Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6408 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21963/2015 R.G. proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Michelangelo

Capobianco e Pasquale Forte, elettivamente domiciliato in Roma alla

via del Corso n. 433 presso l’avv. Spinapolice;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui ha domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 302/25/15 della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, pronunciata in

data 19 gennaio 2015, depositata in data 10 febbraio 2015 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2022 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

C.A. ricorre con cinque motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 302/25/15 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, pronunciata in data 19 gennaio 2015, depositata in data 10 febbraio 2015 e non notificata, che ha accolto parzialmente l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento sintetico del reddito, con cui l’amministrazione finanziaria aveva determinato maggiori imposte ai fini Irpef e relative addizionali in relazione agli anni di imposta 2006, 2007 e 2008;

con la sentenza impugnata, la C.t.r., affermata l’ammissibilità dell’appello, riteneva che l’atto impositivo fosse parzialmente fondato, nella misura del 50 per cento, in considerazione del fatto che tre degli immobili oggetto di accertamento fossero occupati dai figli del contribuente, i quali, dunque, concorrevano con il padre alle relative spese di manutenzione, e che l’autovettura oggetto di accertamento era stata acquistata al 50% insieme con uno dei figli;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso, originariamente assegnato alla sesta sezione, veniva trasmesso alla quinta sezione e fissato per la camera di consiglio del 27 gennaio 2022, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione dell’Agenzia delle Entrate di inammissibilità del ricorso, L. n. 53 del 1994, ex art. 1 in quanto notificato a mezzo posta direttamente dal difensore del ricorrente;

ed invero, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1 appare irrilevante, ai fini del perfezionamento, la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’Ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall’art. 83 c.p.c. alla data dell’avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della L. n. 53 del 1994 (Cass. n. 17748/2009);

sempre preliminarmente, deve ritersi inammissibile la questione introdotta dal ricorrente per la prima volta con il ricorso in cassazione, relativa alla nullità dell’avviso di accertamento per mancata sottoscrizione del dirigente dell’ufficio;

la doglianza è inammissibile per la novità della questione, come ammesso dallo stesso ricorrente, che sostanzialmente ne sollecita il rilievo d’ufficio, ritenendo trattarsi di una nullità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio;

sul punto, questa Corte ha già affermato, proprio con riferimento agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015 in relazione alla carenza di potere del sottoscrittore dell’avviso di accertamento, che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, operando il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 22810/2015);

pertanto, nel caso di specie, in cui il contribuente non aveva, neppure genericamente, contestato con il ricorso introduttivo del giudizio la legittimazione del funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento (Cass. n. 18448/2015; Cass. n. 22800/2015), trattandosi di questione nuova, il relativo scrutinio in sede di legittimità non è ammissibile;

con il primo motivo si denunzia l’inammissibilità dell’appello, in quanto concretizzatosi nella mera reiterazione delle argomentazioni già contenute nei precedenti atti difensivi;

il motivo è infondato;

secondo il consolidato indirizzo di questa Corte nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 3064/2012);

tali principi sono stati anche di recente ribaditi da questa Corte, che ha evidenziato la specialità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 rispetto all’art. 342 c.p.c. (Cass. n. 24641/2018) e la circostanza che il D.Lgs. citato, suddetto art. 53 non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto (Cass. n. 32838/2018);

con il secondo motivo (contrassegnato in ricorso sotto il n. 2, alla lett. a), si denunzia la nullità della sentenza per mancanza assoluta della motivazione, in violazione degli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

con il terzo motivo (contrassegnato in ricorso sotto il n. 2 alla lett. b), il ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 deducendo l’infondatezza dell’iter logico posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto fondato su elementi non idonei, e comunque erroneamente considerati dall’ufficio;

con il quarto motivo (contrassegnato in ricorso sotto il n. 2 alla lett. c), il ricorrente denunzia, sotto diversi profili, vizio di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

con il quinto motivo (contrassegnato in ricorso sotto il n. 2 alla lett. d), il ricorrente denunzia, sotto diversi profili, vizio di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati;

la sentenza della C.t.r. appare corredata da motivazione adeguata, recante specifico riferimento alla fattispecie concreta ed idonea ad evidenziare tutti gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità (Cass. Ss. Uu. N. 8053/2014), risultando, seppur sinteticamente, presi in esame e considerati gli indici posti a fondamento dell’accertamento impugnato e gli elementi, di segno contrario, indicati dal contribuente;

invero, il giudice di appello, con una valutazione di merito adeguatamente motivata, ha ritenuto che l’atto impositivo fosse parzialmente fondato, nella misura del 50 per cento, in considerazione del fatto che tre degli immobili oggetto di accertamento fossero occupati dai figli del contribuente, i quali, dunque, concorrevano con il padre alle relative spese di manutenzione, e che l’autovettura oggetto di accertamento era stata acquistata al 50% insieme con uno dei figli; pertanto, deve ritenersi inammissibile ogni profilo di doglianza che, sia pure formalmente denunzi la violazione di legge, sostanzialmente tenda a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, delle risultanze processuali, estranea al giudizio di legittimità;

parimenti inammissibili risultano il quarto ed il quinto motivo, in quanto, nei termini in cui sono formulati, non censurano l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ma denunziano, piuttosto, un’insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 5), (vedi Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014);

gli elementi dedotti dal contribuente risultano peraltro, come già evidenziato, esaminati dal giudice di appello, che ha complessivamente valutato la controprova fornita dal C. a fronte degli indici indicati dall’ufficio, ancorché la sentenza non abbia dato conto in modo specifico di tutte le acquisizioni istruttorie e di tutte le deduzioni sollevate dal contribuente;

alla luce di tali osservazioni deve, a maggior ragione, escludersi che la decisione impugnata sia nulla per la totale carenza di motivazione, in quanto, come si è detto, il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente avesse assolto, sebbene solo in parte, all’onere di prova contraria su lui gravante, ed ha conseguentemente ridotto in suo favore l’importo oggetto della pretesa tributaria; in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato ed il ricorrente va condannato alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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