Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6405 del 13/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/03/2017, (ud. 14/12/2016, dep.13/03/2017),  n. 6405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6396/2011 proposto da:

GRUN.SA.CO., S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G.B. VICO 1, presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI

MANGILI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERO GUALTIEROTTI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della CARTOLARIZZAZIONE CREDITI INPS

S.C.C.I. S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO, LUIGI CALIULO, LELIO MARITATO, ENRICO MITTONI, giusta

delega in atti;

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati LUCIA PUGLISI, LORELLA

FRASCONA’, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 634/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 18/01/2011 R.G.N. 343/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito l’Avvocato FRASCONA’ LORELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 18 gennaio 2011, accoglieva l’appello proposto dall’Inps e, in via incidentale dall’Inail, contro la sentenza del Tribunale di Cremona, e per l’effetto rigettava le opposizioni proposte dalla Gr.Un.Sa.Co. s.r.l. contro le cartelle di pagamento di contributi e premi evasi relativamente a tre lavoratori assunti con contratti a progetto ma in realtà subordinati.

2. La Corte, premesso che l’impugnazione riguardava solo il calcolo delle sanzioni – avendo il tribunale accertato la natura subordinata dei rapporti di lavoro, senza che sul punto fosse stata proposta impugnazione, e ricalcolato le sanzioni ritenendo configurabile solo la meno grave ipotesi dell’omissione -, riteneva che, nella specie, ricorresse un’ipotesi di evasione contributiva essendo stata la costituzione di un fittizio contratto di lavoro a progetto funzionale al versamento di contributi e premi in forma ridotta.

3. Contro la sentenza la società propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui resistono gli enti con controricorsi. La ricorrente e l’Inail depositano memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso la società denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, asserendo che erroneamente la Corte ha ritenuto che i contratti di lavoro a progetto fossero stati preordinati per pagare minori premi e contributi, in mancanza di un qualsivoglia accertamento in tal senso e a fronte della richiesta di iscrizione dei tre lavoratori nella gestione separata, dei versamenti dei relativi contributi e della compilazione da parte di essa ricorrente delle buste paga e dei Cud per i redditi corrisposti.

2.- Il motivo è infondato. Benchè non siano mancati contrasti nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., n. 1230/2011, citata dalla ricorrente, la quale deve tuttavia ritenersi pronuncia isolata), deve ritenersi ormai consolidato il principio secondo il quale, perchè ricorra l’ipotesi dell’evasione contributiva, a mente della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), è necessario che vi sia a) occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate; b) tale occultamento sia stato attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato.

3.- Il primo requisito sussiste non solo quando vi sia l’assoluta mancanza di un qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, ma anche quando ricorra un’incompleta o non conforme al vero denuncia obbligatoria, attraverso la quale viene celata all’ente previdenziale (e, quindi, occultata) l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione.

Nè a contrario avviso può condurre il rilievo che, in ipotesi di registrazione dei rapporti e delle effettive retribuzioni, l’ente impositore potrebbe venire a conoscenza della situazione effettiva, atteso che tale conoscenza resterebbe, in difetto di una denuncia periodica veritiera, meramente eventuale, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento, e non farebbe quindi venir meno, in relazione alla denuncia infedele, l’occultamento dei rapporti o delle retribuzioni (in tal senso, Cass., 27 dicembre 2011, n. 28966).

Come già posto in luce dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 4808/2005, un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all’Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione dell’Istituto, imponendogli un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.

Alla luce di questi principi, emerge evidente l’irrilevanza degli elementi fattuali messi in luce dalla ricorrente, secondo cui i lavoratori erano stati regolarmente denunciati come lavoratori a progetto, che vi era stata richiesta di iscrizione alla gestione separata, che vi erano stati i versamenti contributivi nonchè la compilazione di buste paga e dei modelli CUD.

4.- In ordine al secondo requisito, di carattere soggettivo, è agevole rilevare che l’aver qualificato un rapporto di lavoro come di lavoro a progetto, mentre in realtà si trattava di un rapporto di lavoro subordinato, fa presumere l’esistenza di una specifica volontà datoriale di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti.

La formulazione della norma (art. 116, comma 8, lett. b) “in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate…”), attribuisce rilievo all’elemento intenzionale, creando, da un lato, una presunzione iuris tantum della volontà del datore di lavoro di sottrarsi al pagamento dei contributi e, dall’altro, consentendo, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l’ipotesi dell’evasione: la suddetta presunzione (proprio perchè non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento; e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangile in sede di legittimità ove congruamente motivato (così ancora Cass., 28966/2011, cit.; Cass. n. 10509 del 25/06/2012; Cass. n. 4188 del 20/02/2013; Cass. n. 17119 del 25/08/2015).

9. La Corte territoriale ha con un ragionamento congruo e non adeguatamente censurato dalla ricorrente sotto il profilo del vizio motivazionale, ritenuto che la stipulazione di fittizi contratti di lavoro a progetto è stata preordinata al pagamento dei contributi in forma ridotta. In particolare, la Corte, richiamando la sentenza di primo grado, ha messo in evidenza come i tre rapporti costituivano ordinari rapporti di lavoro “autonomo” (recte: subordinato), in quanto il progetto non possedeva “alcuna delimitazione funzionale rispetto all’attività aziendale e i progetti individuati erano, in realtà, privi del necessario requisito di specificità”. Si tratta di un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede in quanto congruo e rispettoso dei principi elaborati in materia da questa Corte. Al riguardo, non può indurre un diverso convincimento, ma anzi in un certo senso conferma le considerazioni su esposte, il precedente di questa Corte n. 1476 del 2015, invocato dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., per la peculiarità della fattispecie esaminata in cui si era accertata una erronea qualificazione del rapporto “conseguente ad incertezze sulla sua natura”, non emergendo dagli elementi acquisiti al processo “una volontà o il deliberato proposito (della società) di occultare il rapporto di lavoro”.

10. La questione va quindi risolta con l’affermazione del principio di diritto, secondo cui: “In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l’accertamento dell’esistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato in luogo di un lavoro a progetto per la mancanza di uno specifico progetto, benchè regolarmente denunciato e registrato, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera a) della medesima norma, dovendosi ritenere che la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto privo dei requisiti prescritti dalla legge implichi occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, che non può tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati omessi o infedelmente riportati nelle denunce sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata”.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, per ciascuno dei controricorrente, di cui Euro 200 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017

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