale periodo di imposta (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; vedi anche, Cass., ord., 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3633);

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.500,00, oltre rimborso spese forfettario nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

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