Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6420 del 06/03/2020
Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 23/05/2019, dep. 06/03/2020), n.6420
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15737-2018 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 362,
presso lo studio dell’avvocato FABIO ROCCO, che lo rappresenta e
difende;
– ricorrente –
Contro
R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI
268/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI,
rappresentato e difeso da se medesimo;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1472/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 06/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA
BESSO MARCHEIS.
Fatto
RITENUTO
che:
1. Con atto di citazione del 26/5/2010 G.G. proponeva opposizione avverso il decreto n. 7198/2010, con cui il Tribunale di Roma gli aveva ingiunto il pagamento di Euro 108.816,04 in favore dell’avv. Luciano Rossi, quale corrispettivo per l’attività difensiva da questi svolta a favore dell’opponente in relazione a cinque giudizi; l’opponente deduceva che R. era già stato pagato per l’attività svolta, chiedeva pertanto di dichiarare nullo, inefficace e improduttivo di effetti il decreto, proponeva domanda di accertamento della responsabilità professionale dell’opposto. R., a sua volta, costituendosi chiedeva di rigettare l’opposizione (essendo le somme percepite relative a diverse prestazioni professionali) e in via riconvenzionale di condannare G. a corrispondere la rivalutazione della somma ingiunta, nonchè la somma di Euro 10.000 a titolo di risarcimento dello stress conseguente il mancato pagamento, nonchè di condannarlo ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
Con sentenza n. 14041/2014 il Tribunale di Roma revocava il decreto ingiuntivo e rigettava tutte le altre domande proposte dalle parti.
2. Avverso la sentenza proponeva appello R., deducendo la nullità e l’erroneità della decisione del giudice di prime cure.
La Corte di appello di Roma – con sentenza 6 marzo 2018, n. 1472 -accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava l’opposizione.
3. Contro la sentenza ricorre per cassazione G.G.. Resiste con controricorso Luciano R..
Diritto
CONSIDERATO
Che:
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
a) Il primo motivo lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il giudice d’appello avrebbe omesso di “esaminare e conseguentemente di valutare il contenuto della lettera 14/01/2009, a firma dell’avv. R., nella quale lo stesso ammetteva di aver ricevuto dall’arch. G. somme per un totale di Euro 80.742,46”, nonchè di esaminare e valutare gli altri documenti prodotti in giudizio comprovanti ulteriori versamenti di Euro 32.150, così che vi sarebbe stata una “non motivazione” su una quaestio facti decisiva.
Il motivo non può essere accolto: l’avvenuto pagamento di somme al professionista è infatti stato considerato dal giudice d’appello (v. p. 6 della sentenza impugnata), che ha ritenuto – con motivato apprezzamento di merito insindacabile da parte di questa Corte di legittimità – allegata e documentata da parte di R. la diversa imputazione di tali somme al pagamento di una serie di attività, giudiziale e stragiudiziale, diversa da quella per la quale era stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo.
b) Il secondo motivo contesta nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 116 e 232 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: il giudice d’appello afferma che G. non ha reso l’interrogatorio formale deferitogli e da questo ha ritenuto come ammesse le capitolate circostanze di fatto, senza considerare che il ricorrente aveva giustificato “la di lui assenza stante il suo legittimo impedimento a non poter presenziare per motivi di salute, producendo in udienza idonea certificazione medica”.
Il motivo non può essere accolto. Con ordinanza depositata il 9 aprile 2013 (che il Collegio ha esaminato, essendo denunziato un vizio di attività del giudice di merito), il Tribunale, rilevato che l’opponente non era comparso a rendere l’interrogatorio formale, che la certificazione medica prodotta dal di lui difensore non conteneva elementi concretanti l’assoluto impedimento a comparire, ha dato atto, previa ineccepibile valutazione, della mancata risposta dell’opponente all’interrogatorio formale.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 5.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2 sezione civile, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020