Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6413 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 06/03/2020), n.6413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35839-2018 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CORNELIA 164,

presso lo studio dell’avvocato SAMUELA RICCIO, rappresentato e

difeso dagli avvocati MICHELE IMPERIO, TOMMASO GERMANO;

– controricorrente –

contro

TELEPOST SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1854/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di Appello di Bari ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda di V.G. di accertamento dell’inefficacia del trasferimento del ramo d’azienda effettuato da Telecom Italia S.p.A. alla Telepost S.p.A. con conseguente persistenza del rapporto di lavoro con la impresa cedente;

la Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla cessione del ramo d’azienda, ha escluso che la cessione del ramo d’azienda ” document management” trasferito da Telecom Italia SpA a Telepost S.p.A. integrasse il trasferimento di un’articolazione aziendale idonea a consentire lo svolgimento di un’autonoma attività economica organizzata, in quanto tale suscettibile di assolvere ad uno scopo produttivo;

ha proposto ricorso per cassazione, Telecom Italia S.p.A., affidato a due motivi;

ha resistito, con controricorso, V.G.;

è rimasta intimata Telepost S.p.A.;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.;

si censura la sentenza per aver ritenuto sussistente l’interesse ad agire del lavoratore all’accertamento dell’identità del datore di lavoro, nella specie irrilevante avendo il V. maturato i requisiti per il collocamento in quiescenza sicchè il rapporto non si sarebbe ricostituito, comunque, con la società Telecom S.p.A.;

il motivo è inammissibile, in quanto prospettato con riferimento ad un accertamento (id est: maturazione del diritto a pensione) non contenuto nella sentenza impugnata e non censurato nel rispetto degli oneri di specificazione di cui al combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., n. 4 (cfr. ex plurimis, Cass. n. 20652 del 2009; n. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017);

ciò posto, la Corte territoriale si è conformata al principio di questa Corte che, con particolare riguardo al trasferimento d’azienda, costantemente afferma l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio l’inconfigurabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e quindi, in difetto del suo consenso, l’inefficacia del trasferimento stesso: non essendo per il lavoratore indifferente, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore – datore di lavoro, che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei suoi diritti (ex multis, in motiv., v. Cass. n. 28508 del 2017);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. per aver la Corte di appello escluso un trasferimento di ramo di azienda nella cessione a Telepost S.p.A. del ramo denominato “Document Management”, in cui confluiva parte del personale assegnato alla funzione “Facility Management”;

il motivo è infondato alla stregua della più recente (e oramai costante) giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento alla medesima vicenda traslativa (Cass. n. 22005 del 2017, Cass. n. 11204 del 2016; Cass. n. 5425 del 2015; Cass. n. 24262 del 2013 e numerose altre), ha giudicato corretta la ricostruzione del giudice di merito nell’escludere la natura di “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata” in relazione al ramo in oggetto;

è noto che la Corte di Giustizia, sollecitata in via pregiudiziale in riferimento alla formulazione dell’art. 2112 c.c., novellata dal cit. D.Lgs., art. 32, ha ritenuto che “La direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, art. 1, par. 1, lett. a) e b), (debba) essere interpretato nel senso che non ost(i) ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento” (CGUE, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a.);

tuttavia, questa Corte ha statuito, proprio in controversie concernenti il trasferimento di rami d’azienda Telecom Italia S.p.A. (v. Cass. n. 22005 del 2017 cit.), che, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (sia nel testo previgente, sia in quello modificato, in applicazione della direttiva n. 50/98/CE, dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, applicabile ratione temporis) debba intendersi come ramo autonomo d’azienda, in quanto tale suscettibile di trasferimento riconducibile alla disciplina della norma citata, ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento medesimo, conservi la propria identità;

nel caso di specie, la Corte territoriale, con valutazione tranchant (dunque a prescindere dalla preesistenza del ramo) ha negato che il trasferimento riguardasse un complesso di beni funzionalmente idoneo a svolgere una determinata attività produttiva, posto che quest’ultima, per il suo concreto svolgimento, continuava a necessitare di “specifiche interazioni organizzative e gestionali con l’impresa cedente” che finiva per usufruirne in via esclusiva;

alla stregua di tale accertamento, in questa sede non validamente censurato, alcun errore di diritto è imputabile alla sentenza impugnata sicchè il ricorso va rigettato con le spese di lite che seguono la soccombenza, in favore della parte controricorrente;

nulla deve provvedersi in relazione a Telepost S.p.A., rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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