Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6426 del 15/03/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2018, (ud. 06/12/2017, dep.15/03/2018),  n. 6426

Fatto

Con sentenza 24 aprile 2012, la Corte d’appello di Torino rigettava l’appello proposto da G.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento del diritto all’inquadramento quale dirigente in base al CCNL dirigenti aziende di trasporti dal 1 gennaio 2001, di condanna di TNT Global Express s.p.a. al pagamento delle relative differenze retributive, di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 28 gennaio 2008, di condanna al pagamento dell’indennità di preavviso e dell’indennità supplementare, ai sensi degli artt. 32 e 29 CCNL cit., di attivazione della polizza assicurativa Ponte in proprio favore e di invio di un messaggio riparatorio tramite Intranet aziendale.

In esito a critico e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale condivideva le valutazioni del primo giudice: tanto in ordine alla corretta qualificazione delle mansioni di G.G. di responsabile della filiale di (OMISSIS) dal 1 gennaio 2001 e fino all’attribuzione della qualifica dirigenziale (1 gennaio 2004), alla stregua di quadro, essendogli stata riconosciuta la superiore qualifica per ragioni meritocratiche discrezionalmente valutate dall’azienda (a norma dell’art. 1, comma 5, CCNL dei dirigenti di aziende di autotrasporti), pure in assenza dell’autonomia decisionale prevista; tanto in ordine alla giusta causa del suo licenziamento, per avere autorizzato o comunque permesso ai magazzinieri della filiale di (OMISSIS) di lavorare il sabato mattina senza timbrare la cartolina oraria e percependo dagli autisti dei fornitori pagamenti non dovuti, non interrompendo una prassi avviata dal precedente responsabile e proseguita nonostante la comunicazione il 4 ottobre 2006 di una circolare dell’amministratore delegato di formalizzazione della prassi di apertura della filiale anche il sabato mattina con il riconoscimento dell’eventuale straordinario forfettizzato.

Con atto notificato il 15 marzo 2013, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva la società datrice con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., per inesistenza di una giusta causa di licenziamento, per la conformazione del lavoratore ad una preesistente prassi aziendale, in difetto poi di alcuna valutazione dell’intensità dell’elemento soggettivo, nè dell’anzianità di servizio ai fini di proporzionalità della sanzione inflitta.

2. Con il secondo, egli deduce omessa motivazione sui fatti decisivi dedotti nell’atto di appello in ordine ad elementi riguardanti l’intensità dell’elemento soggettivo, non considerati dalla Corte territoriale.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2119 c.c., e art. 32 CCNL dirigenti dei trasporti, per la corretta qualificazione del licenziamento, in via subordinata, non per giusta causa, ma per giustificatezza, così da comportare la perdita della sola indennità supplementare, ma non anche di quella sostitutiva del preavviso, dovendo l’inadempimento del lavoratore essere addebitato a negligenza: consistita nella tolleranza di una prassi aziendale, neppure pregiudizievole all’azienda, nè di gravità tale da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra le parti.

4. I primi due motivi (rispettivamente relativi a violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., per inesistenza di una giusta causa di licenziamento e ad omessa motivazione su fatti decisivi in ordine ad essa) possono essere congiuntamente esaminati, per ragioni di stretta connessione.

4.1. Essi sono inammissibili.

4.2. Non si configura, infatti, la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruirne la portata precettiva, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità o della prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

4.3. E ciò con particolare riguardo alla corretta sindacabilità della giusta causa in sede di legittimità, in riferimento ai soli parametri generali, così da presupporre da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa, in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514). La Corte di cassazione può, infatti, sindacare l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

4.4. E’ invece insindacabile, in sede di legittimità, ove congruamente motivato, l’accertamento del fatto, così come la valutazione probatoria che lo sostanzi, in quanto si risolvono in una mera sollecitazione alla rivisitazione del merito decisorio, che spetta esclusivamente al giudice di merito, nell’autonoma selezione degli elementi probatori, senza doverne neppure giustificare la preferenza degli uni rispetto agli altri (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). E tale ragione di insindacabilità ricorre certamente nel caso di specie, nel quale la motivazione, anzi diffusamente argomentata (per le ragioni esposte da pg. 24 a pg. 40 della sentenza), non è stata certamente omessa, tanto meno su fatti decisivi, come infondatamente denunciato dal lavoratore. Un siffatto vizio ricorre, infatti, qualora il giudice di merito non indichi gli elementi da cui abbia tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105).

5. Il terzo motivo, relativo a violazione dell’art. 2119 c.c., e art. 32 CCNL dirigenti dei trasporti per la corretta qualificazione del licenziamento per giustificatezza e non per giusta causa, è infondato.

5.1. Ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (Cass. 17 marzo 2014, n. 6110): ed esse non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da renderla particolarmente onerosa, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 8 marzo 2012, n. 3628; Cass. 20 giugno 2016, n. 12668).

5.2. La giusta causa di licenziamento consiste invece in un fatto che, valutato in concreto (e pertanto in relazione sia alla sua oggettività, sia alle sue connotazioni soggettive), determini una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula; sicchè, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo, ancor più strettamente vincolata al carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale, è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede: così esonerando il datore di lavoro soltanto dall’obbligo di pagare l’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, ma non anche dall’indennità sostitutiva del preavviso, al contrario della giusta causa (Cass. 1 giugno 2005, n. 11691; Cass. 10 aprile 2012, n. 5671).

5.3. Tanto più allora, nel caso di specie, deve essere esclusa la non giustificatezza dedotta, avendo la Corte territoriale accertato il “contrasto” del comportamento del dirigente “con i doveri di diligenza, lealtà e correttezza verso la parte datoriale discendenti dal contratto di lavoro, sufficiente a fondare la sanzione espulsiva” (così al primo periodo di pg. 40 della sentenza), a conferma del licenziamento per giusta causa intimato il 28 gennaio 2008, in esito alla lettera di contestazione del 17 gennaio 2008 (trascritta dal primo capoverso di pg. 19 all’ultimo di pg. 22 della sentenza), per un “comportamento… gravemente inadempiente rispetto agli obblighi di diligenza, correttezza e obbedienza”, in quanto consistente in “condotte che ledono irrimediabilmente il rapporto di fiducia” (così al secondo e terzo capoverso di pg. 22 della sentenza).

6. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna G.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA